Top e Flop, i protagonisti di giovedì 2 marzo 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 2 marzo 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 2 marzo 2023

TOP

IL SENATO

Palazzo Madama

Quando si innesca una grande ed irrisolta questione ambientale e lavorativa ci sono due direttrici per seguirla e risolverla evitando in conflitto standard fra le due componenti: la prima, prioritaria, è quella di fermare chi o cosa inquini, la seconda è impedire che l’azione di contrasto abbia effetti troppo diretti sul sistema complesso di produzione di ricchezza che rappresenta.

Qualcuno lo avrebbe chiamato il “paradosso Schlein”, con la ormai Segretaria Dem impegnata ad invocare l’elettrico come soluzione. E le controparti a ricordarle che affrancare l’Italia dalla produzione convenzionale significherebbe far fare all’Italia uno scatto in avanti di oltre mezzo secolo. Un po’ troppo per i problemi della fase “durante”.

Ed è per questo motivo che il Senato ha fatto benissimo ad approvare con 78 voti favorevoli, 57 contrari e 7 astenuti il decreto conosciuto ai più col nome non proprio rassicurante di “ex Ilva”. Si tratta di un legiferato che introduce misure urgenti per gli impianti di interesse strategico nazionale come quello di Taranto.

Ma in concreto cosa ha fatto Palazzo Madama contro il luogo totem dell’industrializzazione con cambiali di salute pubblica amarissime? Lo ha salvato ma a precise condizioni. Il decreto consente il trasferimento infatti di 680 milioni ad Acciaierie d’Italia e si tratta di un prestito ponte per coprire i debiti ed evitare di portare i libri contabili in tribunale.

Di fatto è uno scudo per impedire che l’autorità giudiziaria emetta “sanzioni interdittive” che pregiudichino la “continuità dell’attività” svolta negli stabilimenti considerati di interesse strategico nazionale. Insomma, se le Procure individuassero guai su cui esercitare l’azione penale nelle more di quell’esercizio l’azienda non avrà, o non dovrebbe avere, problemi di sorta nel portare la baracca avanti. Almeno fin quando la legge non avrà fatto il suo corso (birba chi scrive e pensa “giustizia”).

Il ministro per le Imprese Adolfo Urso ha parlato di “importante il voto del Senato sul decreto legge relativo alle imprese strategiche che consente anche di ripristinare le condizioni per sviluppare la siderurgia italiana. Tappa importante della nuova politica industriale“. E non ha tutti i torti. Non li ha al di là di ogni retorica partigiana. Perché il Pnrr sarà pure una manna, ma per applicarlo servono condizioni di partenza. In cui l’Italia è carente da tanto, forse troppo tempo.

Ci voleva.

RICCARDO MASTRANGELI

Il Multipiano di viale Mazzini

È il mago dei conti. Nei dieci anni di amministrazione del sindaco Nicola Ottaviani è stato lui a gestire le Finanze. Con oculatezza e parsimonia vicine alla tirchieria. Non c’era molto da scialare con la Corte dei Conti appollaiata su una spalla ed il Ministero dell’Interno sull’altra: entrambi a controllare il piano decennale di rientro con cui cancellare una volta per sempre tutti i debiti accumulati dal Capoluogo a partire dal Dopoguerra.

Ora si trova a dover gestire un’altra patata bollente. Il fascicolo è quello del parcheggio Multipiano di viale Mazzini: un colosso costruito intorno al nulla. Venne realizzato negli anni del Centrosinistra da un socio privato (il gruppo Zeppieri). In cambio gli affidarono la gestione di quei parcheggi per trent’anni ed una parte delle strisce blu in città.

A quell’epoca il Multipiano aveva un senso. Anzi: era indispensabile. Perché lì a due passi c’era l’ospedale Umberto I, stava entrando in funzione l’ascensore inclinato che univa la parte alta e quella bassa della città, c’era un piano di rivitalizzazione del centro storico. Poi però l’ospedale si è trasferito nell’attuale sede dello Spaziani e con lui tutta la massa di auto che paralizzava il traffico di Frosinone; l’ascensore inclinato non ha funzionato; il Centro è com’è.

Un cambio radicale dello scenario. Che ha indotto il gruppo Zeppieri e portare la questione in Tribunale e chiedere un risarcimento. Riconosciuto in 135mila euro per un solo anno preso in considerazione: ora ci sono tutti gli altri dieci anni da calcolare. Per un danno stimato intorno al milione e mezzo scarso. Più quello futuro: si arriva verso i 4 milioni. Ma è qui che è entrato in campo il sindaco Riccardo Mastrangeli.

Si è messo al tavolo, con la calcolatrice in mano Ha incontrato la Frosinone Servizi e Mobilità (la società di gestione che vede insieme il gruppo Zeppieri più altri due soci) proponendo una transazione: ci si mette d’accordo, il Comune gli paga una somma e si riprende la gestione trentennale che sarebbe scaduta nel 2040.

Si ragiona intorno ai 2 milioni per chiuderla subito. Il Comune se li farebbe anticipare dalla Cassa Depositi e Prestiti. Più la parte restante del mutuo acceso dai dai privati. Se gli riesce, il sindaco Mastrangeli tira fuori la metà di quello che rischiava di tirare fuori in caso di condanna complessiva del Comune. E si prende Multipiano e parcheggi stradali. Che potrà iscrivere a Bilancio come beni dai quali ricavare utili.

