Un dio che vogliamo solo su misura

Rimproveriamo a Dio di essere assente, di non intervenire. Lo fece pure Marta: "Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”. Lo vogliamo su misura, per risolvere i nostri problemi. Invece è altro

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse? (Gv 11,37)

Quante volte abbiamo detto questa frase. Quante volte abbiamo rimproverato Dio di essere assente, di non parlare, di non intervenire. E quante volte abbiamo imprecato contro di lui che ci ha abbandonati alle nostre disgrazie e alle nostre malattie, a volte a gesti disperati…

È la frase che le sorelle di Lazzaro ed i suoi amici ripetono di fronte all’assenza di Gesù, che pure era stato avvertito della malattia grave dell’amico Lazzaro. Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto lo rimprovera apertamente Marta, quando finalmente Gesù arriva a Betania.

Non dobbiamo dunque stupirci per le nostre affermazioni. Sono naturali, spontanee, di fronte al dolore per la morte e la malattia. Ma corrispondono alla nostra immagine di Dio, non alla verità che Gesù tenta, vanamente, di far intendere ai suoi discepoli e a Marta. 

Se Dio è una nostra creazione

Giovedì scorso i ragazzi che hanno incontrato il vescovo Ambrogio Spreafico al Liceo di Ceccano, tra le altre tante domande, gli hanno chiesto se Dio non sia  una creazione dell’uomo: ecco, quel Dio che i discepoli, i giudei, Marta attendono è il Dio che loro vorrebbero, che vincesse le malattie, che non facesse morire le persone, che guarisse tutti. (Leggi qui: No, non soltanto una predica).

Sin da ragazzo ho pensato a Lazzaro che in realtà muore due volte, come gli altri risuscitati da Gesù; mi sono chiesto perché mai Gesù non guarisca tutti i ciechi di Israele e tutti i sordi e gli zoppi, ma soltanto alcuni. La risposta  è proprio nella domanda dei giudei: la vita di cui Gesù parla, la vita eterna, è ben oltre la vita biologica, iscritta nei nostri corpi sia per il suo inizio che per la sua fine. Nel momento in cui ci affidiamo a lui, nel momento in cui diciamo “io credo”, la sua vita ci appartiene: siamo già eterni, non può spaventarci la morte biologica che è soltanto la fine del funzionamento di un organismo. Lo dice Gesù a Marta: io sono la resurrezione e la vita. Tu, Marta, chiedi una vita che non è quella che io già ti ho dato.

Questa è la fede dei cristiani cui spesso non crediamo, di cui dubitiamo perché vorremmo invece un dio pronto a fare quello che noi riteniamo bene in quel momento. Tanto che, nel racconto della resurrezione di Lazzaro, una parte di coloro che avevano assistito al miracolo decide di affrettare i tempi per uccidere Gesù.

Un dio a nostra immagine

Ecco il dio che ci facciamo a nostra immagine, un dio che corrisponde esattamente ai nostri voleri, che non ci mette in difficoltà, che non ci rimprovera quando facciamo stupidaggini, che non si adira con noi quando commettiamo delitti. Un dio che quando diventa scomodo siamo pronti a rinnegare. Un dio pronto a servirci, invece di un Dio pronto ad accoglierci con tutte le nostre fragilità, a perdonarci pur di essere disposti ad accettare il suo perdono e a darci la vita, quella vera, quella che non finisce, quella che non ha storture e limiti.

Anche per questa domenica, seguendo il consiglio di Papa Francesco, vale la pena rileggere più volte il racconto della resurrezione di Lazzaro, come Giovanni ce la narra al cap. 11 del suo vangelo.

(Leggi qui tutte le meditazioni di Pietro Alviti). 

(Foto di copertina © DepositPhotos.com)