Top e Flop, i protagonisti di giovedì 9 marzo 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 9 marzo 2023

Top & Flop: i fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 9 marzo 2023

TOP

VERONICA ALFONSI

Veronica Alfonsi

Open Arms è una Ong che sta in tacca di mira da tempo per tutta una serie di vicenda che fanno tutte perno su una delle faccende più sopravvalutate della storia repubblicana: l’incidenza che hanno sulla vita del sistema paese Italia gli sbarchi di migranti. È roba che attiene all’etica, al Diritto internazionale ed a studi criminologici e sociologici. Che a leggerli bene e senza malafede disegnerebbero un’altra Italia.

Tuttavia il tema da sempre costituisce ormai una sorta di spartiacque fra il mondo prog e quello conservatore. Con il primo ad invocare umanità incondizionata ed il secondo a stringere la pancia delle masse nel nome della sicurezza che dovrebbe prevalere sulla bontà massiva. Insomma, un casino. Casino in mezzo al quale ci sono le Ong, che del meccanismo sono cartina tornasole e, sempre in lettura bifronte, “pietra dello scandalo”.

Ma Veronica Alfonsi, presidente di Open Arms Italia, non è caduta nel tranello ed ha azzannato alla giugulare il Governo in carica con argomenti molto meno effimeri. Dopo il via libera definitivo del Senato, il decreto Ong voluto da Matteo Piantedosi e benedetto da Giorgia Meloni è diventato legge. E la Alfonsi ha parlato di “atto incostituzionale” partorito da un governo che ha “come priorità quella di fermare chi salva vite.

E ancora: “Ancora una volta, la decisione è di concentrarsi sulle navi che salvano vite in mare, colpendole, fermandole, ostacolando il loro lavoro in ogni modo possibile“. Il clou eziologico era stato il fermo con multa della Geo Barents, la nave di Medici senza frontiere. E Alfonsi ha rimarcato: “Per aver fatto cosa? Per aver soccorso persone vulnerabili che altrimenti sarebbero morte. È davvero incredibile. Eppure di cose da fare per questo Paese ce ne sarebbero, compreso mettere in piedi un sistema di accoglienza che sia degno di questo nomee che non solo rispetti la dignità delle persone, ma renda possibile la costruzione di una società aperta, inclusiva, solidale”.

La chiosa è una dichiarazione di guerra in nome dell’etica. Poco talebana ma molto concreta: “Le navi umanitarie non si fermeranno, siamo abituati a dover combattere gli abusi e le violazioni. Finora la legge ci ha sempre dato ragione e siamo fiduciosi che continuerà a farlo, perché la verità è solo una: salvare vite non può essere considerato un reato. Mai“.

E sul “mai”, anche a contare torti, ragioni e sfumature, è scattato l’applauso. Perché lottare per un’idea e vedere chi lo fa è una cosa che ci piace ancora.

Indomita.

CARLOS TAVARES

Carlos Tavares (Foto: Canio Romaniello / Imagoeconomica)

Un capo ci mette la faccia. Sempre. Sia quando bisogna andare all’assalto, sia quando bisogna ripiegare. E nessuno può negare che Carlos Tavares, potentissimo tra i pochi al mondo capace di governare un mostro a più teste come l’Automotive, abbia l’indole del capo. E la schiettezza di dire ai suoi generali che il loro accampamento pere un albergo stellato ma lì si deve combattere e non fare hotellerie.

Lo fece pochi giorni dopo avere assunto il comando di Stellantis, uno dei principali player mondiali nell’Automotive. Tra le prime tappe del Ceo portoghese ci fu Cassino Plant, dove Sergio Marchionne si presentava all’alba con l’elicottero inatteso ospite costringendo il povero ingegner Ferrara a catapultarsi praticamente in pigiama e cravatta dentro lo stabilimento.

Meno traumatico di Marchionne nell’ingresso, molto di più nelle parole seppure pronunciate con pacatezza da Tavares. Quando venne la prima volta disse con chiarezza che tutto era bellissimo e pulitissimo “Ma fare le auto qui costa troppo”. Il preavviso di una sentenza di morte. Da allora sono saltati un migliaio di posti in fabbrica, l’organico sta lentamente scendendo a poco più di duemila addetti (all’inizio degli anni Settanta erano 12mila), non ci sono stati progetti.

Questa mattina alle 7.30 Carlos Tavares è tornato: puntuale come un orologio svizzero, altro che le improvvisate di Marchionne che svizzero era di residenza. È venuto a visitare le linee destinate alla produzione dei modelli elettrici ed a verificare le linee dove nasce il Maserati Grecale. Cassino è in corsa per diventare l’hub del segmento Premium di Stellantis. Ma a condizioni precise.

