Un mondo di eroi al contrario

Modelli al contrario. Storie di violenti e di boss della violenza raccontate come se fossero degli eroi. È su questa strada che si arriva a credere che la violenza sia normale

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. 

Mt 5,21-22

Queste parole sono inserite da Matteo dopo  il cosiddetto Discorso della Montagna, carta costituzionale dei discepoli di Gesù. Specificano in cosa consistano quelle beatitudini, annunciate da un monte, come il decalogo di Mosè.

Non si tratta più di evitare il male, di non fare il male, ma di costruire le condizioni perché il male non si sviluppi. È l’insieme degli atti d’ira che porta poi all’assassinio, è l’abitudine ai comportamenti violenti, la consuetudine di considerarli come ragazzate innocue, la mancata indignazione nei confronti della violazione delle regole, in qualche caso addirittura l’ammirazione per chi utilizza metodi violenti.

Eroi al contrario

Locandina della fiction Gomorra

Come nelle storie che ci vengono raccontate da saghe romanzate sulla banda della Magliana o su Vallanzasca, in cui uomini, capaci di uccidere a sangue freddo, senza pensarci su due volte, sono presentati come eroi dai imitare. Chiunque potrebbe dire: ma quello è un film, una storia inventata.Ma quei film, quelle storie inventate generano cultura, modo di pensare, soprattutto in quelle fasce di popolazione che non hanno l’abitudine a confrontarsi con altre opere cinematografiche o altre rappresentazioni della realtà, magari quelle dei libri.

Per questo, il boss malavitoso assurge addirittura ad un ruolo sociale. Sedando, con le sue regole violente, i contrasti che si creano su un territorio. Suscita ammirazione, senza riflettere che i suoi guadagni, le sue ricchezze, la sua potenza derivano dalle malversazioni, dallo spaccio delle droghe, dallo sfruttamento della prostituzione, dalla corruzione. Dalla sofferenza di tanti poveracci sulla cui sopraffazione si basa lo strapotere del boss che, per mantenere il controllo della situazione, deve anch’egli far ricorso a quelle stesso sostanze su cui ha costruito la sua infame ricchezza.

E tutto questo viene immortalato con elementi epici che nulla hanno a che fare con la violenza dei boss malavitosi, che si arrogano il potere di decidere della vita altrui.

La cultura della violenza

Emanuele Morganti

La pallottola che ha ucciso Thomas, le spranghe che hanno assassinato Emanuele, i colpi di karatè che hanno spezzato la giovane e coraggiosa vita di Willy, il coltello che ha interrotto l’esistenza spensierata  di Romeo hanno origine da una cultura tradizionalmente violenta.

Una visione che invece di essere redenta dalla cultura e dallo studio, è alimentata da esempi di briganti, di malviventi, di gangster, spacciati per novelli Robin Hood, invece di essere stigmatizzati per la loro spietata ferocia. L’assassinio viene dall’abitudine alla violenza e dall’accettazione sociale dei comportamenti basati sulla sopraffazione dei più deboli.

Ecco la necessità che la parola ci indica di ridurre il male al minimo possibile. Di tener conto che il male si accovaccia alla nostra porta, come ci dice il libro di Genesi. È pronto lì ad impadronirsi di noi, a farci credere che quello sia il nostro bene perché così diventiamo potenti, ricchi, invulnerabili: da questo derivano i nostri comportamenti peggiori che arrivano anche a togliere la vita a Thomas.

(Leggi qui tutte le meditazioni di Pietro Alviti).