Top e Flop, i protagonisti di sabato 11 marzo 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 11 marzo 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 11 marzo 2023

TOP

ADOLFO URSO

Adolfo Urso (Foto: Paola Onofri © Imagoeconomica)

Buona parte dell’Europa e congrua parte del pianeta quella scelta l’ha già messa in spunta di verifica o la sta sperimentando per farla a breve dopo aver calcolato costi e ricavi non solo economici. L’Italia quella scelta la attende da tempo e le menti pensanti della Terra si interrogano da tempo su quel famoso e bugiardissimo mantra per il quale il progresso tecnologico alla lunga ci avrebbe consentito di lavorare di meno e vivere di più.

Ed anche a fare la tara ad una delle panzane più grosse ed epocali della storia umana la questione non è del tutto andata nel secchio dove giacciono i sentieri ciechi del nostro camminare nella Storia. Islanda, Giappone, Nuova Zelanda, perfino la viciniora Spagna ed il non troppo lontano Regno Unito, sono ormai molti i Paesi che su vari piani ed in determinati contesti, per ora privati e limitati ad aziende pioniere, stanno valutando concretamente la settimana lavorativa di 4 giorni.

E sui benefici il mainstream ed i settori specialistici si sono sperticati: “Migliore equilibrio tra lavoro e vita privata. Aumento della produttività. Minori livelli di stress, più tempo da passare con famiglia ed amici. Un generale miglioramento dell’umore”.

Insomma, lavorare 4 giorni fa bene a chi la fa. E pare faccia bene anche a chi dei frutti del lavoro giova come sistema complesso. Ecco perché giunge gradita la linea furba ma pratica del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Ministro che sul tema è stato molto meno “orso” di quanto la situazione italiana non facesse tristemente presagire: “Sono disposto a riflettere anche su questo partendo dalla realtà. Tutto va messo in sintonia con una saggia politica industriale“. Urso ha imparato da tempo che in politica le precondizioni sono arma per trattare e ha detto: “Dipende dalle condizioni del Paese: abbiamo dei punti di forza e dei punti di debolezza”.

Di fatto l’occupazione nel nostro Paese è concentrata nel nord invece è molto bassa al sud e tra le donne. Se noi oggi dovessimo fare una misura di questo tipo, dobbiamo stare attenti che non diventi un incentivo all’emigrazione interna visto che le grandi fabbriche possono fare di più“. Poi la chiosa: “Se ci lavoriamo insieme, perché no? Proviamoci“.

Il dato è che l’Italia non è affatto pronta ma che per la prima volta la classe dirigente italiana sembra pronta a parlarne, lanciando l’amo con attaccata l’esca di una contrattazione più “soft” con le parti sociali che crei il clima adatto per trasformare i presupposti in piano operativo.

Ed Urso ha deciso di non essere ursino proprio perché ha fiutato il vantaggio di un possibilismo che adesso lascia il cerino acceso e sfavillante in mano agli “altri”.

Avvolge il mulinello.

FABIO TAGLIAFERRI

Alla fine il conto lo paga lui. Per tutti. Per un’intera provincia e per una federazione. Fabio Tagliaferri nella notte ha dovuto farsi carico del risultato ottenuto da Fratelli d’Italia in Ciociaria alle Regionali dello scorso febbraio. Rinunciando all’assessorato nella giunta che Francesco Rocca nelle prossime ore dovrà annunciare.

L’ex vicesindaco di Frosinone e coordinatore comunale di Fratelli d’Italia nel capoluogo fino a ieri sera era nell’elenco, incasellato nella delega allo Sport. Ma in politica non contano i 42,195 chilometri della maratona e come li hai affrontati: conta solo chi taglia il traguardo. Fabio Tagliaferri lo sa perché non è politico di primo pelo: per questo a tutti i giornali che oggi portano il suo nome nei titoli indicandolo come assessore aveva detto “Io ne so nulla, me lo state dicendo voi”.

Sapeva benissimo che ci sarebbe stato l’assalto disperato degli esclusi. Al massimo livello. E infatti ieri sera sul tardi la questione è finita sulla scrivania di Giorgia Meloni. E non di altri: perché la faccenda qui è solo interna a Fratelli d’Italia. Rieti e Viterbo tenute fuori dall’esecutivo, mentre Latina e Frosinone hanno due assessorati.

La premier non è tipo da molte cerimonie. Pare che ai suoi interlocutori abbia riservato meno di una sillaba, considerati gli impegni e la semplicità di una questione che avrebbero potuto risolvere da soli. Ha cliccato sul Pc, caricato i dati delle Regionali di febbraio nel Lazio, concentrato l’attenzione sul numero complessivo, poi su quello delle singole province: Frosinone ha portato a casa un misero 28%. «Come li giustificate quattro assessori al sud e zero al nord, con queste percentuali?»: fine dell’incontro. E fine dell’assessorato.

Come il mitico Dorando Petri da Correggio che nel 1908 a Londra tagliò per primo il traguardo della Maratona olimpica, ma la medaglia gli venne revocata perché sulla linea d’arrivo i giudici l’avevano soccorso, vedendolo barcollare per la fatica; ma fu pochi centimetri prima e non dopo del traguardo.

Quella maledetta linea d’arrivo.

