Top e Flop, i protagonisti di sabato 25 febbraio 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 25 febbraio 2023.

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 25 febbraio 2023.

TOP

GIUSEPPE VALDITARA

Giuseppe Valditara

Il ministro Giuseppe Valditara non si è presentato come un modello di simpatia ed alla vita istituzionale della Repubblica. Ci si è affacciato con i toni aspri e divisivi di chi vuol mettere subito le cose in chiaro per molti. Più che in chiaro, in scuro in realtà: scuro medioevale.

Negli ultimi giorni poi ha dato di pimento all’immagine che ha saputo far assaporare alle papille gustative dei cittadini grazie al “duello” con una preside in merito ad una lettera che condannava la matrice fascista di un pestaggio avvenuto fra studenti a Firenze. Tutto questo per dire che con alcuni esponenti della politica italiana praticare l’obiettività, che è il vero dono di ogni giornalista (diffidate da chi blatera di imparzialità) è molto più difficile di quanto non sia già in un mondo dominato dal principio di indeterminazione di Heisenberg. (Leggi qui: Top e Flop, i protagonisti di giovedì 23 febbraio 2023).

Valditara poi è ministro di una cosa che dovrebbe stare alla ruvidezza di approccio come Margherita Hack starebbe all’astrologia: la scuola. Dove bisogna essere pedagoghi e non sergenti. Insomma, scrivere che stavolta Valditara ci ha preso e scriverlo in questo clima post fiorentino è duro ma giustissimo.

Il ministro del “Merito”, altra skill eugenetica di cui avremmo fatto volentieri a meno, ha avuto un peso rilevantissimo nella parte a tema dell’approvazione in Cdm del decreto che ridisegna in parte la governance del Pnrr.

Che significa a parlare plebeo? Che Valditara ha saputo puntare i piedi lì dove nel suo settore di pertinenza le note sono più dolenti: l’edilizia scolastica. Dove l’Italia, pur non senza eccellenze, se la gioca mediamente con l’Angola. Le misure di competenza del ministero “dell’Istruzione e del Merito” erano quelle, cruciali, dell’accelerazione degli interventi di edilizia scolastica.

Insomma, si trattava di mettere in atto il più grande piano di semplificazione ed ottimizzazione dei posti dove i nostri figli studiano. E di farlo dai tempi di Giovannone Gentile, per andare di iperbole. E il modello? Quello smart e poco parolaio che comparve dopo lo scempio del Ponte Morandi e del viadotto Polcevera. Dove si ricostruì sulle macerie della solita Italia mangiona e killer.

Ha detto Valditara a missione compiuta: “Ora sarà possibile procedere con più rapidità e maggiore efficacia, una sorta di estensione del ‘modello Genova’“. E male male non è, neanche se queste cose le ha dette uno che voleva fondare la didattica sull’umiliazione.

Bravo Peppe, c’è speranza.

TOMMASO MIELE

Il giudice Tommaso Miele

Il suo pensiero è noto. E per taluni è anche scomodo. Ma non lo ha mai nascosto. Nell’ultimo anno lo ha ripetuto a lettere maiuscole, scandendo bene le parole. Nulla di nuovo quindi nelle parole dette ieri dal giudice Tommaso Miele nella sua veste di Presidente della Corte dei Conti del Lazio in occasione dell’apertura dell’Anno Giudiziario. Anzi no. Una novità c’è e pure grossa. Ora il magistrato è anche Presidente Aggiunto della Corte a livello nazionale. E le sue parole hanno un peso che arriva direttamente all’orecchio del Governo.

Per questo hanno fatto tremare più di qualcuno quando ieri ha detto  “Si è così diffusa nell’opinione pubblica e nella classe politica il convincimento che a bloccare i cantieri e a rallentare l’azione amministrativa sia la cosiddetta ‘paura della firma‘. “Non si può negare che la ‘paura della firma’ esiste ma la soluzione non è certamente quella di eliminare o di mitigare le responsabilità di chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica e a gestire ingenti somme di denaro pubblico e tollerare che tali somme vengano gestite con superficialità e leggerezza, atteso che in questo consiste la colpa grave che si è voluto eliminare“. Messaggio per il Governo Meloni: Cari signori, con la scusa di togliere la paura della firma è stata fatta una legge che ha tolto la responsabilità a quelli che combinano disastri con i soldi pubblici gestendoli con superficialità.

E siccome in tempi recenti c’è stato qualcuno che ha fatto finta di non ascoltarlo, il presidente Tommaso Miele ieri ha calcato ancora di più la mano. “Un’attenuazione della responsabilità amministrativa nei confronti di chi ha illecitamente percepito risorse pubbliche sarebbe un vero e proprio colpo di spugna e una beffa, un insulto per i cittadini, per i contribuenti che pagano le tasse e alimentano il bilancio dello Stato”. Non c’è bisogno di traduzioni.

Chi ha orecchie per intendere, se vuole, intenda.

Nostro Onore.

FLOP

LA SANITA’ MILITARE

Foto: Vince Paolo Gerace / Imagoeconomica

Chi di noi non ricorda, fra quelli che hanno fatto la naja, il momento terribile del vaccino? Nella vita di un uomo sono pochi i momenti, fra quelli standard di una società organizzata per step, simili a quello in cui a petto nudo, infreddoliti ed in mutandoni bianchi, ci si metteva in fila.

