Top e Flop, i protagonisti di giovedì 18 maggio 2023

Top & Flop. I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 18 maggio 2023

TOP

ELLY SCHLEIN

Elly Schlein (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Tutto si può dire di Elly Schlein meno che non sia una resiliente nata. La Segretaria dem ha alimentato e di molto la mistica “attiva” della leader che spinge, attacca, contrasta e cazzia come se non ci fosse un domani. Tanto ortodossa era apparsa, la Schelin, nel dare la linea al nuovo Nazareno che molti fra i suoi detrattori si erano sperticati soprattutto nel farle notare che diceva molti no e dava poche rotte.

Insomma, che non aveva una linea programmatica che non fosse quella “di Letta” solo con più pimento, a fare il distinguo tra forma e merito. E invece la Schlein vera se ne stava accucciata nell’angolo dove il mainstream non raggiunge quasi mai le vere skill delle persone.

E attendeva la buona occasione per giocare a scacchi invece che a rugby. Ha detto la Schein: “Noi siamo un Partito responsabile, per questo ascolteremo il governo. Ma la priorità nel Paese è la riforma della Costituzione?“. A cosa si riferisce la segretaria Dem? Alla stagione di riforme messa sul piatto a 30 anni dalle ultime Bicamerali dal governo di Giorgia Meloni.

E la linea? “Ci confronteremo sui temi e porteremo una posizione, ma la convocazione non sia un modo per distrarre l’attenzione sui temi che interessano le persone e le necessità del Paese: lavoro, sanità, Pnrr”. Ecco la Schlein che tutti, perfino o suoi invocavano, quella che quanto meno sul pentagramma della dialettica di pronta beva gioca sulla concretezza e marca a zona, non “a uomo”. E la leader è stata anche moderatamente insinuante, cioè “cattiva in senso buono”.

Il sospetto è che il governo cerchi di spostare l’attenzione, quasi un alibi, rispetto ai problemi veri che ci sono sul tavolo. Quali sono le regole di ingaggio di questi incontri, quelle che si avanti comunque anche senza opposizioni?”.

Molti avevano paura che Elly fosse solo un totem di rappresentanza e moltissimi stanno scoprendo che sa essere anche scotennatrice. In democrazia non sol ci sta, ma è bello saperlo.

Inizia a mordere.

MADRE CRISTINA PIRRO

Madre Cristina Pirro

Il problema non è la Chiamata. Ma il suo eco. Sul quale sintonizzarsi tutti tutti i giorno. Il che non è facile se si tiene conto dei rumori e delle interferenze che in continuazione tentano di distrarre o far perdere il segnale. Per sentirlo meglio, lei dopo due anni che era in ascolto decide di mettersi in una posizione migliore: clausura radicale all’interno del convento di Sant’Andrea Apostolo ad Arpino.

È lì che madre Cristina Pirro si è trasferita nel 1969 due anni dopo avere indossato l’abito benedettino. Lì prega da 54 anni senza mai uscire e lì ha festeggiato ora i suoi ottant’anni. Semmai avesse avuto qualche dubbio, al suo arrivo incrociò la processione della Madonna di Loreto che dal monastero andava proprio alla chiesa di San Michele Arcangelo. Lei capì le era venuta incontro.

E stanno insieme, lì dentro, da 54 anni. Ricordandoci che la luce della Parola deve essere portata nel mondo: la lampada va messa in alto affinché illumini ancora di più. Ma per custodire quella luce e tenerla accesa, occorre concentrarsi, isolarsi dalle distrazioni, ritrovarla giorno dopo giorno. Come sta facendo Madre Cristina.

Ora pro nobis.

FLOP

STEFANO BENIGNI

Stefano Benigni

Quello di Forza Italia è un mondo che assomiglia un po’ a quelle congreghe aziendali dove con il multilevel arrivavano manager messianici a dirti che se non eri diventato milionario entro i 30 anni era perché sei un coglione a cui nessuno ha illustrato la Retta Via. Per carità, l’immagine è simbologica e di iperbole. Ma ci sono aspetti degli “azzurri” che un po’ rimandano a questo modo di concepire il governo del sistema complesso-partito.

