Tu chiamalo, se vuoi, ‘Effetto Zingaretti’

Il Pd vince solo dove viene applicato il Modello Zingaretti. In Toscana non ci sono più santuari del centrosinistra. Per il governatore del Lazio «Un ciclo storico si è chiuso».

Tre telegrammi per il Partito Democratico. Uno da Roma, uno da Fiumicino ed uno da Velletri. Sono quelli con cui annunciare che il Partito c’è.

 

Tu chiamalo, se vuoi, ‘Effetto Zingaretti‘.

Il Pd vince ancora. Non in Toscana, nel granducato di Matteo Renzi: lì, come ha annotato con puntigliosa precisione Repubblica, non si registra vittoria ormai da anni. I successi arrivano dall’enclave nella quale i renziani hanno confinato Nicola Zingaretti: aspirante sindaco di Roma, dirottato alla Pisana a fare il Presidente della Regione per evitare che crescesse troppo e diventasse un problema.

Tre successi. Nulla affatto scontati. Le truppe del centrosinistra si vanno a riprendere due municipi che un paio d’anni fa avevano issato la bandiera a Cinque Stelle della sindaca Virginia Raggi. Il III Municipio e l’VIII Municipio sono grandi quanto un capoluogo di provincia italiana.

Il segno della rivincita contro Renzi, lo schiaffo in faccia al segretario toscano con modi da bullo di quartiere, è arrivato ieri sera dal III Municipio: 300mila abitanti che hanno eletto loro mini sindaco Giovanni Caudo un ex assessore della giunta di Ignazio Marino. Quello messo in croce con i chiodi ed il martello passati da Renzi e Orfini, per una Panda in divieto di sosta e due scontrini per cene da due persone. Lo stesso Marino che smessi i panni da sindaco del Campidoglio se n’è andato a fare il chirurgo ed il professore negli Usa, ben lontano dalle follie delle invidie da provincia italiana.

 

Esterino il bi sindaco di Fiumicino

Un altro destinato al patibolo renziano era Esterino Montino: vice presidente della Regione Lazio, reggente dopo le dimissioni di Piero Marrazzo, trasferitosi di fronte alle piste dell’aeroporto internazionale dopo l’avvento di Renata Polverini.

Ottantamila abitanti ed una sfida di dimensioni nazionali. L’altro candidato sindaco era l’ex ministro Mario Baccini. La marcia in più è stata il finto astensionismo. In teoria, Lega e FdI avevano dato disposizione di disertare le urne, idem quel 12% di elettori grillini. Che però con la vittoria di Montino raddoppiano la loro pattugli in consiglio comunale: se avesse vinto Baccino il M5S avrebbe eltto un solo consigliere, con Montino invece ne entrano due.

Si chiama strategia dell’inclusione, Realpolitik. Quella che ha portato Nicola Zingaretti a governare in Regione con l’appoggio di tutti o quasi dal momento che le urne non gli hanno dato una maggioranza. Prima Repubblica, criterio proporzionale, governo di desistenza attiva: c’è tutto il vocabolario moroteo. Ed anche un po’ di andreottismo: meglio tirare a campare che tirare le cuoia.

Nelle file Dem qualcuno comincia a capire solo ora perché una parte del Partito voleva fare il governo con il M5S: per stare al posto di Matteo Salvini e fare con i grillini più o meno ciò che il ruspa sta facendo oggi. Governare. Lasciando gli alleati con la bocca aperta ed il lecca lecca in mano, come i bambini che entrano per la prima volta al Luna Park.

 

Il Pd in liquidazione

Tranne che nella zona Zingaretti, il Partito Democratico perde dovunque. Non esistono più roccaforti. La Toscana ha smobilitato.

Il dito nella piaga lo mette senza unguento Massimiliano Smeriglio, numero due in Regione Lazio: «Oggi ci troviamo a festeggiare altre straordinarie vittorie di quella sinistra civica, popolare e rinnovata, spesso fondata su esperienze in discontinuità con le forme classiche della politica. (…) Il centro sinistra largo, ancorato ad esperienze civiche, può vincere investendo con coraggio sulla rigenerazione delle forme e dei contenuti. Si può fare dunque. Ed il modello Lazio resta il punto di riferimento indispensabile per chi vuole battere destre e i populismi e riorganizzare il campo democratico e progressista di questo Paese».

Tranne le note del De Profundis c’è tutto. Compreso il Gloria in Excelsis Pd Zingaretti.  È l’eslatazione dei segnali che arrivano dal voto: l’elettore ha testato, trovato una proposta alternativa concreta e credibile, è tornato a casa.  Mentre nel resto d’Italia – dove la proposta Zingaretti non c’era – tutto crollava.

 

Un ciclo storico si è chiuso

Il momento di agire è questo. Così Nicola Zingaretti non concede all’avversario nemmeno il tempo di riprendersi. Per martedì alle ore 15.30 dice si all’incontro organizzato dai gruppi consiliari con i circa 200 sindaci dell’Alleanza del Fare. Si vedono in regione.

Poi arriva il segnale. Lo squillo di tromba. Lasciato su Facebook: «Dopo le allarmanti difficoltà che abbiamo attraversato e confermate da un grande numero di ballottaggi persi nelle città italiane, non bastano semplici aggiustamenti. Tantomeno bastano povere analisi di circostanza. Un ciclo storico si è chiuso.

Vanno ridefiniti un pensiero strategico, la nostra collocazione politica, le forme del Partito e il suo rapporto con gli umori più profondi della società italiana, l’organizzazione della partecipazione e della rappresentanza nella democrazia.

In questi anni non ci sono sfuggiti i dettagli ma il quadro di insieme. 

C’è un lavoro collettivo da realizzare. Deve partire subito e coinvolgere non solo il Pd. È il momento del coraggio, della verità e della responsabilità».

 

È il segnale di guerra. Ora la sfida è lanciata.