Top e Flop, i protagonisti di giovedì 25 maggio 2023

Top & Flop. I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 25 maggio 2023

TOP

ADOLFO URSO

Adolfo Urso (Foto: Paola Onofri © Imagoeconomica)

Non spiace affatto che un concetto come il Made in Italy diventi un tema da sviluppare. Non spiace per due motivi. Il primo è ovvio: una cosa è enunciare un mezzo luogo comune o una verità concettuale, un’altra è metterla a terra e farla diventare via concreta di sviluppo. E il Made in Italy è stato per troppo tempo altro ed in senso peggiorativo.

E qui veniamo al secondo motivo: con il fatto che dal 25 settembre scorso a Palazzo Chigi ci sia un esecutivo insindacabilmente di destra-centro molte cose sono state messe a mollo nella broda torbida del revanscismo storico di taglio inquietante. Spieghiamola meglio: tutto ciò che ha troppo a che fare con il concetto di “italianità” e che non ha l’ampio afflato europeo viene puntualmente incasellato nella bacheca delle prove provate del fatto che a comandare ci sono i nipotini di quelli degli “immancabili destini”.

Grazie a gente come Francesco Lollobrigida poi certe letture hanno trovato quanto meno motivazione ipotetica e si è andati alla via così, un po’ a ruspa. E invece il Made in Italy è una cosa serissima, seria e fruttuosa da sempre, perciò legiferare su di esso dietro input del ministro sul pezzo Adolfo Urso è una cosa seria e concreta. Il Decreto Made in Italy è atteso all’esame del Consiglio dei ministri.

Esso ha un testo “smart” fatto di 47 articoli, come sempre non tutti a tema, ma il mood c’è: si va dal rifinanziamento della Nuova Sabatini alle misure di incentivazione del design e dell’ideazione estetica. E non è finita: è previsto anche un fondo sovrano al sostegno all’imprenditorialità femminile, alle filiere del legno, dell’arredo e del tessile.

E sotto spunta ci sarebbero anche disposizioni per l’approvvigionamento di materie prime critiche della filiera della ceramica. Nella bozza anche il liceo del Made in Italy e la ‘Giornata nazionale del Made in Italy’ che sarà il 15 aprile. A cosa servirà? A “celebrare la creatività e l’eccellenza italiana“. E che ci siano cose in Italia da celebrare è carino, che poi ve ne siano da finanziare e far crescere è bello, ed Urso lo ha capito.

Adolfo couturier.

ANTONIO ABBATE

Antonio Abbate

La vecchia tattica del sommergibile. Che resta nascosto sott’acqua per affiorare solo al momento di prendere definitivamente la mira e lanciare la salva di siluri contro un convoglio ormai condannato. La conosce benissimo Antonio Abbate: politico di antico corso, esperto navigatore nelle correnti della destra, silenzioso tessitore di accordi ed equilibri. Che non a caso lo vedono vice presidente regionale di Fratelli d’Italia.

I rumors di queste ore dicono che siano due i bastimenti messi nel mirino. E che la salva di siluri sia già armata, le camere di lancio siano allagate. Basta solo l’ordine e la robusta pressione sul pulsante rosso. Nel mirino c’è la presidenza dell’Ater di Frosinone ed in automatico c’è il destino politico di Gianluca Quadrini, presidente in carica del Consiglio provinciale di Frosinone.

Gli accordi politici, fino a ieri mattina assicuravano che le presidenze Ater di Frosinone e Latina fossero appannaggio di Forza Italia. Vero. Ma mentre a Latina il potentissimo Claudio Fazzone ha sistemato la pratica in cinque minuti, a Frosinone c’è stata una sollevazione. Con Gianluca Quadrini che ha rivendicato la nomina sulla base dei voti portati alle Regionali, Giuseppe Sacco che ha sommessamente ricordato il suo contributo, Rossella Chiusaroli che ha evidenziato quanto portato a Forza Italia sia alle Regionali e sia alle precedenti Politiche, senza Sacco e senza Quadrini.

