Top e Flop, i protagonisti di martedì 7 marzo 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 7 marzo 2023.

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 7 marzo 2023.

TOP

STEFANIA ASCARI

Stefania Ascari

Gli ascari, o “basci-buzuk”, erano soldati maledettamente in gamba che noi italiani reclutammo fra le truppe indigene dorante le nostre scalcagnate guerre coloniali. E al di là di merito ed esito delle stesse, non sfigurarono mai nel cimento di darle al nemico. Il mondo di oggi, piaccia o meno, ha bisogno di “pasionari”, di persone cioè che mettano il loro entusiasmo e la loro fede a servizio di un’idea.

Un’idea magari anche grezza, non necessariamente cristallina in quanto a giustezza cartesiana. Ma che diventi spugna imbevuta della convinzione radicale di chi la urla. E non è un anacronismo invocare la passione o prendere atto della presenza di chi ce l’ha. Non lo è perché in Italia partendo dai governi tecnici e fino ad arrivare alla mistica pragmatista di Draghi e in quota minimal di Calenda ci siamo dimenticati di quanto sia bello coltivare un’idea ed annaffiarla con la nostra foga.

E’ l’esatto motivo per cui il modo con cui Stefania Ascari ha condotto la sua personale battaglia contro il colpo di spugna voluto dal governo Meloni sul Superbonus è piaciuto. Ed è piaciuto al di là di quello che lei ha detto nel merito. La Ascari è deputata del M5S, contiana più di Conte ed “ascara” di una linea intransigente che ci ha ricordato come debba essere un’opposizione anche quando in essa non ti ci riconosci.

Nelle trasmissioni televisive a cui ha partecipato, nei dibattiti, nelle note stampa e nella condotta generale la Ascari ha picchiato duro come una fabbra ferraia norrena: “Per il superbonus faremo le barricate perché diciamoci la verità, qui si mettono a rischio 25mila aziende con un decreto vergogna non perché la misura sia sbagliata ma solo perché è stata voluta dal M5S“.

Per lei la misura “che crea occupazione, che a fronte di un investimento di 26 miliardi ne ha restituiti 78, che fa crescere il Pil e che fa bene all’ambiente e che ora, 45 giorni dopo averla votata in Manovra, viene tolta“. In più la Ascari è stata la sola a dire senza mezzi termini, accodandosi a Conte che però in quanto leader ha un battage diverso ed emendabile, che Giorgia Meloni “ha detto una balla colossale” nell’affermare che il Superbonus sarebbe costato 2mila euro cadauno ad ogni italiano.

E di fronte alla scelta salomonico-draconiaia (si, l’ossimoro è voluto e non da chi scrive) dell’Esecutivo di non cancellare il Superbonus, che rimane al 90%, ma di abolire sconto in fattura e cessione del credito per i nuovi cantieri Ascari ha calato la mannaia: “Significa che si mette fine alla possibilità di ristrutturare casa senza sostanzialmente anticipare le spese”.

Così i ricchi potranno iniziare i lavori anticipando e detraendo le spese dalle proprie imposte. Chi è più povero resta escluso e quella che era una misura per tutti, diventa per pochi“. Conti della serva o meno, tanto torto non lo ha avuto e il modo in cui lo ha spiegato le dà ragione a prescindere.

Soldata.

FRANCESCO BORGOMEO

Francesco Borgomeo

Il deposito all’ufficio brevetti della nuova tecnica con cui produrre la plastica, rischia di essere come la registrazione di genialità quali il led o la lampadina. Che lì per lì molti sottovalutano. Ma poi se ci togli il led dalla durata eterna non sapresti mai se la tv è collegata o meno alla rete elettrica, se migliaia di aggeggi che stanno dentro casa sono vivi e funzionali oppure hanno esalato il loro ultimo giro di elettricità.

La nuova tecnica messa a punto a Cisterna di Latina nello stabilimento Plasta Rei è, in punto di pratica, nella condizione di liberare il mondo dal problema delle plastiche. Da quelle che fino ad oggi non potevano essere riciclate. E che invece ora potranno finire in un processo dal quale esce nuova plastica vergine. (Leggi qui: Plasta Rei brevetta la plastica come il vetro: riciclabile all’infinito).

Quando Francesco Borgomeo comprò l’impianto dal colosso della chimica Nalco già sapeva cosa voleva farne. Convertirlo cioè in qualcosa di diverso, che facesse qualcosa di nuovo, capace di rivoluzionare il mondo, dando per questo almeno vent’anni di vita industriale a quel progetto ed a quei lavoratori che già stavano facendo le valigie per andare al Collocamento.

È ciò che in Italia abbiamo smesso di fare. Da troppi decenni. Abbiamo smesso di inventare. Di sperimentare. Innovare. Noi fummo i primi a trovarci tra le mani un computer: per informazioni chiedere ad Olivetti. Noi nel mondo dell’auto abbiamo precorso a lungo i tempi. Industria significa soprattutto questo. E non solo fare le cose che fanno tutti ad un costo più basso limando sulle spese. E Francesco Borgomeo, con le sue intuizioni, ce lo ha ricordato.