Colpa, o merito, di un leaderismo spinto che poggia tutto sul carisma del capo. E molto poco su quello di chi sta nei quadri. Stefano Benigni ad esempio è un giovane, anzi, il deputato del 1987 è leader dei giovani azzurri dal dicembre scorso. E ha detto che a Milano, qualche tempo fa, “ad attirare il consenso dei giovani è innanzitutto Berlusconi, ma anche quello che lui ha creato in tutti questi anni… Penso al contenuto valoriale alla base di Forza Italia, al suo posizionamento politico in Italia e in Europa. Un qualcosa che è destinato a durare nel futuro”.

Attenzione: il ragionamento di Benigni non fa una grinza, perché è un dato che grazie a Berlusconi (e ad Antonio Tajani quinta colonna nel Ppe) Forza Italia è ancora oggi la formazione politica più affidabile e collaudata in Europa, la più europeista da sempre e non per approdo e la più “ammanicata” con un concetto di governo moderato, a fare la tara agli anacronismi di un anticomunismo viscerale che pare più banderilla ormai.

Quindi il sunto è che Benigni, uno degli uomini di Marta Fascina, nel tracciare un bilancio della recente convention parte da un presupposto vero e sano: lui parla di “un partito che punta sui giovani e dà loro molto spazio. 670 giovani erano accreditati venerdì e oltre mille sabato, su una partecipazione di circa 5mila persone. E’ stata una cosa senza precedenti non venite a dire che erano truppe cammellate”.

Assolutamente no. Ma Benigni sa benissimo che di truppe si parla non per denigrare un Partito che senza le “truppe” non avrebbe ragione di esistere. E sa benissimo che nessun Partito ha supporters che siano tutti consapevoli sacerdoti delle lotte dello stesso.

Molti, per canone statistico, sono persone che si accostano, che “curioseggiano” e che ci provano. Insomma, considerare tutti i giovani forzisti come scintillanti esecutor di un’Idea Somma pare un’iperbole. Ammettere che molti di loro sono stati fatti oggetto di una “chiamata” significa essere semplicemente concreti, realisti e moderati. Cioè forzisti.

Senza esagerare dai.

ESTERINO MONTINO

Esterino Montino

Il suo lo ha fatto: sindaco per dieci anni. Ed in una piazza non semplice: Fiumicino. In un periodo meno semplice ancora: gli anni immediatamente successivi al governo regionale di Piero Marrazzo nel quale lui era l’anello di trasmissione tra la teoria politica e la messa a terra concreta. Ma la sconfitta del candidato indicato da Esterino Montino per la sua successione apre molte riflessioni interne al Partito Democratico.

Perché Montino non era solo il sindaco uscente. Era il coordinatore politico della campagna elettorale di Alessio D’Amato nella sua corsa a presidente della Regione Lazio. E perché il suo avversario non era un ragazzino spinto dal vento del nuovismo ma un Mario Baccini che viene da altrettanto lontano seppure dal fonte opposto.

Il combinato disposto delle due cose conferma al Pd la necessità di costruire nuove fondamenta sulle quali edificare la prossima stagione. Perché la spinta propulsiva dettata dall’autorevolezza dei Montino è scesa sotto il livello di sopravvivenza. Occorre quella competenza ma su una generazione che abbia obiettivi in sintonia con il nuovo Lazio che va alle urne. E più ancora con quello che non ci va: c’è una massa di elettori che non si sente rappresentata ed è lì che va colto il messaggio. E recuerato il voto.

Il che pone al centro un altro tema: il Partito ha bisogno di una guida forte ed autorevole tanto a Roma (Andrea Casu non è stato ancora sostituito) quanto nel Lazio (nessuno sarà mai in grado di sostituire Bruno Astorre ma almeno ci si deve tentare). Una guida che sia sintesi e non vittoria, equilibrio e non sovrastazione. Altrimenti, dopo Fiumicino ci saranno tante altre Fiumicino.

Il tratto della linea di galleggiamento.

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