Top e Flop, i protagonisti di giovedì 23 marzo 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 23 marzo 2023

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Top & Flop. I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 23 marzo 2023

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TOP

GIOVANNI DONZELLI

Giovanni Donzelli (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Con l’Enobarbo imperatore (Nerone) c’era bisogno più di polizia che delle sciantose esibizioni artistiche sciorinate dal monumentale e bugiardissimo Quo Vadis. Perciò la figura del Prefetto del Pretorio era fondamentale. Tigellino ad esempio era noto per essere uomo pieno di problemi di relazione ma bravissimo a nasconderli. A lui era richiesta l’efficienza del poliziotto, non certo l’istrionismo dell’amicone.

Quella che in certo termini fu figura antesignana del Ministro dell’Interno era una figura chiave di un sistema di potere che incentrava tutto sulla preservazione del carisma (e della vita, a quei tempi) del capo. Ovviamente oggi le cose sono abissalmente diverse. Ma ci sono alcuni piccoli raffronti storici in iperbole che val la pena menzionare. Lo si può fare partendo da un assunto semplice: gli uomini più vicini ai capi devono essere verbalmente e concretamente più retti dei capi stessi, altrimenti se lo sgarrano i sedimenti del loro errore ricadono sui capi. E muore la loro mission.

Ecco perché Giovanni Donzelli, “scagionato” dalle accuse, ha capito benissimo la lezione e si è inabissato. Per riemergere solo da Bruno Vespa dopo che il suo caso era tornato ad essere solo etico e non più fascicolare. Assieme ad Andrea Delmastro il fedelissimo di Giorgia Meloni scomparso dai radar è reduce da una stagione breve ma intensa: quella con cui in poche settimane lui ed il suo coinquilino hanno dato il primo serio scossone alla credibilità della premier di cui sono “pretoriani” assoluti.

Donzelli, in particolare, è passato dall’essere il megafono della Meloni in Parlamento e nel mainstream mediatico a silente figura di cui da un po’ non si sa più nulla. Leggenda vuole che quando scoppiò il caso Cospito con Donzelli ad accusare alcuni esponenti del Pd grazie al report che gli aveva “soffiato” Delmastro da via Arenula le urla di furore della Meloni abbiano eguagliato quelle di Augusto quando Varo gli sperse le legioni a Teutoburgo sotto le mannaie teutoni. E da allora Donzelli ha capito, ha capito che il silenzio è d’oro e che la sua innocenza rispetto a ciò che gli si contesta è legata a doppio filo alla discrezione con cui non sta contestando la contestazione.

Tant’è che non è più apparso in pubblico fino alla serata da Vespa, nel corso della quale ha dato sfogo moderato alle sue pulsioni belluine represse. Ma con la flemma di chi ha preso uno shampoo sopraffino. La sua ultima uscita pubblica aveva coinciso con l’autodifesa dallo scandalo nell’aula di Montecitorio il 31 gennaio scorso ma sul lavoro nulla si è fermato. Però senza che uscissero cose o notule o approcci mediatici. Il deputato meloniano in casta cattività babilonese ha partecipato in seduta segreta ai lavori del Copasir il 16 febbraio, il 21 febbraio e il 2 marzo.

Ma tacendo. Ed ubbidendo, non solo al suo capo, ma anche alla logica del buon senso che da sempre vede i mestatori di acque costretti alla fase “camomilla” come primo passo per sanare i “casini” che gli si attribuisce.

Il silenzio dei (presunti) innocenti.

RENATO DE SANCTIS

C’è un limite oltre il quale anche il cattivo gusto diventa simpatico. È quello immortalato in celebri pellicole interpretate da Alvaro Vitali con il suo Pierino, o il maresciallo di polizia Nico Giraldi oppure se preferite Er Monnezza entrambi interpretati da Tomas Millian. In quei fotogrammi c’è un’abbondare di flatulenze, una sinfonia di eruttazioni, i dialoghi avvengono in un linguaggio basico e tutto si svolge in un cointesto scorretto. In una parola: trash. Esattamente come il Consiglio Comunale andato in scena ieri sera a Cassino. (Leggi qui: Osteria Di Biasio: Consiglio Comunale tra ‘vaffa*’ e ‘stu cafone’).

I benpensanti si saranno scandalizzati per le successioni di vaffan*, le accuse di essere ‘sciemirivolte agli avversari politici, oppure quella personalizzata per il sindaco Enzo Salera accusato di essere buono solo per presentare la Sagra della Polenta: iniziativa meritoria per i suoi profili gastronomici ma poco impegnativa sul piano della rappresentazione dal palco.

Per non dire delle finte gag quando qualcuno dalla maggioranza prova ad affrontare il protagonista Renato De Sanctis e comincia il bisticcio con le mani: “Nun me toccà“, “Vattenne và”, “Ti strippo”, tranne Mario Merola o Lino Banfi e la musichetta comica in sottofondo c’era tutto per confezionare un capolavoro del trash. Peccato che tutto si svolgesse dal vivo e non fosse un film; peccato che tutto fosse nell’Aula di un Consiglio Comunale che dovrebbe essere il massimo esempio dell’esercizio dialettico e non della cafonaggine.

Ma i biglietti staccati ai botteghini, gli indici di ascolto rilevati anche a distanza di quasi quarant’anni, dicono con chiarezza una cosa: che quel trash piace, fa successo, la gente ride e si rilassa.

E se questo era l’obiettivo del consigliere comunale di Cassino Renato De Sanctis e dei suoi colleghi d’Aula, ci sono riusciti alla perfezione.

Tra Bombolo e Pierino.

