Tranquilli, stanno solo giocando alla ‘passatella’

Per capire quello che sta accadendo nelle trattative per la formazione del nuovo Governo bisogna conoscere le regole di un gioco antico: la Passatella. Raccontato da Catone e Giovenale, viene spiegato ora con maestria da Vittorio Macioce.

Vittorio Macioce

Il Giornale - Caporedattore

di VITTORIO MACIOCE
e ANDREA MANCIA
per ‘O MAGAZINE

 

Quello che conta è non far bere il proprio nemico. La natura profonda della politica italiana si nasconde in un gioco di carte e vino (o birra). Si chiama “Passatella” e arriva da tempi remoti, dalle taverne della suburra, le antiche popinae, solo che nella Roma capitale del mondo a segnare il destino era un lancio di dadi.

Ne parlava con disprezzo il giovane Catone e con un certo divertimento, un secolo dopo, Giovenale. La Passatella, conosciuta anche come “Padrone e Sotto”, è lo specchio del potere: alleanze, tattiche, cinismo, rapporti di forza, tradimenti, veti e patti improvvisati.

Il potere ubriaca e per il potere si uccide. Il cuore della Passatella è capire fin dove ti puoi spingere. È braccio di ferro e trattativa. Non c’è un numero definito di giocatori. Basta avere un po’ di soldi per acquistare una quota del prezzo di un fiasco di vino o di qualche birra. Le carte, o i dadi, servono a definire chi è il rex convivii, il Padrone, e chi è il decisivo Sotto, il personaggio con il diritto di veto, indispensabile se si vuole trovare un accordo di “governo”.

Per capirsi: ai tempi di Craxi il Padrone era la Dc e il Sotto proprio il Psi. Con le carte il Padrone è quello che ha il punteggio più alto della primiera, il Sotto quello più basso. Sono loro che devono trovare l’accordo per decidere chi beve e chi no.

Come? Il Padrone fa la proposta al Sotto, tipo: un bicchiere a me, uno a Tizio, uno a Caio e uno a te. Se il Sotto accetta bevono quelli che devono bere e gli altri restano con la sete.

Poi si ricomincia. Sembra tutto facile: perché il Sotto non dovrebbe accettare l’invito del Padrone? Qui comincia la politica. L’accordo funziona se i due sono alleati e compatibili e se quelli invitati a bere non sono nemici storici del Sotto.

Altrimenti parte il gusto e il misfatto umano della Passatella. Bere è un piacere, non bere un’onta, non far bere un regolamento di conti.

Lo scopo sottile del gioco è lasciare all’asciutto chi ti appare come antropologicamente diverso. A Roma si dice: dare “l’ormo”, che probabilmente viene dall’olmo, albero che seppur a contatto con la vite non ne beve il vino.

Se il Sotto o il Padrone sono in Ormo con qualcuno, magari da decenni, tipo i grillini con Berlusconi, allora piuttosto che farlo bere sono pronti a mandare in malora tutto. Si crea uno stallo. E per uscirne serve un atto di forza, che nella Passatella è la “bevuta”. Il Padrone si scola da solo il fiasco di vino, a costo di sentirsi male.

Ci vogliono i numeri. Ci vuole stomaco. Bisogna saper reggere l’alcol. L’unica alternativa è tentare una trattativa, un compromesso onorevole per tutti.

La realtà è che la Passatella è il gioco della politica, vale per i contadini e per i potenti, basta sostituire al vino o alla birra la parola “governo”. Lo vediamo anche oggi. Ed è profondamente italiana.

Se per gli anglosassoni la sfida al potere è tutta nella massima di Cersei Lannister («al gioco del trono o si vince o si muore»), da noi vale la regola dell’Ormo: «Se non puoi bere, l’importante è che resti a secco il tuo nemico».

È la democrazia della terza repubblica. Quella dove il vino scarseggia.

 

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