Top e Flop, i protagonisti di sabato 8 aprile 2023

Top & Flop. I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 8 aprile 2023

Top & Flop. I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 8 aprile 2023.

ILARIA CUCCHI

Ilaria Cucchi (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Molti e per molto tempo hanno insinuato che essere stata la sorella di Stefano Cucchi sarebbe stato un “ascensore” proficuo per la sua svolta politica. Al di là della terribile funzionalità fra ciò che le è accaduto e ciò che lei ha deciso che dovesse accadere, la storia di Ilaria Cucchi ci avrebbe dovuto insegnare ben altro. Ci avrebbe dovuto insegnare a tutti che invece di perdere la fiducia nello Stato perché un suo pezzo marcio ha fallito nella broda della violenza, si può fare di meglio.

Si può andare a far parte del meccanismo con cui lo Stato cerca di sanare anche le sue, di brutture isolate. E mette loro argine con Diritto e Civiltà. Ecco, Ilaria Cucchi andrebbe sempre letta così, come una donna che ha visto il fratello morire di ingiustizia e che non solo non vorrebbe più che ingiustizia vi fosse, ma che per quel fine ci sta lavorando dopo una metamorfosi buona.

Ecco perché, specie con la situazione carceraria italiana, le sue parole, pronunciate qualche giorno fa ma riprese in queste ore, fanno testo come una sorta di “Bignami etico”. Per Cucchi “reclusi e personale penitenziario sono vittime di un sistema che è fallito. E che fa fatica a garantire l’applicazione dell’articolo 27 della Costituzione. Il carcere deve reinserire, non disumanizzare”.

Il concetto è e resta sempre quello. Un concetto per il quale applicare una legge dovrebbe sempre tendere ad avvicinarsi alla natura recondita dell’uomo nelle sua versione migliore. Mai peggiore. “Il tema della giustizia carceraria riguarda tutte e tutti noi. Se invece rimarrà relegato all’interno dei muri di contenimento, rischia di restare sempre e solo un problema. Apriamo un’inchiesta nazionale sulla condizione carceraria e il rispetto dei diritti“.

La proposta non è affatto cattiva e servirebbe a dare un input decisivo ad una battaglia di civiltà che non ha nulla a che vedere con il dovere di chi delinque di andare a scontare la pena. Ma con il “come” quella pena debba essere scontata. Se in modalità Legge Biblica o se nel recinto sicuro del Diritto Moderno Occidentale.

E la Cucchi, che questa differenza la conosce terribilmente bene, ci ha posto un quesito. E messi di fronte ad una scelta.

L’esperienza.

MARTA BONAFONI

da destra: Valeria Campagna, Marta Bonafoni, Danilo Grossi

Scegliere non è mai una cosa semplice. Pensate (per le donne) al dilemma lacerante tra due paia di scarpe: bassa e bellissima o tacco scomoda ma che slancia; ce ne sono alcune che ci hanno perso il sonno. Oppure (per i maschietti) macchina sportiva e performante o berlina lenta ma con il portabagagli che c’entra tutto? A Marta Bonafoni il coraggio delle scelte non è mai mancato. E non ha mai cercato di tenerlo nascosto. Sin da quando era una giovane cronista di Radio Popolare, un pezzo dello storia radiofonica italiana.

In lei si sono riconosciute centinaia di donne e di uomini. Colpiti dalla sua sensibilità per l’impegno. Tra chi ne rimase folgorato, una decina d’anni fa, ci fu Nicola Zingaretti. Che la conobbe sul campo: sia quello radiofonico quando lei lo metteva all’angolo con le sue domande, sia quello sociale quando la incontrava a tante manifestazioni per i diritti. E fu lui a scommettere sulla sua potenzialità di fare il salto per lanciarsi in politica. Montanelli diceva che i giornalisti sono come le donne di strada, fino a quando ci restano vanno bene e si creano anche un certo nome ma il problema è quando si mettono in testa d’entrare in salotto. Marta Bonafoni ha avuto il coraggio d’entrare in salotto: nel 2013 diventa Consigliere regionale, capogruppo della Lista Zingaretti.

Ed in quel salotto però non s’è messa comoda. No, ha continuato a fare il lavoro che faceva on the road: per i diritti, per abbattere le distanze. È per questo che nel momento in cui Elly Schlein ha abbattuto le barriere nel nuovo Partito Democratico è stata letteralmente risucchiata dentro. Come se fossero stati rimossi gli ostacoli che impedivano dall’interno alla potentissima calamita Dem di svolgere la sua funzione.

È altrettanto per questo che con pari rapidità ieri è stata issata in sella alla nuova Segreteria nazionale Pd: 21 componenti che affiancheranno Elly Schlein nel compito di rigenerare il Pd. Marta Bonafoni sarà coordinatrice della segreteria e si occuperà di terzo settore e associazionismo.

