Tutto pronto per il rush finale: in serata il nome del premier

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SI RIPARTE DA QUI Via all'ultimo giro di consultazioni. Questa sera il nome del premier. I 5S si dividono sul voto con Rousseau. Standing ovation della Direzione per Zingaretti. La reazione dei mercati. Barillari incredulo

Tutto in un pomeriggio. Alle 16 il Presidente della Repubblica riprende le consultazioni. Incontrando le delegazioni del Partito Democratico, della Lega e infine del Movimento 5 Stelle. Al termine annuncerà il nome del Presidente del Consiglio dei Ministri incaricato, cioè della persona alla quale viene affidato il compito di formare il nuovo governo. Se di fronte ai microfoni annuncerà il nome del professor Giuseppe Conte, significa che si andrà ad un governo tra Pd e 5Stelle; se il nome sarà un altro, significa che si va a nuove elezioni che verranno gestione da un governo elettorale.

Poco prima delle ore 15 Nicola Zingaretti ha riunito al Nazareno la delegazione del Pd che andrà al Quirinale: la vice segretaria Paola De Micheli e i capigruppo Graziano Delrio e Andrea Marcucci.

Standing ovation per Zingaretti

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Applausi e standing ovation per il Segretario Nicola Zingaretti: la Direzione Nazionale del Pd ha approvato con un solo voto contrario (Matteo Richetti) la sua relazione sulla trattativa per formare il nuovo governo.

La Direzione del Pd ha conferito pieno mandato a Zingaretti per dichiarare al presidente della Repubblica «la disponibilità del Partito Democratico a verificare con il Presidente del Consiglio incaricato le condizioni per dare vita al nuovo Governo».

Un discorso carico di orgoglio, senso di responsabilità e senso dello Stato. Capace di fare la sintesi tra le diverse sensibilità interne al Pd.

Stavolta prima l’Italia lo diciamo noi…“. Nicola Zingaretti parla alla Direzione del Partito e spiega le ragioni di un governo giallorosso: al quale lui per primo non credeva, ritenendo più giusto andare a nuove elezioni. Nelle ore immediatamente precedenti a quel discorso aveva detto ai fedelissimi «Ho dovuto fare i salti mortali, anche mettendo da parte alcune delle mie convinzioni, per tenere tutto insieme.» (leggi qui Zingaretti, il compagno segretario che tenne unito il Pd).

Ora, ai dirigenti nazionali assicura come il Pd garantirà che in primo piano ci saranno sempre le priorità del Paese e gli interessi degli italiani, non le poltrone o le ambizioni personali.

Basta politica di odio e rancori

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Nella sua relazione fa il riassunto e l’esame di quanto accaduto fino ad ora. Riferisce gli ultimi sviluppi della trattativa in corso: racconta cosa si sono dette ieri sera e poi questa mattina le delegazioni del Pd e del M5S riunite a Montecitorio per individuare una convergenza, la base su cui costruire un programma unitario. Perché questo deve essere chiaro: il Pd non è disposto a fare il sostituto della Lega, vuole un governo che duri l’intera legislatura ed abbia obiettivi chiari da raggiungere in maniera condivisa. Nulla a che vedere con contratti che non erano più di una sommatoria dei due progetti dei contraenti.

Conferma che c’è il nodo del del vicepremier con Luigi Di Maio. Ma “Troveremo nel Presidente della Repubblica il giusto equilibrio per affrontare una difficile crisi”. Ora c’è da dare un governo al Paese e chiudere al più presto “questa stagione di odio e rancori. Riscopriamo un’idea della politica come servizio e non solo come scontro e conflitto”.

Il migliore discorso dei leader Pd

Piero Fassino esce dalla Direzione Pd e tesse le lodi del suo Segretario. «È stata una relazione lucida, onesta e orgogliosa. Credo che sia uno dei migliori discorsi che un leader politico del nostro Partito abbia fatto, tenuto conto soprattutto del passaggio difficile che Zingaretti ha dovuto gestire».

Il dirigente nazionale Demo sottolinea che Nicola Zingaretti «ha gestito questo passaggio con grandissima intelligenza, capacità e spirito unitario. E direi che il lungo applauso, anzi, l’ovazione finale, che lo ha salutato, è il riconoscimento di tutto il partito al suo lavoro».

Conte premier mediatore

Giuseppe Conte

Incassato il via libera dalla Direzione nazionale a verificare la possibilità di costruire un nuovo governo, il Pd ora guarda al premier Giuseppe Conte come possibile mediatore con i 5 Stelle.

La partita che si sta giocando in queste ore è tutta politica. Il Pd non è intenzionato ad accettare un vicepremier unico pentastellato: il problema non è il nome di Luigi Di Maio ma il fatto che ora c’è un premier a 5 Stelle e allora il vice deve essere uno solo e del Pd. Meglio allora un esecutivo senza vice, schema che assicurerebbe maggior compattezza all’asse governativo, come ritiene Andrea Orlando.

I Dem confidano che Conte, una volta ottenuto l’incarico, possa lui, come vuole la prassi consolidata, da premier incaricato, sciogliere tutti i nodi sul tavolo, soprattutto quelli in casa M5S, attraverso brevi consultazioni con tutte le forze parlamentari.

La crisi di Calenda

La decisione della Direzione provoca le dimissioni di Carlo Calenda. Annunciate con una lettera aperta affidata all’Huffington Post Italia. Una lettera indirizzata a Nicola Zingaretti e Paolo Gentiloni l’ex ministro parla di “una decisione difficile e sofferta“.

Caro Nicola, Caro Paolo, vi prego di voler accettare le mie dimissioni dalla Direzione nazionale del Partito democratico”.