Dottor risanatore.

FLOP

LA CAMERA

“Un segreto è quella cosa che è tale sono se a conoscerla sono due persone ed una è morta”: la vulgata degli anni ruggenti del Sismi attribuisce questa frase, addirittura parrebbe impressa su un crest dietro la sua scrivania a Boccea, al contrammiraglio Fulvio Martini, nome in codice Ulisse, che il servizio segreto militare lo guidò in anni davvero difficili. Ora però, se consideriamo un segreto da un punto di vista della mistica e delle esigenze operative di un apparato complesso di sicurezza la cosa sta più o meno a fuoco. Ma se lo mettiamo in tacca di analisi da un punto di vista delle dinamiche parlamentari di uno stato democratico la cosa diventa “pesante”.

Pesante come la decisione della Camera di secretare gli atti del Giurì che sta indagando per parte laica sul caso Donzelli. Non giriamoci troppo intorno solo per aumentare volume allo scritto: se una premier, un ministro titolare di caso, il Copasir e perfino una Procura come preambolo introduttivo ad una indagine parallela che non porterà a nulla, hanno detto che Donzelli è stato irrituale e scostumato ma non “criminale”, perché mettere il segreto all’azione con cui la Camera sta validando al più la sua scostumatezza nell’accusare alcuni Dem di essere “schierati” con la retorica terrorista sul caso Cospito?

In Italia quando una cosa è confusa diventa un segreto. Quando è palese diventa un segreto. E quando è segreta diventa palese. Ma perché facciamo così? Che problema abbiamo noi? Che medico ci vuole per questo popolo ammalato di retorica, ridondanza e toni tragici e che ha affidato al melodramma cantato tutto il suo arco di esistenza storica? Da questo punto di vista le parole di Debora Serracchiani, ascoltata dal Giurì d’onore proprio sul caso di specie, sono paradossali ed illuminanti al contempo.

Illuminanti su cosa? Sul buio, e l’ossimoro è voluto: “Mi aspetto che si faccia luce su una dichiarazione che ha portato a questo Giurì e quindi evidentemente c’è qualcosa da verificare”. Ecco, quel “faccia luce” suona fesso come le risate di Buster Keaton che erano mute ma chiaramente visibili nella mimica dei film scattisti degli anni ‘30. Serracchiani è parte in causa con i colleghi Silvio Lai e Andrea Orlando e del senatore Walter Verini (sempre del Pd), per la loro visita in carcere all’anarchico che si è fatto gandhiano ed ha diviso il Parlamento come il Mar Rosso.

Chi sta nella commissione “segreta”? Il vicepresidente cinquestelle della Camera, Sergio Costa, Roberto Giachetti del Terzo Polo, Alessandro Colucci di Noi Moderati, Anna Maria Patriarca di Forza Italia e Massimo Cecchetti della Lega. Di loro sappiamo i nomi ma non consoceremo intenti, azione e procedure per arrivare ad una verità tonda. Perché è un segreto, e i segreti italiani devono essere tali quando tutto quello che c’era da sapere è stato già saputo.

Ssssst, è un segreto!

SCHLEIN E TRANCASSINI

Elly Schlein (Foto: Andrea Panegrossi © Imagoeconomica)

Sulla graticola. A sinistra ed a destra. Per due strategie che ora si trovano a dover decidere. Elly Schlein per stabilire dove posizionare il Partito Democratico nazionale, Paolo Trancassini per non vedersi sfilare gli assessorati che spettano a Fratelli d’Italia in Regione Lazio dopo avere conquistato due terzi dei seggi di maggioranza.

La neo Segretaria nazionale Pd è ad un bivio: o rinnega le sue posizioni di piazza ed abbraccia l’Atlantismo oppure porta il Partito sul pacifismo; il che imporrebbe di rivedere le posizioni Dem sull’Ucraina ed avvicinerebbe molto alle posizioni del M5S. Che però ha già capito la musica e Giuseppe Conte sente la puzza di fagocitazione: se è intelligente farà di tutto per non collaborare ma anzi marcherà le distanze con il Pd. In caso contrario è destinato alla dissoluzione come leader in pochi mesi di fronte ad una Schlein che è geneticamente più grillina di lui in tutto. Invece la via dell’Atlantismo sarebbe per Schlein una dose di realpolitik: dopotutto si è dovuta inchinare anche Giorgia Meloni…

Paolo Trancassini

Paolo Trancassini ha condotto benissimo le trattative per la Giunta Regionale del Lazio che Francesco Rocca dovrà cercare di mettere a punto: due terzi degli assessori perché il suo Partito ha due terzi dei seggi. Ma ora si trova di fronte all’asse composto da Lega e Forza Italia. Che hanno chiesto di assegnare gli assessorati non in base ai seggi ma in base alle percentuali ottenute dai Partiti. Il che gli ridurrebbe di un paio di ministeri regionali la ricca pattuglia in Giunta.

Dicono che la questione sia stata messa in mano a Giorgia Meloni. Che ribaltato ancora una volta il tavolo: unendolo a quello della giunta da comporre in Lombardia (che ha votato insieme al Lazio).

Sulla graticola.