Visionario d’altri tempi.

FLOP

DAMIANO COLETTA

Damiano Coletta

Rischia di diventare una nuova patologia della politica. Potrebbe essere chiamata ‘La sindrome di Romano Prodi‘ che, bene inteso, fu l’unico a non esserne affetto ma a creare le condizioni per cui altri dallo spessore non paragonabile al suo se ne ammalassero. È la sindrome di quello che sbaraglia il campo in maniera inaspettata, vince la partita impossibile: non l’underdog impersonato da Giorgia Meloni ma l’Italia di Enzo Bearzot che al Sarrià di Barcellona insegna il calcio al Brasile di Zico e Socrates. E non lo fa una volta sola: alla rivincita bissa il successo.

È quello che ha fatto Romano Prodi con Silvio Berlusconi. È quello che ha fatto Damiano Coletta con il centrodestra nella città di Latina. Che lui, né di destra né di sinistra né grillino, mette in minoranza alle urne diventando sindaco in una città che più di destra non si può. E quando ci sono le elezioni successive, vince di nuovo e viene rieletto. Non basta. Quando annullano una parte di quel voto lui rivince ancora.

Adesso l’ex sindaco di Latina vorrebbe tornare a sfidare il centrodestra. L’incognita è che quelli di oggi non sono più i tempi dell’antipolitica in cui il Coletta 1 ebbe il suo naturale brodo di coltura. Il segnale lo ha dato con chiarezza l’elezione bis: Coletta ha rivinto ma senza una maggioranza, ha vinto l’uomo ma non più la proposta politica. Infatti è stato sfiduciato e mandato a casa appena il centrodestra ha avuto 5 minuti e la necessità di mettersi d’accordo e ritrovare l’unità.

Ora Damiano Coletta insiste a fare il sindaco: non si mette a disposizione ma vorrebbe disporre. Il che conferma che ogni rivoluzionario, invecchiando, si fa reazionario. Ogni cambio dopo il cambio si fa conferma. Dimentica che i salvatori della Patria vengono chiamati dalle plebi non si autochiamano per le plebi.

Sottile differenza che fa la differenza.

Fuori tempo.

CARLO CALENDA

Carlo Calenda (Foto: Andrea Panegrossi © Imagoeconomica)

La sua Road map piace come le cose ecumeniche che arrivano a buon fine. Ma piace meno per il fatto che tutto sommato è il frutto di una forzatura forse troppo repentina. La Road map di chi? Di Carlo Calenda, che ne ha definito gli step a fine febbraio per partire subito con il rosario di cose e tappe e traslochi e crogioli per arrivare ad un partito unico con Italia Viva che sia sintesi e non somma. Come accaduto con scarso successo per il Terzo Polo che alla fine di questo esperimento è stato il prototipo.

Cosa piace abbastanza della Road map sul versante di Azione e del suo leader? Il fatto che essa andrà a “shakerare” sensibilità politiche di base decisamente affini, non solo per temi specifici, ma anche per afflato sociologico. E convergenza univoca su un’idea di politica “pratica” ed extra idealista. L’Italia un po’ ne ha bisogno. E tutto sommato malgrado le batoste alle Regionali di Lombardia e Lazio neanche un Carlo Calenda gusta nel panorama melodrammatico dei nostri protagonisti della vita pubblica.

Cosa non piace della Road map di Calenda per arrivare a diventare chimera liberal centrista con Matteo Renzi senza essere un Frankenstein? Il fatto che per definirla abbia dovuto fare un po’ il partner offeso che invocava una celerità dubbia da un punto di vista pratico e pericolosa da un punto di vista concettuale, ma non tanto per lui. Perché? Perché Calenda, al di fuori dall’esperienza come ministro e di quelle recenti come leader centrista, ha una storia molto regionale, da generone romano promosso sul campo. E con nemmeno troppi risultati. Vedasi come sono finite le elezioni Regionali del Lazio. Dove due Consiglieri su due li ha piazzati Matteo Renzi. E paradosso nel paradosso: entra quella Marietta Tidei che più di tutti aveva detto che la linea di Calenda era perdente ma bisognava proseguire sul Campo Largo costruito da Zingaretti.

Dal canto suo invece Matteo Renzi, piaccia o meno, ha una storia politica già gigante che mette quest’ultimo nelle condizioni di “perderci lui”, in quanto a carisma e appeal verticistico.

Calenda aveva detto: “Siamo molto soddisfatti che Italia Viva abbia accettato la nostra proposta di accelerare sul partito unico. Il 28 riunirò il comitato politico della federazione per definire la road map. Entro settembre avremo finalmente un unico partito dei liberal-democratici. Avanti“.

Ecco, quell’”Avanti” suona un po’ sardonico, perché comunque andasse a finire lui sul piatto delle bilancia ci ha messo un’immagine forte ma non fortissima. Tutte le possibilità del mondo di rimetterla in sesto se andasse male e poche possibilità per il partner, costretto a suon di penultimatum a fare massa comune forse prima che le leggi di decantazione della politica lo rendessero opportuno.

La gatta, la fretta e quei gattini là.