FLOP

SALVATORE BORSELLINO

Salvatore Borsellino (Foto: Valerio Portelli © Imagoeconomica)

La figura è controversa ma nettissima in quanto a rettitudine morale, capiamoci. E non è un ossimoro, perché si può essere persone specchiate e non sempre avere ragione, o quanto meno esporre delle ragioni discutibili. Lo sono anche a contare che le si espone perché il punto di vista di chi le impugna è particolarissimo. E prevede un grado di coinvolgimento di massimo rango emotivo. Come il punto di vista di Salvatore Borsellino ad esempio, che in quanto fratello del giudice Paolo ha millemila motivi per avercela. Non solo con chi glielo ammazzò col tritolo nel ‘92 a via D’Amelio. Ma anche con uno Stato che in quella mattanza per lui ha avuto parte con sue frange abnormi ma tuttora impunite.

Non bisogna essere necessariamente Salvatore Borsellino per capire che su Paolo Borsellino gravavano nubi non solo mafiose. Ma che in punto di Diritto quelle nubi abbiano rilasciato la pioggia acida della connivenza o peggio ancora della complicità è ancora tutto da dimostrare. Ma Salvatore ormai tira dritto come un Pendolino. E a volte commette errori.

Errori come quello chiave di contestare ogni cosa che lo Stato, un qualunque Stato, faccia in ordine al tema dell’impalcatura legislativa che sorregge la Giustizia per parte politica. Sul caso Cospito ad esempio. Salvatore Borsellino ha detto che “il 41 bis non andava applicato a Cospito, nel suo caso non è giustificato“. Il fondatore delle Agende rosse ribadisce l’importanza del carcere duro nella lotta a Cosa nostra. “In questi anni è stato indispensabile per dare a magistratura e forze dell’ordine le armi necessarie a combattere la criminalità organizzata”.

Viene descritto come qualcosa di punitivo. Se fosse solo così sarebbe da respingere. Ma il 41 bis non serve a rendere più duro il carcere, bensì ad impedire che dietro le sbarre i mafiosi possano continuare ad avere contatti con l’esterno“. Tutto bene, ma Borsellino come e più di tutti dovrebbe capire che in punto di norma non far parlare un anarchico terrorista con i suoi sodali è utile. E soprattutto, in punto di etica, che anche i familiari delle vittime del terrorismo anarcoide hanno diritto alla loro libbra di carne.

Perché il dolore non si appalta per gradi di crimine, quello è uno solo.

Controverso.

ENZO DE AMICIS

È vero, Frosinone è lontana. Ed oltre mezzo secolo non è servito ad accorciare le due ore che occorrono per raggiungerla quando si parte da Latina. Ma la Ciociaria è a due passi, non occorre molto tempo per giungere al confine con i Lepini, fermarsi ad un’edicola e comprare i giornali. E se si vuole usufruire delle comodità messe a disposizione dalla tecnologia, nemmeno c’è bisogno di affrontare le distanze: un paio di clic è tutto on line.

Così avrebbe conosciuto da prima dove portava la strada che aveva appena imboccato, il dottor Enzo De Amicis: stimatissimo medico pontino, ex capogruppo del Pd, primo degli eletti nel 2021 con mille voti, un terzo di tutti quelli della lista. Nelle ore scorse ha rinunciato alla candidature alle Primarie che indicheranno il candidato progressista alle elezioni Comunali di Latina. Lo ha fatto di fronte all’aut aut del suo Pd che gli ha detto: noi abbiamo scelto il nome, tu puoi candidarti lo stesso ma devi lasciare la tessera oppure te la togliamo noi. “Un ricatto” hanno tuonato i suoi sostenitori. (Leggi qui: Primarie per Latina 2023, tre i candidati: De Amicis tiene unito il Pd).

Non è un ricatto. Sarebbe bastato mettere il naso tra le vicissitudini della vicina provincia di Frosinone per scoprirlo. Lì il Segretario del Pd di Cassino Marino Fardelli si è dimesso, non condividendo le Primarie che hanno poi incoronato e preceduto la vittoria del sindaco Enzo Salera. O il Consigliere Luca Fardelli: al quale la tessera non è stata rinnovata perché si è candidato contro Salera. Esattamente la stessa cosa capitata ad Antonella Di Pucchio che ad Isola del Liri si era candidata contro Massimiliano Quadrini, indicato dai Dem. Lo Statuto è chiaro: chi si candida contro il Partito è fuori. Per almeno due anni.

Un politico navigato come Enzo De Amicis non poteva ignorarlo. Uno che da solo prende un terzo dei voti di tutto il Partito, navigato com’è lui, conosce benissimo le regole. La sua ‘quasi spallata’ alle Primarie è stato un modo per rendere visibile il dissenso. Quello per la scelta dei dirigenti caduta sull’avvocato Daniela Fiore. Legittimo, comprensibile: se si dissente si deve mettere in chiaro che la propria opinione è differente, si chiama Democrazia.

Ma se non c’era intenzione di candidarsi davvero alle Primarie (è evidente che la minaccia di revocare la tessera sia solo la linea del confine sulla quale De Amicis sapeva benissimo di volersi fermare) allora perché dare l’impressione di voler spaccare un fronte unitario che per la prima volta, dopo decenni, si è ricostruito? (Leggi qui: L’impiccio delle primarie e la Roma che non riconosce il derby).

Se il dissenso è legittimo (e talvolta salutare) il metodo per manifestarlo ha rischiato di lesionare un’immagine di unità e compattezza che è quanto ora gli elettori chiedono al mondo Progressista.

Buono il principio, da rivedere il metodo.