Tutto ci era contrario, ma noi giocavamo per noi

Il racconto di una notte magica nella fondamentale differenza tra chi invoca Dio per la Regina e chi per la Patria che s'è desta

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

Tutto ci è contrario: lo stadio, il pronostico, la considerazione del mondo verso te, anche le aspettative degli esperti. Tutto ci è contrario compresa la boria dei nostri avversari che fischiano anche l’inno, che già si sentono oltre.

Poi anche la sorte, l’arbitro non fa neanche in tempo a fischiare l’inizio della partita che siamo sotto di un gol. Sono allibito, siamo allibiti.

Ma la chiave della partita, non l’avevo capito, sta negli inni. Loro invocano Dio per “salvare la Regina”, noi ci chiamiamo “fratelli”. Loro sono corsari ed hanno patente di Re per vincere in nome del Re, noi pirati combattiamo per noi per una Patria che si è “desta”.

E cominciamo a giocare, a lavorare, a passare la palla, non per genufletterci ma per restare diritti. Tutto ci è contrario tranne la straordinaria considerazione che “combattevamo” per la res publica, per una cosa nostra.

Passa il tempo: gli operai del pallone prendono posizione, controllano il gioco, senza boria. Con fatica. Tutto è contrario, loro si chiudono a riccio fanno “catenaccio”, noi lavoriamo. Fischiati, derisi.

Noi fummo da secoli calpesti,

 derisiperché non siam popolo,

 perché siam divisi. 

Raccolgaci un’unica bandiera, 

una speme: di fonderci insieme già l’ora suonò.

Goffredo Mameli

Il tempo scorre, le speranze si fanno piccole. La fatica si fa tanta. Ma loro pensano di aver già vinto, che  questo ventre materno latino nulla può con il loro ardore di sassoni. Invece, invece il tempo si addice che un signore Dio dell’universo talvolta la “speme” dei suoi figli ascolta, arriva il gol.

I corsari della Regina si fanno muti, i pirati stanno combattendo per loro, stanno mostrando orgoglio alla boria.

Un ufficiale italiano, in Africa orientale, Amedeo Guillet, combattè per mesi da solo dopo che ci eravamo arresi gli inglesi lo inseguirono ovunque ma non lo presero mai. Finita la guerra, in un pranzo uno degli ufficiali inglesi che dava la caccia all’italiano si presentò: “lei non sa quanto è fortunato ad incontrarmi solo ora”. L’italiano lo guardò fermo e ritto: “No è lei che non conosce la fortuna di non averlo fatto”. Italiani.

Poi la palla non entra, poi la paura si vede nelle facce inglesi. Una musica diversa: chi combatte per la Regina chi per se stesso, per se stessi.

Non passano non passiamo. Poi i rigori, la paura di sbagliare per entrambi ma noi abbiamo un portiere in più. Si chiude così non in “attacco” ma in porta, nelle mura che difendono le nostre città. Loro hanno fatto squillare le trombe dell’attacco, noi avevamo Pier Capponi che ha fatto suonare le campane.

Un Re ha perso davanti a cittadini e sono orgoglioso, una squadra di uomini ha perduto e mi tolgo il cappello, l’Italia ha vinto e mi sento fratello.

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