Con lei, entra idealmente nella stanza dei bottoni del Pd il mondo di POP – Idee in Movimento, la “rete di buone pratiche” creata da Marta Bonafoni e coordinata dal cassinate Danilo Grossi, composta da associazioni, amministratori, comitati ed enti di volontariato finalizzata alla cura del territorio e delle comunità. È questo il primo, chiaro, concreto segnale della fisionomia che dovrà avere il nuovo Pd: banalmente, dovrà fare il Pd. Perché non era naturale che quelle forze si trovassero fuori dal Partito. Ed Elly Schlein, mettendo al centro Marta Bonafoni, ha messo al centro del Pd quel mondo che è sempre stato Pd ma non se ne riconosceva parte.

La scelta coraggiosa che identifica.

FLOP

GERI FERRARA

Geri Ferrara (Foto: Stefano Carofei © Imagoeconomica)

Il processo penale è a suo modo come una sorta di rappresentazione teatrale serissima dove al di là del narrato ci sono regole fisse. Quelle regole esistono affinché ciascuna delle parti individuate dall’ultima riforma Vassalli abbiano nella sede del dibattimento tutti gli strumenti per capire se la prova a carico di un imputato è maturata o meno. E se chi giudica abbia a disposizione tutti, ma proprio tutti, gli elementi per decidere in ordine a quella eventuale maturazione.

Insomma, per arrivare alla scena madre bisogna che ognuno faccia la sua parte e veda rispettata la sua prerogativa di seguire il suo copione. Il prossimo 21 aprile è in calendario una ulteriore udienza del processo contro Matteo Salvini per il caso Open Arms. E su quell’udienza “grava” lo storico dell’ultima seduta, quando il Pm d’aula Geri Ferrara è sbottato, obiettivamente in modalità “comarella risentita”, contro una Giulia Bongiorno particolarmente agguerrita ed urticante.

Ha detto la toga requirente replicando all’avvocatessa che insinuava come il Pm non fosse in una giornata di particolare calma: “Polemico lo va a dire a qualcun altro, ma lei non mi fa fare le domande perché mi interrompe in continuazione“. Insomma, il sunto è che l’accusa si era lamentata perché la difesa la interrompeva di continuo durante l’esame di un consulente.

Eppure il Pm Ferrara dovrebbe saperlo come e più di tutti, che quella di un difensore irritante e marcatore stretto non è una scelta di irrituale scostumatezza ma una precisa prerogativa procedurale. Essa si sostanzia nel “gioco” delle possibili opposizioni al narrato del momento, nella forma delle contestazioni.

Possono essercene se l’escusso deriva da ciò che aveva precedentemente messo a verbale. O se un consulente dice cose che andrebbero “centrate” meglio. Tutto, ovviamente nell’ottica dell’interesse processuale della parte che in quel momento “dà fastidio” a chi interroga. Insomma, senza peli di Diritto in Bignami si può fare e in certi termini si deve fare, così chi giudica non avrà “vuoti” in Camera di Consiglio.

Ecco perché la “lagna” del Pm in aula è sembrata molto più eccessiva dell’atteggiamento che l’ha innescata. Perché la prima regola di un inquirente in dibattimento è quella di non farsi innervosire dal difensore. Lui è lo Stato, e lo Stato deve essere sempre più sicuro, granitico e di flemma di una singola parte che cerca il suo interesse procedurale.

Ma il Pm Ferrara, pur magistrato di grandissima esperienza, non deve averlo capito molto bene. Si spera che fra qualche giorno faccia memento dei suoi errori e restituisca il favore senza lamentarsi con il giudice. Quello lo fanno i pargoli.

Fatti mandare dalla mamma.

ELLY SCHLEIN

Elly Schlein (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Va bene che anche l’Altissimo, dopo sei giorni, decise di prendersi di riposo il settimo. E ci si trovò talmente bene da istituzionalizzare la pratica. Ma sentir dire dal Segretario nazionale del Partito Democratico che si sente stanca ed ora vuole un po’ di riposo, politicamente è blasfemo.

Lo è perché prima di lei lì c’è passato uno dei più convinti sostenitori del suo approdo al Nazareno. Cioè quel Nicola Zingaretti che, contemporaneamente, si trovò a dover fare il Governatore del Lazio ed il Segretario di Partito. E sia l’una che l’altra cosa, in un clima molto meno placido di quello sul quale sta navigando la Segretaria Schlein.

Ad Elly Schlein va riconosciuto il merito di avere messo a punto la sua squadra, definito gli equilibri, dato una scossa da 5mila volt al Pd defibrillandolo da quello stato quasi comatoso in cui stava sprofondando. Ma sentir parlare di riposo già adesso assegna una dimensione quasi impiegatizia al ruolo della Segretaria.

Anche perché ora c’è tutto il grosso del lavoro da fare. Inizia il momento in cui si deve dare un’identità al Partito. Attraverso una serie di battaglie identitarie, nelle quali gli elettori possano riconoscersi. Ma anche il mondo dell’economia e dell’industria. Affinché pure loro possano comprendere con chi hanno a che fare.

Ma soprattutto la base.

Si ricordi del compagno Aleksej Grigor’evič Stachanov.