Top e Flop, i protagonisti di giovedì 23 febbraio 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 23 febbraio 2023.

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 23 febbraio 2023.

TOP

I BAMBINI DI TRASACCO

La basilica di San Cesidio a Trasacco (Foto © Regione Abruzzo)

I bambini di Trasacco sono troppo giovani per andare militari e troppo avanti nel calendario per andarci anche quando avranno l’età giusta. Ma hanno fatto una cosa che ogni militare serio apprezzerebbe e metterebbe in bacheca di reggimento: hanno applicato la regola aurea per cui ogni plotone deve viaggiare esattamente alla velocità del suo uomo più lento, anche e specie sotto le bombe. Indietro non si lascia nessuno insomma.

Ora togliamo la metafora con le mostrine da una cosa che di militaresco ha solo le iperboli del narratore e torniamo a parlare dei bambini di Trasacco. Per la precisione sono quelli di un istituto comprensivo che hanno onorato in paradosso quell’aggettivo e lo hanno fatto due volte. Comprendere significa infatti sia capire che includere, in questa lingua meravigliosa che ci suggerisce già con le parole verso dove dovrebbero veleggiare le nostre azioni.

I bambini di Trasacco erano in gita a Roma con la scuola. Si stavano godendo una splendida giornata in uno splendido posto ed hanno capito che splendere lo si può solo assieme. Perciò quando al loro compagno di classe disabile si è rotta la pedana elettrica del pullman hanno capito. Capito che uscire ad ammirare musei e sole e chioschi e le mille facce della città più bella della galassia non sarebbe stato giusto. Non se il loro compagno in carrozzina fosse rimasto in autobus a schiacciarsi il naso contro il vetro e l’anima contro un destino che lo ha voluto immobile, fermo in mezzo alla frenesia gioiosa del mondo.

I bambini di Trasacco non ci sono andati più, per strade e chioschi e sole. Hanno rinunciato di comune accordo alla gita: sono rimasti tutti con il loro compagno. Un compagno più sfortunato ma fortunatissimo perché ha amici che hanno capito tutto e che in quella “gita di istruzione” ci hanno istruiti loro.

E ci hanno detto proprio quello che tutti abbiamo dimenticato: che qui signori miei si viaggia alla velocità del membro più lento della comunità in cui viviamo. E se lui si ferma cacchio si, ci si ferma con lui. Solo quell’attimo benedetto per fargli capire che no, non è solo.

Non alunni, docenti.

GERARDO ANTONAZZO

Gerardo Antonazzo in partenza per la Turchia

Il terremoto. Fu il violento che nel 1925 ridusse in macerie la regione bulgara di Plovdiv, l’antica Filippopoli. In maniera del tutto spontanea, l’allora giovanissimo ‘visitatore apostolicoAngelo Roncalli (il futuro papa Giovanni XXIII) organizzò una raccolta d’ogni cosa potesse essere di conforto per le popolazioni ortodosse rimaste praticamente senza nulla. Il terremoto fu l’occasione che fece nascere un ponte di dialogo e fraternità.

Gerardo Antonazzo, vescovo di Cassino – Sora, è decollato questa mattina su un volo della Turkish Airlines per raggiungere le macerie al confine tra Turchia e Siria. Andrà nel dolore di Adana, Mersin, Iskenderun, Kahramanmaraş: lì dov’è stata scattata la foto del padre che non riusciva ad allontanarsi dalla mano della figlia che affiorava dalle macerie sotto le quali era morta e sepolta. (Leggi qui: È uno sporco mestiere, Adem).

Il vescovo porterà i beni raccolti in pochi giorni nella sua diocesi: due Tir carichi di beni di prima necessità.

Si sarebbe potuto limitare a chiamare uno spedizioniere, affidargli il carico, pagare la bolletta e tanti saluti con una preghiera. Invece Gerardo Antonazzo ha voluto ricordare che oltre ai corpi esistono le anime. E che hanno bisogno di cure soprattutto loro. Spesso basta una carezza, un abbraccio, uno sguardo, per condividere un dolore che è troppo grande per stare dentro una persona. È per questo che ha deciso “di accompagnare personalmente la consegna della raccolta per testimoniare ed offrire anche una presenza concreta della nostra Chiesa diocesana. Poter stabilire relazione di fraternità e di reciprocità”.

La Chiesa è universale anche per questo. Perché dalla terra ferita di Filippopoli parte un messaggio per la terra arida di sentimenti che sta nel sud della provincia di Frosinone. Quanto sono capaci di consolare? Quanti si ricordano che spesso basta una carezza o uno sguardo per riconciliare? E quanti ricordano che una bocca chiusa, una maldicenza in meno, significa un rancore ed un veleno che non vengono seminati?

Il vescovo ce lo ricorda da lì dove oggi c’è solo dolore e gli interrogativi sulla tragedia sono tanti e restano senza risposta. Ma una risposta lui l’ha portata. A loro ed a noi.

Chiesa universale.

FLOP

GIUSEPPE VALDITARA

Giuseppe Valditara

Insegnare non è una professione: è una missione. Chi sceglie di fare il maestro o il professore soltanto per lo stipendio lo riconosci subito. È diverso dagli altri. Perché chi è vero insegnante ti lascia sempre dentro qualcosa. Qualcosa che va oltre i numeri, oltre le declinazioni, oltre le formule ed i concetti. Ti apre la mente, ti insegna a pensare. Non ti condiziona. Ma ti fornisce gli strumenti per pensare da solo.