Oggi Tavares viene a dire se Cassino Plant sarà una delle punte luminose della galassia Stellantis o se il futuro continuerà e riservare una luce fioca. Ma viene a dirlo di persona. Perché un capo ci mette sempre la faccia.

La accendiamo.

FLOP

RENATO CURCIO

Renato Curcio

Non è mai stato giusto associare un giudizio etico definitivo dopo averlo forzosamente messo a traino di un giudizio procedurale in itinere. Ma i motivi per cui uno come Renato Curcio fa eccezione sono evidenti. Non tanto perché è stato un brigatista e perché esserlo stato equivale ad esserlo e basta. No, il vero motivo sta nel perché quando si ravana nella storia ormai non tanto recente del nostro Paese c’è sempre il rischio di una “rilettura”. Che non revisioni solo la portata della azioni, ma anche la loro giusta collocazione storica.

Curcio è stato indagato a 81 anni per la sparatoria a cascina Spiotta del 1975, quando venne liberato l’imprenditore Gancia e nel conflitto a fuoco con i carabinieri morirono un militare, l’appuntato Giovanni D’Alfonso, e la compagna del brigatista, Margherita “Mara” Cagol. Dopo anni e annorum la Procura ha ritenuto che un foglio propagandistico in cui Curcio spiegava ai “compagni” come sganciarsi o ingaggiare un conflitto a fuoco fosse indizio sufficiente per inserire anche lui nel novero degli ispiratori diretti di quel fatto di sangue.

E’ un’ipotesi obiettivamente deboluccia che troverà la sua strada in punto di Diritto. E sulla quale Curcio, interrogato, ha già detto la sua. Ma il punto non è questo. Il punto è che nel “difendersi” Curcio ha ipotizzato che qualcuno degli operanti possa aver ucciso la Cagol a sangue freddo e con le mani già alzate in segno di resa.

E l’indelicatezza sta proprio nel fatto che l’ex brigatista oggi sociologo abbia ritirato fuori questa vicenda come atto di analisi parallela a conforto delle sue tesi difensive. Come a dire “invece di indagare me pensate a capire chi, degli apparati statali, ha ammazzato Mara quando era già inerme”. Il dato è che questa rivisitazione storica o innesto reiterato che sia non fa onore proprio alla Cagol, usata post mortem come totem di benaltrismo.

I morti sono morti e quella terribile stagione è chiusa. La Legge sta cercando di aprire uno spiraglio e chi sotto la lente della legge sta ha il diritto di difendersi. Ma ha anche il dovere di farlo con eleganza, a contare le sue presunzioni accademiche e la “panatura” ideologica con cui quei tizi della stella a cinque punte ebbero sempre la presunzione di indorare i cadaveri che facevano.

Pavido.

DONATELLA BIANCHI

Donatella Bianchi

Bando alle ipocrisie: la politica ormai è un taxi e molti se ne servono anziché servirla. La usano finché possono e restano a bordo fino a quando non arriva qualcuno a buttarli giù reclamando il proprio spazio. Nulla di nuovo sotto il cielo: è una delle regole base nel gioco del potere sul quale è poi possibile fare politica se si è capaci di stare in equilibrio.

Nulla di straordinario allora nella decisione formalizzata ieri da Donatella Bianchi, candidata dal Movimento 5 Stelle alla guida della Regione Lazio. Non ha centrato il suo obiettivo, il taxi non l’ha portata fino dove lei voleva ed allora è scesa.

A pagare la corsa però è il Movimento 5 Stelle: grazie a questa candidatura ha più che dimezzato la sua pattuglia in Regione Lazio scendendo da 10 a 4 Consiglieri più 1 della lista collegata; ha perso un vicepresidente e due assessori importanti; è finito all’opposizione con un ruolo destinato ad essere sostanzialmente inutile considerati i numeri.

Il Senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia ha commentato “Mi dispiace per quelli che hanno votato Donatella Bianchi e che vedono tradito il loro voto che non sarà da lei rappresentato in Consiglio regionale”. Sbaglia Maurizio Gasparri. Perché il M5S in questi anni ci ha abituato ad una galleria di personaggi improbabili e scelte discutibili: dal senatore Marino Mastrangeli da Cassino primo espulso dal MoVimento dei vaffa fino a Luigi Di Maio con la sua parabola da capo politico a congiurato; dall’abolizione della povertà annunciata dal balcone ai banchi a rotelle sui quali non si sa dove stendere prima il velo pietoso.

Basta con le ipocrisie. Donatella Bianchi ha fatto quello che riteneva giusto. Solo che lo ha fatto da un fronte che continua a giurare ai suoi elettori di essere diverso.

Scendo a Saxa Rubra, grazie.