Una sola Camera fa le leggi, ecco la riforma targata Pd

La Riforma targata Pd: una sola camera fa le leggi. Introduzione della sfiducia costruttiva.Legge elettorale: preferenze no ma collegi maggioritari in un sistema proporzionale.

Nicola Zingaretti apre il cantiere riformista del Pd e lo fa annunciando quelle che sono le linee guida sulla riforma costituzionale che andrà a proporre il suo Partito. Ma anche dando importanti spunti relativi alla nuova legge elettorale, che dovrà garantire rappresentatività e governabilità.

Sono due i capisaldi della riforma: il superamento del bicameralismo perfetto (un sistema basato su Camera + Senato che devono approvare le stessa legga nello stesso identico testo) ed il rafforzamento dell’esecutivo in carica, attraverso la nascita della sfiducia costruttiva. È una formula che era stata usata anni addietro nei Comuni: posso sfiduciare il premier, far cadere il Governo e sostituirlo subito con un’altra alleanza che invece ha i numeri per stare a galla. Una crisi fast insomma, con la soluzione già in tasca.

Dialogo aperto

Giuseppe Conte

Una proposta aperta a tutti, a maggioranza e ad opposizioni. Ed è proprio su questi ultimi che Zingaretti fa capire come stanno le cose, anticipando che Silvio Berlusconi è pronto a discuterne e che la chiusura di Giorgia Meloni e Matteo Salvini non è pregiudiziale. In pratica? La porta è socchiusa, c’è uno spiraglio dal quale parlare.

Il Segretario Pd vuole che la discussione sull’Italia del futuro inizi al più presto. Ed accompagni il Paese alle riforme con cui superare i limiti messi a nudo dal Covid. Anche con i fondi che sono in arrivo dall’Europa. La vittoria del “” al referendum è stata una sorta di male necessario per poter avviare questo cantiere, una pillola da mandare giù per iniziare i lavori.

Ed infatti, magicamente, il Segretario parla di una nuova fase all’interno della maggioranza, con una “evoluzione positiva” perché “prima – dice – ci si muoveva solo nel perimetro dell’accordo di governo“, ora la discussione esce dalle stanze della politica per farsi contaminare dal confronto con le idee degli altri.

Uno e trino

Foto © Paolo Cerroni / Imagoeconomica

Il Parlamento nella visione del Pd, superando il bicameralismo perfetto, dovrà essere uno e trino. Una metafora che può essere spiegata in questo modo: uno, perchè in seduta comune darà e toglierà la fiducia al governo; si esprimerà sulla legge di Bilancio; sull’autorizzazione all’indebitamento; sulla conversione dei decreti legge; sulle ratifiche dei Trattati internazionali; sulle comunicazioni del presidente del Consiglio prima e dopo i Consigli europei. 

Trino, perché oltre a quanto si farà in seduta comune, poi ogni ramo avrà un suo compito. Il Senato, integrato da 21 rappresentanti delle Regioni, si pronuncerà sulla valutazione dell’impatto delle politiche pubbliche sui territori; eserciterà i poteri oggi in capo alla commissione bicamerale per le Questioni regionali, che viene abolita; sarà titolare del potere di inchiesta parlamentare.

 Alla Camera invece avverrà l’approvazione in via definitiva di tutti i disegni di legge, esclusi quelli riservati al Parlamento in seduta comune, nonché quelli relativi a leggi di revisione della Costituzione, alle altre leggi costituzionali e alle leggi elettorali, approvati in via paritaria da ciascuna Camera.

E poi la sfiducia costruttiva: ovvero l’obbligo del presidente del Consiglio di presentarsi prima al Parlamento in caso di dimissioni e la possibilità di revoca dei ministri da parte del Capo dello Stato su proposta del premier, con la stessa procedura quindi che ne disciplina la nomina.

E la Legge Elettorale?

Elezioni © Benvegnu’ Guaitoli / Imagoeconomica

Ma come nascerà questo parlamento? Ovvero, quale dovrebbe essere per il Pd la legge elettorale sulla quale si andrà a discutere? Il Presidente Zingaretti ha innanzitutto posto un paletto: il 5% non si tocca, perché quella soglia di sbarramento non è stata messa lì per caso, un numero “figlio di mesi di confronto politico su un giusto compromesso, è la condizione per poter andare avanti“, questo quanto ha affermato Zingaretti.

E le preferenze? I nomi dei candidati che voglioamo votare? Per eleggere il Consiglio Comunale si scrive il nome del candidato che si intende votare; la stessa cosa avviene con il candidato che vogliamo mandare in Regione. Qui il discorso si fa più ampio ed il segretario non fa mistero di quella che sarà la sua strategia: no all’indicazione del candidato, sì a collegi provinciali.

Zingaretti è partito dicendo che il sistema perfetto non esiste, ma lui, una sua idea la ha. “A livello personale, rispetto alle preferenze si potrebbe pensare ai collegi maggioritari inseriti in un sistema proporzionale, come in passato avveniva per il Senato e per i consigli provinciali. Un modello più adatto ad andare incontro alla domanda che c’è di rapporto tra eletti ed elettori, salvaguardando la parità di genere“.

In pratica? In ogni zona, si sfidano corpo a corpo un solo candidato per ogni Partito, quello che prende anche un solo voto in più ha vinto. Chi entra in Parlamento? Dipende in proporzione ai voti che il Partito ha preso a livello nazionale.

Le preferenze, ha sottolineato, non creano un problema legato ad eventuali casi di illegalità e degenerazione, ma soprattutto rischi di una implosione interna ai Partiti: emergerebbero più i nomi e gli interessi rispetto alle idee.

Così parlo Zingaretti.