Non tace, non si nasconde: soprattutto in un’Italia repubblicana che nasce dai colpevoli silenzi di chi consentì che la violenza dilagasse nelle strade, chi permise che il razzismo prendesse casa nella terra che fu di Cesare e di Dante. Silenzi che permisero la nascita e lo sviluppo delle persecuzioni a carico di italiani con un solo difetto: pregavano uno che doveva ancora venire mentre per noi era già arrivato.

Chi rompe il silenzio non è indifferente. A prescindere da ciò che pensa. Chi denuncia la violenza squadrista merita elogio e rispetto. Quello che deve andare alla preside del Liceo di Firenze dopo l’aggressione squadrista subita da alcuni suoi allievi nei giorni scorsi.

Per questo è intollerabile l’uscita fatta nelle ore scorse dal ministro Giuseppe Valditara in diretta al programma Mattino 5. Dove ha giudicato quella lettera: «del tutto impropria. Mi è dispiaciuto leggerla. Non compete a una preside lanciare messaggi di questo tipo e il contenuto non ha nulla a che vedere con la realtà: in Italia non c’è alcuna deriva violenta e autoritaria, non c’è alcun pericolo fascista, difendere le frontiere non ha nulla a che vedere con il nazismo. Sono iniziative strumentali che esprimono una politicizzazione che auspico che non abbia più posto nelle scuole; se l’atteggiamento dovesse persistere vedremo se sarà necessario prendere misure».

L’unica misura che andrebbe presa è l’espulsione del ministro Valditara: dal Governo e da tutte le scuole del Regno. Non è adeguato. È rimasto ad una destra in orbace e passo dell’oca. Che nulla ha da spartire con la destra disegnata da Giorgia Meloni. Che in Europa si sta ritagliando, tra mille diffidenze, una reale considerazione. E che non si può gettare alle ortiche per un ministro evidentemente non allo stesso passo.

Quattro per impegno e due per risultato.

GIORGIO MULE’

Giorgio Mulé (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Galeotti furono la “patacca”, il caso Montaruli e il tripolarismo del Cav, in mezzo ci sta lui, Giorgo Mulè, che da forzista è passato “forsista” in poche ore, costretto un po’ come tutti gli azzurri ormai ad inseguire la lepre del capo del Partito nei suoi repentini ed improvviso scatti in avanti alternati a cambi di rotta che Garrincha scansati. Riassumiamo ché di questi tempi c’è da uscire matti davvero, con il Cav che è una pallina di flipper praticamente irraggiungibile nei suoi rimbalzi.

Preambolo: Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni governano e governeranno insieme ma si detestano, piantiamola di parlare di equivoci e di dialettica sennò perdiamo di credibilità. L’ultimo affondo del primo alla seconda con Volodymyr Zelensky movente ha innescato un effetto domino su cui si sono innestati il Caso Cospito che c’era già prima e le dimissioni di Augusta Montaruli per le spese pazze in Piemonte che sono arrivare dopo: due scivoloni targati Fratelli d’Italia che hanno messo in moto i “coltelli” azzurri.

Sulla Montaruli dimessa poi i pasdaran arcoriani si sono scatenati e il primo ad invocare le dimissioni della ormai ex sottosegretaria (si, lo ha fatto, dodici testate giornalistiche con fior di cronisti parlamentari non possono sbagliarsi) è stato Giorgio Mulè. Poi è arrivato il risiko del Superbonus e i due Partiti si sono accapigliati come randagi perché Fi dell’edilizia è amica e FdI è schiavo dei conti dello Stato in rosso.

Mulè è stato contrattaccato dai “Fratelli” che, incarogniti dalle parole di Berlusconi su Zelensky (e contro Meloni) ancora fresche in capoccia gli hanno ricordato che il suo Partito ha un capo anch’egli pregiudicato che siede beato in Senato senza che nessuno mai gli abbia contestato la posizione in casellario. Insomma, la rotta era tracciata, almeno fin quando il Cav non ha fatto retromarcia e sul Superbonus ha dato ragione alla Meloni.

A quel punto Mulè si è sentito come il fante senza più copertura di mitraglia pesante ed ha corretto il tiro. Intuendo cioè che il clima fra Fi e Fdi doveva rasserenarsi per ordini superiori ha spiegato che lui le dimissioni della Montaruli no, non le ha chieste, poi ha attaccato un incolpevole Alessandro Sallusti che, forse un po’ in iperbole, lo aveva accusato in editoriale di aver “provato a girare il coltello nella piaga con una uscita di prima mattina intempestiva e violenta nei confronti degli alleati”.

Neanche Sallusti sapeva che il Cav avrebbe avuto un altro dei suoi scatti da gambero mattoide e nelle intenzioni di Mulè quello che doveva rimanere con il cerino acceso in mano era il giornalista, da lui accusato in una lettera aperta di essere un “pataccaro”.

Lettera scritta con una mano sola, perché nell’altra, quella di Mulè, c’era il cerino acceso che lui diceva esserlo in mano altrui. Acceso nella sua giusta destinazione.

Forse Italia.