Cosa c’è alla base del disastro Pd in Umbria

Foto © Imagoeconomica

Non è stato un test limitato all'Umbria. Il risultato delle Regionali di ieri lancia segnali concreti. Che tutti farebbero bene a non sottovalutare.

Carlo Alberto Guderian

già corrispondente a Mosca e Berlino Est

Non è vero che fosse “poco più di un paesone“. Non è vero che si trattase di un test “non rappresentativo“. Al contrario: il voto alle Regionali in Umbria ha fornito indicazioni precise, valide su scala nazionale. Sulle quali ora tutti stanno facendo i loro calcoli e tarando l’azione da mettere in campo già dai prossimi giorni.

Ritorno alle urne

Il primo elemento su cui riflettere. La gente è tornata a votare. Ha capito che l’astensione è un pessimo affare, sotto qualunque latitudine elettorale ci si trovi. Perché alla fine uno andrà lo stesso a governare.

È la fine di una litania recitata in maniera ossessiva per generazioni: “tanto sono tutti uguali“. Non è più vero: se la gente corre ai seggi significa che qualcuno ora lo vede diverso da quelli che “sono tutti uguali“. E se va in massa ai seggi è perché ha capito che una vittoria con pochi voti, oltretutto di misura, non legittima in pieno l’eletto.

Matteo Salvini con il nuovo Governatore dell’Umbria

Alla gente poco importa che Matteo Salvini e Giorgia Meloni rappresentino un mondo sovranista, nazionalista, vicino alle destre più imbarazzanti in Europa. Molti nemmeno sanno cosa sia il sovranismo. Li hanno votati perché rappresentano un cambiamento. Anzi: l’unico cambiamento possibile. Perché nessuno gliene ha proposto un altro.

Un cambiamento invocato con rabbia da un elettorato che per oltre mezzo secolo si è sentito dire ad ogni inizio di legislatura che “è arrivato il momento di fare i sacrifici e stringere la cinghia“. Senza mai vedere un progetto serio ma sempre il solito aumento di benzina e sigarette; quando non è bastato s’è introdotta la tassa sulla casa “manco me l’avesse costruita lo Stato“. E quando nemmeno quello è stato sufficiente, avanti con il taglio delle pensioni, lasciando come babbei migliaia di lavoratori senza più impiego e senza più diritto alla pensione. Li hanno chiamati esodati: come gli sfollati palestinesi, abbandonati da tutti.

Nulla di concreto, in cambio di quei sacrifici: né bollette che finalmente si fanno più leggere, né servizi più efficienti, né più sicurezza per i figli che giocano in strada.

Gli elettori si sono stancati di aspettare.

Effetto Renzi

Matteo Renzi © Imagoeconomica, Paolo Lo Debole

Il più furbo della compagnia è stato Matteo Renzi. Buona parte del disastro elettorale in Umbria riconduce a lui. È suo il modello di Partito Democratico che ora nessuno vuole più sentire, il Partito delle Banche, il Partito delle Tasse. Sua (per connessione orfiniana) era la governatrice costretta alle dimissioni per una condotta poco limpida sulle politiche sanitarie regionali. Costretta da Nicola Zingaretti ma questo nessuno si ricorda di scriverlo.

È un modello quasi tutto renziano quello che è venuto giù ora con le elezioni regionali di domenica. Il suo artefice però se n’è andato via dal Pd un paio di settimane prima del voto ed alle elezioni umbre ha fatto finta di non farsi vedere.

Effetto Conte 2

Allo stesso modo però non si può negare che a contribuire al risultato sia stato anche il Governo Conte 2, quello giallorosso con Pd e Cinque Stelle insieme: un’alleanza meno contronatura di quella tra Lega e Cinque Stelle. Perché molti grillini sono fuoriusciti dalla sinistra più radicale, mai entrati nel Pd perché pieno di democristiani che la sola vista gli scatenava le bolle.

Il presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte

L’alleanza contronatura ha riportato nel Pd una serie di concetti dai quali i Ds si erano già affrancati. Più semplice? Un balzo culturale indietro. Le manette agli evasori, il contante a mille euro sono follie figlie di una visione dello Stato oppressiva, invidiosa del reddito, per nulla amica di chi cerca un miglioramento.

Il governo delle tasse e delle manette sta tutto lì.

Il premier Giuseppe Conte ed i suoi alleati avevano in mano un asso e l’hanno giocato malissimo. Avrebbero dovuto mettere in piedi una Finanziaria capace di far sognare gli italiani. Se lo hanno fatto, nessuno ne ha avuto la percezione.

In questo c’è anche un’aggravante. Questa Finanziaria riabilita Matteo Renzi e lo fa apparire un economista di statura: nulla che faccia sognare, al confronto sono genialate Industria 4.0, Jobs Act, Super Ammortamento. Tutta roba renziana con la quale molte imprese hanno ripreso ad assumere.

Nulla che faccia sognare.

Effetto Zingaretti

Ancora una volta aveva ragione lui, Nicola Zingaretti: il Partito Democratico doveva andare alle urne subito se voleva continuare l’onda di Piazza Grande, quella che ha riportato il popolo del Pd nelle sezioni.

Matteo Salvini © Imagoeconomica

Le urne avrebbero derenzizzato il Partito, la rabbia degli elettori si sarebbe scaricata sul rottamatore che alla fine aveva rottamato tutto il Pd ed il suo modo di essere.

Non puntare i piedi ha tenuto unito il Pd. Ma lo ha portato alle elezioni di ieri. Facendolo uscire nell’unico modo possibile: in macerie.

La via d’uscita è una sola. La stessa che il Segretario ha imboccato per riportare un milione di elettori più del previsto alle scorse Primarie. La via è ammettere gli errori, cambiare il Pd, riportarlo ad essere quello che era. Con il coraggio di sognare e regalare un sogno agli italiani, soprattutto quelli della nuova generazione, che scappano all’estero. E non tornano. perché lì vedono che si può fare.

O iniziamo a rendere Europeo anche questo Paese oppure, tanto vale tenersi Salvini e Meloni.