Mario Abbruzzese ha un dubbio. Atroce. Non sa se telefonare all’Arsenale di Venezia e chiedere che gli mettano in mare il Bucintoro con il quale il Doge prendeva possesso della città una volta salito al potere. Oppure se contattare il professor Zahi Hawass presso il Museo Egizio al Cairo e domandare che gli metta a punto il cocchio di Ramsete II con cui il Faraone rientrava nella capitale dopo le sue vittorie in guerra.
Per mare o per terra, Mario Abbruzzese è il trionfatore di queste elezioni. A Cassino come a Sora. E pure ad Alatri. Ma anche a Latina e Terracina.
Mettiamo subito le cose in chiaro. A Cassino il risultato di Carlo Maria D’Alessandro è tutto e solo suo: un altro uomo al suo posto, sostenuto dalla stessa squadra, non avrebbe vinto. Le ragioni le abbiamo già spiegate in occasione del comizio finale (leggi qui il precedente). Ma pur con tutti questi meriti, se non ci fosse stato Mario Abbruzzese a spianargli la strada, Carlo Maria D’Alessandro non sarebbe stato candidato sindaco nemmeno nel migliore dei suoi sogni. Solo la dimensione dell’ex presidente del Consiglio Regionale ha potuto imporre quel nome alle aspirazioni di almeno mezza dozzina di pretendenti interni, con Giuseppe Di Mascio che abbandona il tavolo e rinnega l’appoggio alla coalizione, salvo tornare sui suoi passi dopo qualche giorno. Solo l’autorità di Mario ha potuto imporre ai candidati consigliere nella coalizione di sparire letteralmente dai giornali, lasciando tutta la scena al candidato sindaco dalla fedina penale immacolata ed il curriculum da funzionario pubblico che lavora in maniera eccellente tanto da portare Cassino in vetta alle classifiche regionali di produttività. Solo l’esperienza di Mario poteva intessere al buio rapporti ed alleanze inconfessabili mentre Carlo Maria faceva alla luce del sole il tour dei quartieri come una madonna di Fatima, strappando consensi ad un sindaco che passa per snob.
Solo Mario Abbruzzese poteva far vincere il suo candidato usando le stesse armi che cinque anni fa avevano eletto Giuseppe Golini Petrarcone. Che ora Peppino ha dimenticato di indossare. E che Mario gli ha scippato sotto il naso. Abbruzzese glielo ha spiegato quando si sono visti in collegamento via Teleuniverso, con la rabbia di chi ha dovuto abbozzare per un’intera campagna elettorale: «Caro signor Petrarcone, hai perso le elezioni perché non sei rimasto fedele a te stesso, ti sei snaturato: cinque anni fa hai vinto perché eri solo con i tuoi principi e contro tutti; oggi hai imbarcato gente improbabile come Marino Fardelli e Gabriele Picano che fino alla settimana prima di mettersi con te t’avevano parlato male su tutti i giornali. Questa si chiama sete di potere. E la gente l’ha capito. Tu non sei quello di cinque anni fa»
Allo stesso modo, a Sora Abbruzzese ha vinto perché ha fatto suo il meglio che gli avversari avevano a disposizione cinque anni fa. All’epoca il centrosinistra si era spaccato tra De Donatis (sostenuto da Francesco Scalia) e Antonio Lombardi (voluto a tutti i costi da Francesco De Angelis): risultato finale, due fallimenti. Oggi, il Pd ha scelto di appoggiare il sindaco uscente che 5 anni fa aveva combattuto e s’è schierato con Ernesto Tersigni. E Mario Abbruzzese si è preso Roberto De Donatis: lo ha convinto concedendogli tutto purché si mettesse a capo dello schieramento. Via il simbolo di Partito, via le mani dal Programma, nessuna ingerenza sui nomi degli assessori. Anche a Sora, come a Cassino, solo l’autorevolezza di Mario poteva imporre una soluzione simile a gente come Vittorio Di Carlo che aveva ben altre aspirazioni; solo Mario poteva chiedere a Giacomo Iula di lasciare il campo. Ed a Sora è stata un’altra vittoria.
Mario ha vinto pure ad Alatri. Dove il suo avversario interno Antonello Iannarilli ha preteso di avere le mani libere da ogni vincolo e si è candidato, scegliendo la coalizione e gli alleati. Perdendo. Gli uomini di Mario si sono collocati intorno alla candidatura dell’avvocato Enrico Pavia, insieme a buona parte degli amici che cinque anni fa avevano sostenuto Antonello ma ne sono rimasti delusi. Numericamente ha perso ma politicamente ha vinto. Iannarilli ha finito di scavarsi la fossa politica in Forza Italia: talmente profonda che questa volta sarà difficile tirarlo fuori. Quando è stata certa la vittoria del sindaco uscente Giuseppe Morini (Pd) ha stappato lo champagne al bar.
Commenta Roberto Addesse, che aveva ritirato la sua candidatura per sostenere Pavia e riunire il centrodestra «Riguardo poi a chi, purtroppo per lui, non e’ andato al ballottaggio e sta festeggiando, penso che si commenta da solo con il proprio fallimento».
Iannarilli non sa trattenersi e replica: «C’è qualche traditore che dice che Noi stiamo festeggiando la vittoria di Morini: falso, noi abbiamo brindato alla sconfitta di chi ha tradito», riferendosi al gruppo di ex amici che non ha voluto seguirlo ed è andato a sostengo di Pavia.
La lapide la mette un utente di Facebook che gli risponde: «Da esterno credo che avete perso, traditi e traditori! Ora non vi lamentate più ! Chi pensa al passato perde il presente e futuro ! Ormai potete brindare ma dopo non vi rimane altro !»
Mario non brinda. ma gode.
Soprattutto quando sente i risultati di Latina. A gennaio il coordinatore regionale di Forza Italia Claudio Fazzone compiva la sua missione numero 1 (e finora unica) nelle province sotto il suo controllo. Veniva a Frosinone per imporre la sua legge, spianare la strada ad Antonello Iannarilli, preparare il commissariamento e la cacciata di Pasquale Ciacciarelli, fedelissimo di Abbruzzese alla guida del Coordinamento provinciale».
Poi, rientrato a casa a Fondi, Fazzone regolava un po’ di conti interni alla coalizione: Fratelli d’Italia gli sbarrava la strada verso le nomine dei vertici di Acqualatina. E lui, per ritorsione, faceva cadere le amministrazioni con sindaci FdI: Latina e Terracina.
Ieri si è votato pure lì: a Latina il candidato di Fazzone non è arrivato nemmeno al ballottaggio, a Terracina ha perso con percentuali bulgare.
Bucintoro o cocchio, per Mario Abbruzzese ha poca importanza. A lui ciò che importa è dove lo devono portare quei mezzi: il potere politico. E oggi, all’interno di Forza Italia, lo ha in maniera quasi assoluta.