FLOP

GIORGIA MELONI

Giorgia Meloni (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Sulle concessioni balneari è riuscita, nell’ordine: a tener fede alla linea “pre-Palazzo Chigi”; a mettere in allarme il Quirinale che per allarmarsi deve quanto meno vedere i cosacchi in Parlamento; ed a farsi spedire due lettere due dall’Ue su una questione che non ha problemi particolari di merito ma un gagliardissimo traino politico. Giorgia Meloni ci aveva abituati bene e di questa colpa non po’ ne deve rispondere. La pasionaria di destra-destra che sbraitava in Spagna non abita più in quel corpo piccino ma forte. E dalla crisalide rotta è venuta fuori una farfalla azzurra con 22 stelle gialle che più bella non si può.

Il tempo che ci ha messo la Meloni a rassicurare tutti – governi, mercati, partiti, masse, folle e colonie di suricati – che il suo europeismo è fuori discussione è pari al tempo che in media ci mettono i gattini a nascere: un paio di mesi. Poi però evidentemente la nostra deve aver sentito l’usta degli antichi sentieri norreni che con il suo partito Percorreva e qualche piccola deroga se l’è concessa.

Lo ha fatto così, tanto per dare in pasto ai duri e puri una sua rinnovata ortodossia a tranches che la tenga in arcione alle idee che l’hanno spedita nel posto dove la più parte di esse lei la deve negare, a Palazzo Chigi, Italia, Europa. Il dato è che la Commissione Europea sta preparando le carte dopo che con il decreto Milleproroghe le concessioni balneari in essere in Italia sono state prorogate fino alla fine del 2024.

In queste ore è attesa una seconda lettera. È relativa al fascicolo per infrazione aperto a dicembre 2020. Il destino quasi certo è la nostra messa in mora come sistema-Paese. Un primo cartellino giallo di Bruxelles aveva fatto assumere dall’impegno formale del governo a “mettere le concessioni a gara entro la fine del 2023. Ragion per cui la procedura non è passata allo stadio successivo”.

Ma adesso che Meloni e i suoi hanno derogato l’Ue guata la recidiva. E Giorgia contempla un errore che potrebbe costarle caro.

Apri l’ombrellone Giò, piove.

BEPPE GRILLO

Beppe Grillo al Manzoni di Cassino

Sembra una nemesi, che arriva quando il sogno di Gianroberto Casaleggio e del suo uomo da palcoscenico si è già sgonfiato. Beppe Grillo si è ricucito addosso il ruolo da battitore libero, solitario, e la distanza con l’avvocato di affari Giuseppe Conte è ormai siderale.

I Cinque Stelle delle origini hanno da tempo rinnegato se stessi e vagano in cerca di una seconda o terza vita, alcuni cercando di non tornare indietro, altri bussando alle porte di Elly Schlein, giurando che il Pd, soprattutto questo Pd, è la loro casa naturale. L’immagine sfocata è quella di una diaspora di accattoni. I grillini non hanno più un nome, perché tutto ciò che avevano è stato usurpato da Conte, uomo in grado di indossare qualsiasi vestito, con la faccia di chi sta bene con tutto.

La stagione politica del grillismo è finita, dispersa nella sua metamorfosi. È stato un grande fuoco che si è consumato in fretta, bruciando speranze e illusioni. Con un populismo nato in teatro, spopolato in piazza, per poi svaccare nei social, con quella miscela di rabbia e vaffa, di chi rivendicava la sovranità dell’uomo qualunque contro la casta dei «sempreinpiedi».

Adesso sembra che i «controcasta» non hanno mai avuto nelle vene il vaccino contro il potere. Troppo velocemente si sono resi conto, senza salvarsi, che la casta erano loro, anche loro, come capita da sempre alle schiatte di scribi e farisei. È una legge da cui non si sfugge.

Il sigillo è un’inchiesta giudiziaria che ha il sapore da tarda prima repubblica. Come se il governo pentastellato avesse i crismi della cricca. È la Procura di Milano che si muove, quella di Tangentopoli, e notifica a Beppe Grillo e Vincenzo Onorato, proprietario del gruppo Moby, la conclusione delle indagini. Ora tocca al gip dire se ci sarà un processo. Non tocca a noi, non tocca alla piazza. Quello che si può dire è che i due sono indagati per traffico di influenze illecite, uno di quei reati dai confini grigi.

Ecco, noi, meglio di come ha fatto il nostro conterraneo Vittorio Macioce sulla prima pagine de Il Giornale, non avremmo saputo scriverlo.

Ma una postilla, per onestà intellettuale, non possiamo evitare di farla. Quelle accuse sono poltiglia: di penale c’è poco più di nulla. A renderlo inutile materia per magistrati è una norma giacobina scritta proprio dai moralizzatori a 5 Stelle, per colpire un potere che puntavano a sostituire presto. Senza capire che una volta sostituito sarebbero stati potere loro stessi.

E nulla c’era contro il Pd di Bibbiano, nulla c’era contro tanti avversari sepolto sotto una stagione di fango. Nulla ci sarebbe nemmeno ora se nel frattempo non fosse intervenuta una norma scritta da nessuna parte in Europa come i grillini l’hanno invece voluta in Italia. Ignorando una regola fondamentale. Sintetizzata dalla saggezza contadina: “Chi fa la mazza ci si vatte”. Cioè chi fa le regole per gli altri prima o poi ne verrà colpito.

I moralizzatori moralizzati.