Unicas studia il Covid: e scopre gravi errori in serie

Maurizio Esposito, docente di Sociologia dell'Unicas, conduce una ricerca sulla comunicazione nell'era di Covid. E scopre due cose: che il modello di comunicazione era sbagliato. E che se l'errore persiste il futuro è compromesso.

Fabio Cortina

Alto, biondo, robusto, sOgni particolari: molti

L’università di Cassino studia il Covid-19. Non dal punto di vista medico. I ricercatori del rettore Giovanni Betta hanno concentrato l’attenzione sugli aspetti sociologici: i comportamenti avuti dalla gente durante il lockdown, cosa hanno fatto una volta finito lo stop globale. Se n’è occupato il team del professor Maurizio Esposito con il suo collega Lucio Meglio, del laboratorio di Sociologia all’Unicas.

I presupposti sono due. Il primo è riassunto al meglio da una delle frasi pronunciate nelle ore scorse dal presidente Emmanuel Macron quando ha annunciato alla Francia il nuovo lockdown. Ha detto: “Il virus circola a una velocità che anche le proiezioni più pessimiste non avevano previsto”. (Leggi qui Covid, la Regione si prepara alla battaglia per Roma).

Da destra, i professori Esposito e Meglio

L’altro presupposto: come è potuto accadere ciò che le cronache hanno registrato lo scorso agosto in Costa Smeralda? Come è stato possibile che centinaia di persone si siano assembrate, senza mascherina, nonostante fossero state costrette per quasi quattro mesi a stare chiuse in casa? Lo stesso interrogativo che è sorto spontaneo lo scorso fine settimana: nonostante la nuova ondata di Covid in arrivo, le fotografie dalle piste sciistiche ritraevano circa 200 persone incolonnate, una vicina all’altra o ammassate nella cabina della funivia.

Errore di comunicazione

Per i professori Maurizio Esposito e Lucio Meglio ed il loro team c’è stato un errore di comunicazione. Sono stati veicolati i messaggi sbagliati, nel modo sbagliato, verso gli obiettivi sbagliati.

Lo dicono i primi numeri della ricerca che stanno sviluppando sulla comunicazione relativa al Covid. Si è passati al nulla da una campagna martellante sulle distanze da rispettare, sulle mascherine da indossare, sulle mani da igienizzare. Passare dal tutto al niente è stato percepito come un segnale di cessato allarme, di scampato pericolo.

Foto © Marco Cremonesi / Imagoeconomica

Sbagliati anche gli obiettivi. Sono stati criticati i giovani che si ammassavano per gli aperitivi, negavano l’esistenza del Covid, sostenevano che il coronavirus colpisse solo gli anziani. Tutta colpa loro quindi? La prima fase della ricerca risponde che la vera colpa sta, semmai, in un’errata comunicazione rivolta ai giovani. Errata comunicazione che poi ha determinato una rottura degli argini nei comportamenti sociali.

Una ricerca che, afferma il dottor Meglio, sta portando alla luce carenze enormi nella comunicazione del rischio. Soprattutto nell’efficacia degli schemi comunicativi.

Lo studio e i suoi risultati

I numeri di questi giorni parlano di nuove chiusure in arrivo anche in Germania e Francia. Pure la Svezia si prepara. Finora è stato l’unico Paese al mondo che non ha imposto il lockdown: ora però ha registrato 1.870 nuovi casi di coronavirus in 24 ore; per l’Agenzia della Salute svedese, in primavera ci sono stati molti più contagi ma non sono stati registrati per la mancanza di test.

A prescindere dall’efficacia delle misure adottate, lo studio condotto a Cassino si è concentrato sui comportamenti della popolazione e sull’efficacia della Comunicazione fatta dai Governi.

Sciatori in settimana bianca

Sotto questo profilo è evidente che la gestione svedese abbia avuto risultati di gran lunga migliori. Poche regole, nessuna imposizione, messaggi mirati a rispettare soprattutto il distanziamento. La conseguenza è che spontaneamente i risultati si sono visti. Tutto perché gli svedesi sin dall’inizio si sono fidati di quanto ha raccomandato loro il governo.

«In Italia abbiamo tenuto i giovani confinati per quattro mesi in casa. Poi abbiamo detto loro che potevano uscire. E loro si sono comportati secondo gli schemi della socialità giovanile», spiegano i professori. «Questo ritorno alla normalità non è stato accompagnato da una corretta informazione sui comportamenti da continuare a mantenere».

Come dire che la vocina asettica che in Tv ti ricorda di indossare la mascherina, oppure i cartelli scritti fuori da locali affollati all’inverosimile, non hanno alcuna efficacia. Non ce l’hanno se non accompagnati da un modello comunicativo efficace.

Come se Covid non ci fosse

A dirlo sono proprio quelli che il Covid-19 se lo sono presi. «Noi – hanno affermato i docenti Unicas – stiamo svolgendo una ricerca intervistando i guariti Covid. E stanno venendo fuori delle grandissime lacune del sistema comunicativo informativo».

L’intelligenza della ricerca avviata dall’Università di Cassino sta proprio lì: andare a chiedere proprio a chi il coronavirus se l’è preso, come sia stato possibile: a cosa non è stato attento, perché ha trascurato i messaggi che arrivavano.

Tanti i messaggi ‘sbagliati’. Le troppe trasmissioni tv nelle quali sono sparite le mascherine, i conduttori troppo vicini. Ma anche i politici: le manifestazioni organizzate a ridosso delle elezioni erano veri e propri assembramenti, nei quali le distanze sono state azzerate e le mascherine sono passate come un pretesto per potersi riunire e scavalcare le regole.

Sbagliato anche il modo di comunicare in tv e sui media in genere. Come se fosse una gara tra lanciare l’allarme e negare quel pericolo. Più grave ancora il ritorno dell’affollamento su bus e treni: come se nulla fosse, come se il virus non esistesse: il messaggio che è passato è stato “Se ci fanno ammassare così significa che si può fare, non c’è rischio”.

L’assenza di controlli ha fatto il resto. Non c’è stata la percezione del pericolo. La gente, non solo i giovani, non ci ha creduto più.

Da Covidi a Covid, non è troppo tardi

E’ troppo tardi? No. Sono passati mesi, non anni ed ora, per fortuna, le scuole seppur a fatica sono aperte. Le sorti della partita sono in mano ai docenti. «C’è bisogno di comunicare e parlare, soprattutto nella scuola, ai giovani di come vivere questo momento. Ne va del futuro del nostro mondo».

Non sparare nel mucchio dei giovani è una necessità concreta

Sì, perché dopo queste nuove restrizioni, una volta passata anche la seconda ondata, ci sarà un nuovo ritorno alla normalità. I virologi più prudenti la prevedono per Natale: non questo ma quello del 2021.

Commettere gli stessi identici errori significherebbe non aver capito nulla di quello che sta accadendo. Appellarsi al buon senso non è l’unico modo per affrontare i problemi. Introdurre uno schema comunicativo efficace e che non spari nel mucchio dei giovani, per poi puntare il dito contro di loro, per il professor Esposito ed il professor Meglio è una vera e propria necessità.