Top e Flop, i protagonisti di martedì 6 giugno 2023

Top & Flop. I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 6 giugno 2023

Top & Flop. I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 6 giugno 2023

TOP

GILBERTO PICHETTO FRATIN

Gilberto Pichetto Fratin (Foto: Leonardo Puccini © Imagoeconomica)

I ministri delle democrazie moderne non sono soltanto ciò che sono e che fanno, ma anche quel che accade quando diventano ministri. È un meccanismo che noi italiani abbiamo resettato nel tempo, arrivando ipocritamente a considerare pregiudizio (appartenenza politica o d’area) e circostanze (catastrofi, crisi, scandali ect) le prove provate del fatto che “la politica è sporca.

E soprattutto che noi che ne additiamo le sozzure siamo puliti. Puliti e vittime. Mettere da parte questa scostumata panzana non è difficile. Ed a farlo apparirà chiaro come a volte ministri poco graditi facciano cose buone e ministri considerati geni facciano solo il minimo indispensabile sulle spalle di un sistema che gli ha già apparecchiato l’assist.

Il caso di Gilbertro Pichetto Fratin è esemplare. Messo già in parte bassa della griglia dalla tragedia di Ischia su cui aveva detto cose vere, era caduto a pie’ pari nel calderone mediatico della vicenda dell’orsa JJ4 e dell’uccisione del runner Andrea Papi. Ma Fratin è ministro dell’Ambiente e l’ambiente passa soprattutto per come i cittadini usano l’energia.

Ecco perché la decisione di dare via libera al mercato libero per tutti, senza ulteriori proroghe, sembra una scelta coraggiosa. Sulle bollette della luce, e del gas ma con modalità diverse, arriva dunque l’addio al mercato tutelato. Di cosa parliamo? Di quello che che prevedeva un aggiornamento periodico delle tariffe da parte dell’Arera.

La novità è che a partire dal 10 gennaio 2024 anche i privati, dopo le microimprese, dovranno fare il passaggio. A richiedere quella netta apertura al mercato delle concorrenze e delle opzioni era stata Bruxelles più e più fiate. Ecco, adesso un decreto del ministero per l’Ambiente ha fissato i criteri per gestire la transizione. Il ‘servizio di maggior tutela’ sarà disponibile fino al 10 gennaio 2024, poi il passaggio, che verrà “accompagnato gradualmente con una fase di transizione”.

Alle famiglie che non avranno scelto un fornitore del libero mercato entro gennaio 2024 verrà assegnato il ‘servizio a tutele graduali’, con una fornitura a tariffe calmierate erogata da venditori selezionati. E che Pichetto Fratin abbia fatto un passo europeo ed italiano al contempo non è sfuggito a nessuno. E dirlo era giusto.

Elettroministro.

FRANCESCO ROCCA

Francesco Rocca (Foto: Regione Lazio Press Service)

Ha fegato e gli va riconosciuto. Ha deciso di fare la sua mossa sullo scacchiere della politica nonostante l’opzione più conveniente per lui fosse non muovere. Ma ritirando il patrocinio della Regione Lazio al Pride di Roma Francesco Rocca ha lanciato il fiammifero acceso nello stagno di benzina. E costretto tutti a togliere la maschera per evitare che si squagliasse sul viso.

Una volta che tutti hanno dovuto mostrare il loro vero volto è stato chiaro che da questa storia del patrocinio ritirato al Pride nessuno ne esce bene.

Non lo fa la Regione Lazio perché toglie la sua ‘benedizione’ laica ad una manifestazione che ha lo scopo di combattere la discriminazione di cui è oggetto una comunità. I cittadini del Lazio sono tutti uguali di fronte allo Stato a prescindere dalla compagnia che preferiscano avere sotto le lenzuola: la Regione Lazio ha il dovere di affermarlo, senza se e senza ma. Ritirando il patrocinio viene meno a questo suo inderogabile dovere.

Peggio ne escono gli organizzatori del Pride. Che ieri hanno affisso manifesti in cui dichiarano il loro sostegno all’utero in affitto. Chiaramente una provocazione con cui spingere la Regione a compiere il passo che ha fatto. La loro Lgbtq+ non è schierata a favore dell’utero in affitto: non in maniera compatta, esattamente come tutte le comunità di qualunque colore e pensiero. Dichiarare invece quel sostegno è significato dare un senso diverso al Pride: volutamente divisivo. Ed ha fornito un pretesto per revocare il patrocinio a chi lo aveva dato con non poca riluttanza.

Il gay Pride di Roma 2015 (Foto: Andrew Medichini / Courtesy AP)

Nemmeno ne esce bene il centrosinistra: costretto ad appoggiare una posizione che non condivide (non in maniera compatta, vedi sopra) per poter contestare l’atteggiamento di chiusura della destra al governo regionale. Più logico sarebbe stato rimproverare gli organizzatori e costringerli a ritirare quei manifesti: divisivi all’interno della loro stessa comunità. E costringere così Francesco Rocca ed il centrodestra regionale a restare su una posizione di tutela dei diritti che ha tanti appartenenti a quella comunità anche nelle file del centrodestra.