Nel mentre, Fratelli d’Italia ha fatto notare che una soluzione la avrebbe ed a portata di mano: Antonio Abbate, già sindaco di Roccasecca, già commissario di parchi regionali. Non è stato un nome fatto a caso: la torretta del sommergibile di Abbate è stata avvistata nelle ore scorse, pronto a colpire. Se il partito gli darà il via libera metterà a segno il colpo. Praticamente senza essere visto.

Vecchia scuola.

FLOP

MATTEO RENZI

Matteo Renzi

La diatriba è davvero infinita e l’impressione è di fatto quella di un pollaio stanco dove due gallinacci vecchi se le danno in mezzo alle ovaiole indifferenti. Matteo Renzi e Carlo Calenda sono due personaggi in cerca di stampelle per un ego che ciascuno di loro ha lasciato che debordasse come un blob.

Ed è un magma gommoso che ormai da troppo tempo non ha nulla a che vedere con la politica. No, quello che tra i leader di Italia Viva ed Azione è sul piatto ancora oggi, a fine maggio, è roba che ha a che fare con l’impossibilità di potare, piallare e rimettere a cuccia personalità debordanti con truppe pochine.

Una cosa però va detta, fissata l’ecumenicità in negativo dell’eterna lite tra i due. Che Matteo Renzi è quello che avrebbe dovuto piantarla prima e meglio. Perché? Perché politicamente è il più “scafato”, perché è stato premier e perché ha dalla sua un Partito più strutturato che ha già portato a casa risultati, piaccia o meno. Anche perché ad esempio in Commissione Parlamentare Antimafia lui al voto ci è andato assieme ai calendiani. E, per inciso, ha perso lo stesso.

Insomma, fra due cani quello che la smette di minacciare prima e che o passa alle vie di fatto oppure svicola altero è di solito quello più grosso. Renzi però non sembra voler rinunciare a voler fare il botolo piagnone e continua a contrattaccare Calenda. Con cose come questa che peraltro tirano in ballo anche terzi che sul caso di specie sono incolpevoli.

Calenda? Se vogliono dipingermi come un mostro, lo hanno fatto i grillini tutti i giorni”. Ecco, ma perché ogni pietanza condita da ugola ed intelletto di Renzi (e di molti altri) deve portare stimmate e sale dell’essere del M5s?

E ancora: “Attaccami perché non funzionano le mi idee, non sul piano personale“. Poi la chiosa in punto di suggestione su una figurata bipolarità clinica dell’ex amico e sodale: “Il problema non riguarda me ma il fatto che ci sono due Calenda…”.

E molla no?

MAURO BUSCHINI

Mauro Buschini

La decisione è presa. In attesa dell’esito dell’autotutela con cui azzerare le nomine all’Egato di Frosinone, il suo presidente Mauro Buschini verrà commissariato. Ed il ruolo di commissario andrà al presidente della Provincia Luca Di Stefano.

Il che, per il presidente, è per un verso un sollievo e per un verso una croce. Sollievo perché con il commissariamento Mauro Buschini ha la conferma che la manovra contro di lui ha un fondamento solo politico, viene messo in discussione l’ente e la sua formazione; buttarlo giù comporta automaticamente la caduta del vertice. Non è una manovra con cui intervenire su sue decisioni strategiche sbagliate o su un’eventuale inerzia.

Ora la prospettiva è quella della via crucis per le aule giudiziarie. La ratio del ricorso è chiara: la Regione non può attaccare gli Egato in quanto tali perché è una legge dello Stato a prevedere l’istituzione degli enti che devono coordinare la raccolta dei rifiuti in tutta la provincia (o l’ambito ottimale); viene presa di mira la ripartizione delle quote tra i vari Comuni. Il che apre il fianco ad una difesa in punto di diritto: a prescindere dalla divisione delle quote il risultato totale espresso dai sindaci è chiaro. E dice si all’ente e Buschini come presidente.

Materiale per i giudici amministrativi. Con una disquisizione che minaccia di essere lunga e cavillosa. In attesa della quale Mauro Buschini ora dovrà fare i conti con la prospettiva di cedere il posto a Luca Di Stefano.

La decisione è presa, il centrodestra regionale ha stabilito che la rotta sarà questa. Ed il fatto che sia una scelta politica resta una consolazione. Magra.

Vittima sacrificale.