E la fila segnava esattamente il lento stillicidio di avvicinamento ad un medico militare mannaro che infilzava il pettorale della “burba” con una siringa talmente grossa che gli spadoni a due mani dei Goti a paragone sembravano gli aghi con cui la nonna ci rammendava i pedalini. Nessuno di noi aveva mai saputo cosa ci avessero messo in corpo (“inoculato” è roba da studiati) ma nessuno di noi crepò. Anzi, per anni e annorum dopo aver servito la Patria non ci ammalammo neanche a fare il bagno nel Gange durante un funerale indù e con Mauro Corona nei paraggi a lavarsi i capelli.

E tuttavia, da allora e fino ad oggi che la naja è roba da foto ricordo su Facebook, un problema si pose. Era ed è quello della necessità di usare il vaccino non tanto in maniera random e generalizzata ma solo per esigenze specifiche. Insomma, la scuola di pensiero che è maturata nei tempi successivi a quando eravamo burbe cretine è che un vaccino lo dai quando serve, non “a prescindere”, come diceva Totò.

La Sanità Militare invece aveva proseguito imperterrita, anche dopo l’arrivo dei professionisti, a pungere tutti come se non ci fosse un domani, fin quando la Consulta non l’ha stoppata. Come? Il preambolo ha genesi in un Tribunale Ordinario, quello di Napoli, dove un Giudice dell’udienza preliminare aveva sollevato una questione di rango costituzionale. Quale? Quella dell’obbligo vaccinale per i militari da impiegare in particolari condizioni operative in Italia o all’estero.

A metterla giù di sintesi la Corte ha perciò dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 206-bis del codice dell’ordinamento militare, nella parte in cui autorizza la sanità militare a imporre a tale personale “profilassi vaccinali” non previamente individuate in via legislativa, bensì rimesse a fonti secondarie ovvero ad atti amministrativi.

Che significa? Che applicare l’obbligo vaccinale ai militari “senza indicare le patologie che si intendono contrastare attraverso la profilassi vaccinaleè incostituzionale anche se ci sono norme di rango intermedio ed interno che dicono che si può fare. Il relatore Nicolò Zanon è stato chiaro e il senso è che il vaccino è una cosa che si somministra in presenza di una malattia o dell’elevato rischio che la stessa si diffonda, ma che non si deve somministrare solo perché c’è l’obbligo.

Perciò la Consulta ha eliminato l’obbligo e messo la Sanità Militare in condizioni di essere un po’ meno “frenetica” nella profilassi comunque e dovunque. E il medico che allora cambiò sfumatura cromatica alle nostre mutande mutissimo.

Il siringone.

MARIO COSTA

Chi si occupa di comunicazione ha l’ingrato compito di essere perno. E non lancia. Tramite. E non percorso. Sta tutto lì il significato della parola media: chi fa comunicazione deve mediare il messaggio tra chi dice una cosa e chi deve ascoltarla. Perché la politica, così come la medicina, l’ingegneria ed ogni altra attività, ha il suo linguaggio. E non è quello del pubblico. Che usa un vocabolario diverso: meno tecnico, più asciutto (gli studiati dicono che è ridotto a 600 vocaboli), privo di molti antefatti. Per questo esistono i comunicatori, gli addetti stampa, i portavoce. Non per occupare una casella e dare un contentino.

Mario Costa è politico di solida esperienza e specchiata moralità. Viene da lontano. Era un’autorità nella sinistra della Prima Repubblica, è stato un’intelligenza nella Seconda. I suoi consigli sono sempre in punto di equilibrio tra la ponderazione e la saggezza. Ma anche ai migliori talvolta capita di creare confusione: come gli è capitato nelle sue considerazioni diffuse dopo la conferenza stampa con cui il sindaco di Cassino Enzo Salera ha presentato il suo esecutivo bis.

In quella conferenza, a precisa domanda, fatta coram populo da Alessioporcu.it il sindaco di Cassino, nell’onestà intellettuale che gli va sempre riconosciuta, ha ammesso che nel Patto di Fine Legislatura presentato ieri non c’è un accordo che impegni nuovi e vecchi assessori a scendere in campo a sostegno di un suo bis nel 2024. Non lo ha detto nel segreto di un incontro carbonaro. L’ha detto pubblicamente. Dopotutto, le amarezze di taluni sono evidenti: stanno sulle bacheche Facebook e stanno nelle poltrone vuote della Sala Restagno.

Oggi Mario Costa, con saggezza ed esperienza, prova a mettere una toppa. Dichiarando: “Riguardo alla presentazione della nuova giunta di Salera c’è stato chi, tra i vari rilievi, ha rilevato la mancanza del patto ad andare insieme anche alle elezioni l’anno prossimo, nonché la presenza di “pochi sorrisi e di qualche muso lungo”. Rispetto al primo rilievo c’è da rilevare che il documento a sostegno della squadra rinnovata si chiude con la frase: “Noi ci saremo”. “.

Anche Mario Costa sa di averla detta troppo grossa. Infatti poi aggiungeCerto, è vero che solo tre parole (“Noi ci saremo”), forse sono poche. Ma perché allora continuiamo a dirci che “a buon intenditor, poche parole” (bastano)? ”.

No. Non bastano. Soprattutto in politica. Soprattutto in una situazione come quella di Cassino. Dove un quadro di unità invidiabile, al punto da poter essere definito granitico, è finito in polvere. Per le legittime scelte politiche di Enzo Salera. Davanti alle quali ora esistono solo due vie: ricomporre o perpetuare. La saggezza e l’esperienza di Mario Costa sanno che questo è il momento della diplomazia. E non quello di negare l’evidenza. Come la totale mancanza di sorrisi nella foto che gli riproponiamo in testa a queste considerazioni. Non ci sono sorrisi. E non è un caso.

Non va tutto bene, madama la marchesa.