“Penso che in democrazia si possano, e talvolta si debbano, fare accordi con chi ha idee diverse, ma mai con chi ha valori opposti. Questo è il caso del M5S”.

“Sapete bene che nulla abbiamo in comune con Grillo, Casaleggio e Di Maio. Ed è significativo il fatto che il negoziato non abbia neanche sfiorato i punti più controversi: dall’Ilva alla Tav da Alitalia ai Navigator. Un programma nato su omissioni di comodo non è un programma, è una scusa”.

“Le elezioni arriveranno. Le avete solo spinte più in là di qualche metro. Quando sarete pronti a lottare ci troveremo di nuovo dalla stessa parte. Con amicizia”.

La crisi di Rousseau

Grillo con Di Maio e Casaleggio

Comunque vada a finire, questa crisi cambierà tutto. Nel Pd Nicola Zingaretti ora è un leader al quale tutti riconoscono il valore ed il merito; Matteo Renzi ha scoperto che un ruolo ed uno spazio di grande rilievo, se vuole all’interno c’è pure per lui. Nella Lega il mito dell’infallibilità del Capitano è finito in frantumi: è lui, Matteo Salvini, ad avere bruciato in due settimane un consenso fino a quel momento astronomico: nemmeno Matteo Renzi era stato capace di tanto.

Il Movimento 5 Stelle si guarda allo specchio e scopre che anche al suo interno ci sono le componenti, Luigi Di Maio ha fallito e solo la ragion di Stato gli sta evitando umiliazioni. Ma è chiaro che il futuro del MoVimento si chiama Giuseppe Conte: con la sua credibilità internazionale è l’unico a poter dare spessore e peso specifico ad un Partito che qualche mese fa era protagonista dello scivolone con i Gilet Gialli in Francia.

Entra in crisi anche il modello Uno vale Uno. Finalmente si inizia a capire che è diverso dal dire Uno vale l’altro. E che Rousseau non può sostituirsi ai parlamentari delegati dai cittadini e tutelati dalla Costituzione.

In queste ore c’è chi lo sta dicendo con chiarezza. Come il comandante Gregorio De Falco, quello del famoso “Schettino, salga a bordo caz..!!“. Senatore ribelle del M5S, in queste Nore ha scritto su Twitter «La piattaforma #Rousseau sta alla democrazia rappresentativa come il rito pagano sta alla religione cristiana».

E non solo. «Elementi pagani sono, infatti, rimasti nel rito cristiano, come gli istituti di democrazia diretta rimasti quali elementi complementari rispetto alle istituzioni della democrazia rappresentativa parlamentare».

I segnali dai mercati

L’andamento dei Titoli

I mercati reagiscono bene. C’è fiducia in un esecutivo più orientato verso l’Europa. Cioè verso una realtà nella quale ci sono i soldi con cui vengono fatti gli investimento in Italia. E viene comprato il nostro debito.

Intorno alle ore 14 gli indicatori segnavano un rendimento intorno all’1% per la prima volta per il Btp decennale in attesa del Governo M5S-Pd. Lo spread tra Btp e Bund tedeschi, già in caduta libera da ieri, si attesa a 173 punti base.

Il trend ribassista tra i rendimenti dei Titoli di Stato a livello europeo trascina ai minimi storici il Btp, finora trattenuto dall’instabilità politica delle ultime settimane.

Il rendimento del decennale italiano, che fino a un anno fa era stabile sopra il 3%, oggi è sceso per la prima volta nella sua storia sotto l’1% (0,99%). Il precedente record per il rendimento del decennale era stato agosto 2016, quando si era attestato all’1,04%.

La prospettiva di un Governo M5S-Pd, che metta all’angolo le spinte antieuropeiste della Lega, sta contribuendo a raffreddare i rendimenti in Italia, ma non c’è solo questo a spiegare l’andamento delle curve.

L’ultimo dei moichani

Davide Barillari

Non si dà pace Davide Barillari, il consigliere regionale del Lazio a 5 Stelle che ormai da mesi è isolato nella sua posizione integralista. Fosse stato per lui, nessuno dei provvedimenti portati a casa dall’abilità politica della sua capogruppo Roberta Lombardi doveva essere acquisito. Perché bisognava arroccarsi nel fortino e rifiutare qualsiasi dialogo con il centrosinistra regionale di Nicola Zingaretti, Daniele Leodori e Mauro Buschini.

Nel pomeriggio Davide Barillari ha annunciato che attenderà l’esito del voto su Rousseau e poi deciderà. Si sfoga con l’agenzia AdnKronos: «È stato dimostrato che il Pd è stato coinvolto in Mafia capitale. E non solo. Parliamo di arresti su mille casi, il Pd è coinvolto nel malaffare di questo Paese. Non adesso ma da decenni. È una certezza. Noi dovremmo essere contro il malaffare e la corruzione. Attualmente il Pd è un partito che non si è dissociato e non è cambiato. Zingaretti è un personaggio di quel mondo, come Renzi come la Boschi, tutti questi dirigenti che sono sempre gli stessi. il Pd non si è rinnovato. Il Pd è una cosa sola».

Non riesce ad accettare l’idea che il MoVimento possa governare insieme ai Dem. Qualcuno gli fa notare che il M5S ha governato anche con la Lega che aveva qualcosa come 49 milioni di finanziamento pubblico da restituire perché è chiaro che li abbia fatti sparire. Ma Barillari ha solo il Pd in testa: «Noi siamo nati contro quel sistema, quel partito, quel modello di società – ripete il grillino, che aggiunge – il fine non giustifica i mezzi. Dicono che pur di governare dobbiamo allearci con chiunque, io non la penso così».