Ventisei anni ed un’ultima poesia prima di morire

Senza ricevuta di ritorno. La raccomandata del direttore su un fatto del giorno. Ci sono ragazzi che a ventisei anni hanno i genitori 'spazzaneve'. E loro coetanei che scrivono una poesia prima di morire

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Clicca qui per ascoltare

Ventisei anni. In tanti a quell’età non hanno mai visto un lavoro: per loro fortuna. Perché i genitori spazzaneve rimuovono ogni ostacolo sulla strada dei loro bambini. E quando arriva il momento di fare da soli scoprono di non saper fare niente perché fino a quel momento c’è chi ha fatto tutto per loro.

Ventisei anni ed essere figlio di uno che la posizione se l’è fatta: rischiando, mettendosi il coltello tra i denti, prendendo la vita di petto senza mai tirarsi indietro. Ma i figli non sempre hanno voglia di seguire la strada dei genitori. E – per fortuna – non tutti hanno voglia di avere degli spazzaneve.

Studiare è una scelta. Difficile. Non scontata. Soprattutto se tuo padre s’è fatto già una posizione. E che posizione: è uno dei mujahiddin più fidati del comandante Massoud, il mitico leone del Panshir uno di quelli che ha combattuto i sovietici e poi dopo averli messi in fuga verso Mosca si è opposto da subito ai talebani.

(Foto: © Jason Brisebois)

Ma il figlio di quel mujahiddin sognava un’altra guerra: quella per liberare dall’ignoranza il suo Paese. Il padre combatte, i talebani cadono, il figlio può andare a Kabul a frequentare il liceo. 

Poi va in Turchia: studia la lingua e si iscrive all’università. Ma la deve mollare. Non perché abbia avuto un periodo di crisi (quelle se li possono permettere a queste latitudini). Più drammaticamente: gli occidentali sono andati via da Kabul dalla sera alla mattina, i talebani sono tornati e chiunque venisse dal Panshir è un nemico da ammazzare.

Così la famiglia scappa da lui in Turchia e lui deve lavorare per mantenerli. Lavora. E mette da parte i soldi. Per venire qui in Italia. E sperare in un mondo diverso con il quale costruire la pace nel suo mondo. 

Si imbarca a Smirne su un vecchio caicco pieno di donne e bambini. Quattro giorni di mare. E l’ultimo, la percezione che qualcosa andrà male. Scrive una delle sue poesie Kenan Shukur, ventisei anni, in fuga da Kaboul ed in fuga dalla Turchia.

Kenan Shukur

Scrive “La terra della mia anima è così dura: c’è un sasso pesante sul mio petto. Da questo barcone ho capito che chi vede la realtà deve essere realista. Che sei il luogo in cui arrivi e quella è la tua ultima destinazione“.  

Questa è la gente che abbiamo lasciato affogare a Steccato. Trattandoli, da morti, come dei fannulloni in gita.

Senza Ricevuta di Ritorno.