In questo gioco ipocrita, tra pretesti e strumentalizzazioni, chi paga il biglietto è una comunità che chiedeva di non essere discriminata, insultata, manganellata, discriminata ma riconosciuta per quello che è e cioè una comunità di persone. Con tutta la pienezza dei diritti che si devono alle persone in questa parte di mondo.

E questo gioco ipocrita di tutti è venuto alla luce grazie alla prevedibile mossa di Francesco Rocca. Che aveva tutto l’interesse a non compierla.

Giù la maschera, tutti.

FLOP

MARIO GIORDANO

Mario Giordano (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Da anni invoca il martirio del body shaming per la sua voce chioccia e spesso irrisa. Da settimane non se ne sottrae più perché quella voce stentorea è diventata il suo marchio di fabbrica. Cosi da posatissimo commentatore in quota Mediaset, uno che diceva poche parole e le piazzava bene anche se su cocuzzoli di bandiera, Mario Giordano è diventato un urlatore. Un Savonarola a scatti talmente urticante e scenografico che i tele predicatori dell’Iowa gli spicciano casa.

Nulla di male, per carità, se un format funziona e se la sceneggiatura prevede che tu debba diventare una via di mezzo fra un Masaniello populista e un’aquila reale con le emorroidi c’è poco da fare: chi ha torto è che ti critica e chi ha ragione è che ti segue. Si chiama televisione, si chiamano social e nessuno può farci più nulla baby.

E tuttavia di questo ultimo Giordano qualcosa stona. Da giorni il nostro smentisce ogni voce che lo vorrebbe transumante da Mediaset alla nuova Rai “di destra-centro”. E spiega: “Spero che mi vogliano anche l’anno prossimo, forse la mia voce dà fastidio a qualcuno, ma mi pare che stia andando tutto bene quindi penso che mi rivedrete anche l’anno prossimo”.

Insomma, il conduttore di Fuori dal coro su Rete4 che invece nel coro ci sta benone facendo finta di non starci ha voluto essere chiaro: “No, non c’è nulla di vero, non mi ha chiamato nessuno. Sto benissimo a Mediaset da 23 anni, un altro posto così è difficile che io lo possa trovare Sono felicissimo qui e spero di cominciare a settembre una nuova stagione”.

E fin qui tutto bene. Poi, come con le torte perfette a cui devi per forza mettere quella glassa che alla fine stufa e peggiora il risultato, il richiamo ad una vicenda che con i suoi “casi” c’entra poco: le dimissioni di Lucia Annunziata. Dicendo “Mi ha fatto ridere, mi sembra censura preventiva, è stato il primo programma confermato e mai messo in discussione”. Ma perché certa gente per dire cosa farà deve per forza parlare di quello che hanno fatto gli altri?

E basta…

MARIANO ANGELUCCI

Mariano Angelucci

La scena è stata vista talmente tante volte che ormai è un classico del repertorio d’esperienze nella nostra vita. Fin da piccoli. Prima o poi trovi sempre quello che prende il pallone e se ne va trovando pretesti più o meno credibili ed originali. Che però sempre una scusa restano.

Dietro ai quali c’è una realtà: chi era sceso in campo non intendeva affrontare la sfida in maniera decubertiniana. Ma soltanto vincere. E in quella sfida, impari fin dal principio, individuava proprio una crepa nella quale infilarsi e sperava di fare leva: il mito di Davide contro Golia, il piccolo che fa sempre simpatico di fronte al grosso, il naturale istinto della Sinistra di tutelare le minoranza anche se sono al proprio interno.

Mariano Angelucci ieri ha preso il pallone dicendo che se non si gioca alle sue regole non ci sta. (leggi qui: Angelucci sgonfia le ruote del Congresso Pd).

Ma qui non è una questione di regole. È questione di una nuova comunità: uomini e donne che hanno deciso di avviare dall’interno la riforma del Partito Democratico nel Lazio. Senza toccare le questioni nazionali, stando a distanza di sicurezza dal Schlein o non Schlein.

La nuova comunità è quella annunciata a Ripi da Francesco de Angelis e mette insieme il leader di Pensare Democratico, le aree politiche che fanno riferimento ad altri calibri da 90 come i consiglieri regionali Dem Eleonora Mattia (Valmontone), Salvatore La Penna (Latina), Sara Battisti (Frosinone), il capogruppo Mario Ciarla (Roma) il deputato Claudio Mancini (Roma). Convergeranno sul nome di Daniele Leodori come Segretario regionale del Partito, il che lascia zero spazi a Mariano Angelucci e chiude la crepa in cui sperava di costruire le proprie fortune. Che alla fine ha deciso di annunciare la sua volontà di ritirarsi dal Congresso se non si tiene come dice lui.

Già visto. E per questo fastidioso. In democrazia contano i numeri, o ce li hai o non ce li hai. E siccome il Lazio ha deciso di contare in maniera pesante nel dibattito nazionale del Pd anziché continuare a dividersi, Rete Democratica ha deciso di dimostrare che c’è spazio per un Pd nel quale il tempo del dibattito infinito è terminato. Chi non ha i numeri o accetta la situazione e si conta quel pochissimo che resta o prende il pallone e dice che l’arbitro è venduto.

Già visto e non funziona.

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