Il nuovo rischio Vdc e la fila che non vogliamo per venderla

C'è un nuovo rischio di fallimento per l'ulteriore tentativo di vendere la ex Videocon di Anagni. L'errore sta nel tentare di vendere mura ed area. Non c'è richiesta di spazi. C'è richiesta però di spazi autorizzati. È una bella differenza

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Il presidente del consorzio industriale Asi di Frosinone Francesco De Angelis si prepara a ricevere un’altra porta in faccia. In questi giorni ha pubblicato il nuovo bando per la reindustrializzazione dello stabilimento ex Videocolor – Videocon – Vdc di Anagni.

I tecnici hanno rimodulato la proposta, tenendo conto del fallimento totale registrato con i primi tentativi di vendita.

Il rischio di un nuovo buco nell’acqua è enorme: così com’è, a nessuno interessa quell’area immensa, vasta come 22 campi di calcio. la metà dei quali è coperta facendone la seconda area produttiva per dimensioni in tutta la provincia di Frosinone e tra le prime nel Lazio. Solo per accendere il riscaldamento bisogna mettere mano ad un patrimonio.

Il problema sta sia nel bando e sia nell’immobile.

I motivi per cui lo stabilimento non interessa li abbiamo già indicati nei mesi scorsi (leggi qui Perché nessuno vuole comprare Videocon). In sintesi: troppo grande, troppo obsoleto, da bonificare, cannibalizzato dai ladri di rame. In questo momento, al mondo non ci sono settori produttivi che abbiano bisogno di spazi simili.

Le condizioni per una nuova porta in faccia a Francesco De Angelis ed al suo sogno di reindustrializzare l’area ci sono tutte.

 

I recenti investimenti di capitali italiani e stranieri in provincia di Frosinone (Saxa Gres, Siderpali, ex Ideal Standard) e l’altrettanto recente ‘no grazie‘ opposto da un’altra azienda nostrana ad un piano che le avrebbe garantito forti risparmi, tracciano però una rotta percorribile.

Una rotta che porterebbe in poco tempo ad avere la fila davanti agli uffici dell’Asi, con offerte al rialzo pur di avere l’ex Vdc. E sulla quale potrebbero incanalarsi decine di altri investitori, di fronte a offerte simili.

 

Cosa non va nel bando. Banalmente: offre uno stabilimento, uno spazio industriale, con una serie di servizi annessi. È fuffa. Ce ne sono a centinaia disponibili in tutta l’Europa. Tutti messi meglio dell’ex Videocolor, pronti per entrarci e riprendere subito la produzione senza dover fare alcuna ristrutturazione.

In questo momento nel mondo, ed in Italia in particolare, l’unica cosa che non manca sono gli spazi industriali.

C’è una cosa che manca. E della quale c’è disperato bisogno. E per la quale gli investitori sono pronti a correre. È ciò per cui gli investitori inglesi delle due operazioni Saxa si stanno lamentando, ciò per cui altri investimenti sono congelati, ciò per cui l’altra azineda locale ha detto ‘no grazie’.

 

Nei nostri stabilimenti mancano le autorizzazioni. Il vero valore aggiunto di un immobile industriale oggi è l’autorizzazione a farci qualcosa. Anzi: la certezza di poterci fare qualcosa alle condizioni che la legge ha scritto su quel foglio.

La follia burocratica che sta bloccando milioni di euro d’investimenti sulla Ciociaria è tutta lì. Se qualcuno domani volesse rilevare Videocon ed iniziare a produrci – tanto per fare un esempio – componenti per i futuri motori elettrici delle automobili, non si sa: quali autorizzazioni deve chiedere, quali prescrizioni ambientali deve rispettare, quali variazioni deve apportare affinché venga considerato in regola dall’Arpa, dai carabinieri del Noe, dall’ispettorato del Lavoro, dalla Asl, da decine di altri enti, finanche dai vigili urbani del Comune in cui insiste l’impianto.

Nessuno è in grado di rispondere. Oggi agli imprenditori viene risposto: inizia e poi a mano a mano ti diamo le indicazioni. Con il risultato che Saxa aspetta ancora le autorizzazioni definitive per Anagni, ex Ideal ha subordinato il suo impegno al rilascio delle autorizzazioni in tempi normali, Sama ha dovuto aspettare due anni per avere un timbro e nel frattempo ha subito ogni genere di ritardo burocratico, altre aziende hanno rifiutato progetti di miglioramento energetico perché avrebbero dovuto modificare le autorizzazioni ottenute dopo anni di attesa.

 

Videocon è appetibile. E decine di altri impianti dismessi sono appetibili. Soprattutto per la professionalità delle maestranze che ci hanno lavorato e sanno lavorare.

Nessuno investirà un centesimo fino a quando non ci sarà una norma chiara che dica cosa occorre per fare produzione in questo angolo di mondo, chi la deve rilasciare ed entro quanto tempo. Una norma che consenta di dire a chiunque venga a bussare: ‘Ecco la carta, sono in regola’.

 

Un impianto dotato delle autorizzazioni in cui si dica: qui è possibile farci questo, a condizione che realizzi questa serie di cose e rispetti questa serie di parametri. Questo rende prezioso uno stabilimento.

E non ‘eccoti le mura’ e poi arrangiati.

 

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