Top e Flop, i protagonisti di giovedì 16 marzo 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 16 marzo 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 16 marzo 2023

TOP

CLAUDIO DESCALZI

Claudio Descalzi (Foto © Imagoeconomica)

Si è portato bene e questo è un fatto, è ben portato ed anche questo è indiscutibile. A fare la somma Claudio Descalzi ha ottime probabilità di restare alla guida del cane a sei zampe.

Su Descalzi ci sono due linee di pensiero in Parlamento, ovvie e definite. C’è chi chiede una discontinuità a prescindere dai meriti e chi vuole che il merito sia viatico certo di riconferma. Insomma, l’antico e irrisolto conflitto fra ragione politica ed opportunità tecnica che in Italia è endiade ricorrente.

Descalzi si è distinto per tenacia e professionalità con le grandi mission di Luigi Di Maio in Algeria, Angola ed Azerbaigian alla ricerca di una via alternativa al gas russo dopo la guerra di Putin. E proprio il successore di Di Maio alla Farnesina lo ha in un certo senso “blindato”. Le parole di Antonio Tajani sono state chiare: “Ha fatto sempre gli interessi dell’Italia. Lui è molto ben visto. Una parte della maggioranza chiede discontinuità? Forza Italia è favorevole alla conferma, Berlusconi dà un giudizio molto positivo, si sono parlati più volte“.

Quindi l’amministratore delegato di Eni piace al Cav ma non del tutto a Lega, FdI e parte delle opposizioni. Ha proseguito Tajani: “Se devo dare un giudizio come ministro degli Esteri, lui lavora molto bene. Il governo deciderà, ma per quanto mi riguarda non posso che dare un giudizio positivo“.

E ancora giù di melassa fra merito ed opportunità: “Descalzi ha fatto sempre bene gli interessi dell’Italia”. E nel dossier nomine spunta un uomo che sta a metà esatta fra un tester di maggioranza ed un runner certificato. Ma soprattutto di un super Ad certificato in cose che con l’opinabilità politica hanno ben poco a che vedere.

Da (ri) provare.

GIOVANNI ACAMPORA

Giovanni Acampora

Dritto ed a brutto muso. Il presidente della camera di Commercio di Frosinone e Latina ha detto chiaro come stanno le cose. E cioè che non è più tempo di giocare con la crescita del Sud Lazio, né di pensare a scorciatoie o geniali trovate. Sul tavolo ci sono i numeri di tre eccellenze ciociare. E che siano tali lo stabilisce un certificato europeo valido ai quattro punti cardinali del globo. Fagiolo cannellino di Atina, peperone cornetto di Pontecorvo, formaggio pecorino di Picinisco sono tutelati da un marchio di qualità e di origine protetta.

Quel marchio stabilisce che quel prodotto non può essere né copiato né imitato, che si fa solo lì, con quei prodotti, in quel modo. E non altri. Ottenere quel riconoscimento è costato molto tempo ed ancora più denaro. Perché il marchio Dop e Igt certificano una qualità precisa ed unica che valgono una marcia in più nello sviluppo di un prodotto ma ancora di più del suo territorio.

E invece. I numeri sono da pianto. Nell’ultimo stagione sono stati prodotti 23 quintali di Fagioli cannellini di Atina, 66 quintali di Peperoni di Pontecorvo, nemmeno è stato possibile certificare la produzione del pecorino. Significa che la spesa non vale l’impresa, che il territorio per primo non ci crede, che a nessuno interessa una intensa filiera agroalimentare di eccellenza. Quelle sono quantità per un paio di zuppe e poco più. La grande distribuzione nemmeno le prende in considerazione.

Dietro quei pessimi risultati c’è la mancanza di una visione. Ed è questo a deludere più di tutto. E Giovanni Acampora lo ha detto con la sua solita schiettezza. (Leggi qui: Dop ciociare: poca roba, così non ha più senso).

Cazziatone Dop

FLOP

IL NYT SU SCHLEIN

La sede del New York Times

La stampa straniera gode di un’aura, di uno “shining” analitico spesso sopravvalutato. Accade per lo più in doppio binario, uno di ovvietà ed un altro più sottile. Il primo è quello per il quale ovviamente i media forestieri hanno visione d’insieme ma non sono sul pezzo in quanto a reale contesto. C’è poi il secondo binario, quello cioè in cui le presunzioni di lettura profonda “a prescindere” cozzano con l’approssimazione del giudizio.

Su Elly Schlein che ieri ha affrontato Giorgia Meloni in question time ad esempio il New York Times non è andato oltre un blando approccio didascalico. Scrivendo ovvietà al limite del falso-banale. Cose come questa: “La donna che ha scosso la politica italiana“.

Piccola obiezione: è presto per parlare di rivoluzione, forse il tempo giusto per parlarne non verrà mai e il concetto stesso di ‘rivoluzione’ resta opinabile. La riprova? Le posizioni in endorsement sulla guerra in Ucraina dove frattura non c’è stata, semmai blando riposizionamento.

E ancora: “La donna che scuote la politica italiana (no, non il nuovo presidente del Consiglio). Figlia di genitori italiani ed ebrei americani, Elly Schlein vuole rilanciare l’opposizione di centrosinistra a Giorgia Meloni, se solo il suo Partito riuscirà a sopravvivere“. Qui il NYT un po’ “ci prende” ma non riesce a fare a meno dell’iperbole da “terremoto”.

Piccola opposizione: se sisma doveva esserci, quello di Schlein è stato per ora di magnitudo blanda nell’argomentare e devastante nel proclamare. Cioè in perfetto mood “Old Pd“. Tertium non datur: “Ha sbalordito l’establishment liberale e scosso il panorama politico italiano vincendo le elezioni primarie per diventare la prima donna alla guida delPartito Democratico di centrosinistra“.

Minuscola obiezione finale: Elly Schlein i liberali li ha fatti felici come non mai perché polarizzando lo scontro offrirà tutte le condizioni per una possibile nuova stagione di centro. Che finora è rimasto sulla carta per 25 anni.

Bignamino.

VIRGINIA RAGGI

Virginia Raggi (Foto: Imagoeconomica / Sara Minelli)

La misura della bravura sta nel ricordo che si lascia sul medio e lungo periodo. Quando si scende (o si viene fatti scendere) dal piedistallo, subito si chiude il sipario e da ipotetico futuro si passa a passato prossimo. Se sia anche remoto poi dipenderà proprio dalla bravura. E dalle cose per cui essere ricordati.

Della sindaca Virginia Raggi avevamo iniziato a perdere anche la memoria dei contorni, relegandola nel trapassato remoto. A ricordarcene l’esistenza è stato nei giorni scorsi il di lei felice consorte con una dichiarazione mielosa sul Corriere priva di ogni sostanza politica.

Ora ne rispolvera il ricordo anche Il Foglio, rendicontando di un’udienza in tribunale. La ex sindaca ha citato in giudizio il direttore de Il Giornale Augusto Minzolini: nel 2017 le diede della demente. Non su un titolo o un articolo ma in un cinguettio affidato a Twitter. Glielo aveva suscitato una fresca caduta in scooter determinata da una delle proverbiali buche per cui le strade capitoline sono celebri.

Il caso è stato affrontato in udienza, dove Minzolini ha confermato il suo giudizio, chiamato l’esponente renziano Luciano Nobili a testimoniare, mentre la ex sindaca ribadiva l’immortale merito delle sue toppe. A prescindere dalla sentenza resta una considerazione: nulla altro per cui ricordarla.

Dimenticata.

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