Veroli vs Anagni, la guerra culturale che passa per gli opposti politici

Due città per una sfida di prestigio che ha tirato in ballo i totem ideologici delle rispettive amministrazioni. Con qualche polemica in coda. E con l'effetto collaterale e benefico di mettere la Ciociaria al centro del selettivo panorama culturale del dopo Covid.

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Due campanili che distano meno di 30 chilometri. E che, fedeli al loro ruolo nella vulgata, si guardano benevolmente in cagnesco. Perché sotto ciascuno di essi c’è una città che aspira a confermare il suo ruolo di salotto estivo della Ciociaria.

La chiave di volta, il denominatore comune è la cultura ma i grimaldelli per forzare il suo scrigno sono diversi. Perché cultura e politica non viaggiano quasi mai separate. E perché Veroli ed Anagni hanno scelto direzioni diverse per mettere in mostra l’argenteria buona.

La prima con una netta predilezione per argomenti, personaggi ed atmosfere prog, di sinistra si diceva una volta. La seconda prediligendo tematiche che occhieggiano al sovranismo e che nella cultura mainstream parlano alla pancia dei cittadini conservatori, di destra si diceva una volta.

Due città, uno scopo, due ricette

Claudio Martelli e Mauro Buschini a Veroli

Per entrambe però la posta in palio è sfumata, ibrida e composita, ha la politica come movente e la leadership ampia come motivo. Perché se negli eventi estivi del tourbillon dopo Covid si sentono mano e battage delle rispettive amministrazioni e la rotta che imprimono all’azione di governo, ad essere in ballo è uno scettro più empirico.

Lo scettro in palio è quello che vede due splendide realtà urbane, due tesori ciociari spingere per diventare epicentro assoluto di cultura, in barba al tradizionale minimalismo da solleone del periodo. Che poi ognuno lo faccia a modo suo e con i suoi endorsement ideologici alla fine poco cale. Il risultato è splendido proprio perché questa lotta presuppone lo sfoggio del meglio di entrambe le città. Un meglio che come sempre sta tutto nello sfondo alle parole. E in quello che le parole mettono in moto: la riflessione e il confronto a volte aspro.

La linea l’ha dettata Covid. Con le restrizioni imposte dalla presenza del virus le amministrazioni che già avevano una radicata vocazione culturale hanno dovuto fare di necessità virtù. E spingere quindi ancor di più su ambiti di intrattenimento più alti. Perché semplicemente un convegno offre possibilità molto più concrete di distanziamento. Più di quanto non faccia una kermesse festaiola in senso puro o una serata di balli di gruppo.

Veroli e la filosofia. Di sinistra

EMMA BONINO INTERVISTATA DA LAURA COLLINOLI

Veroli ha dunque sostanziato il suo capolavoro nel Festival della Filosofia recentemente conclusosi con gran successo, di pubblico e critica.

Una kermesse che ovviamente ed in maniera del tutto legittima non poteva non risentire di un dato. Cioè del grip ideologico della squadra di governo che fa capo al sindaco Simone Cretaro ed alla delegata alla Cultura Francesca Cerquozzi. In terra ernica sono perciò sbarcati personaggi del calibro di Umberto Galimberti, Claudio Martelli ed Emma Bonino.

Pezzi da 90 che però, se da un lato hanno egregiamente accontentato la sete di sapere del pubblico, dall’altro hanno lasciato strascichi. Dando appiglio malmostoso e fisiologico a chi non è esattamente in linea con le loro idee su temi come immigrazione, politica economica e linguaggio del consenso. Come le opposizioni consiliari, insorte in più di un’occasione. La stessa Emma Bonino, un’icona del radicalismo pioniere degli anni ‘70, è incappata negli strali del clero verolano, che tramite i social l’ha indicata come “pessimo esempio di donna”.

A fare la tara alle ovvie divisioni sui concetti il festival ha fatto il botto e ha messo Veroli sul podio delle comunità che osano e che osando fanno centro.

Anagni e la cultura. Di destra

Uno scorcio del pubblico al festival anagnino Culturaidentità

Veniamo ad Anagni: stesse aspirazioni, stesso approccio ma strumenti diversi.

La Città dei Papi ha le stesse benevole paturnie della sua vicina ernica. In più ha numeri certi per aspirare ad essere capitale ciociara 2020 della Cultura. Però per raggiungere o confermare l’obiettivo ha scelto una via uguale in funzione ma diametralmente opposta in contenuto. Ad Anagni comanda il centrodestra scattista a trazione nevrile e malpancista di Daniele Natalia. E l’antefatto concettuale si è sentito tutto.

Alla terza edizione del Festival Culturaidentità le guest star sono state star di reggimento ideologico. Con la crema della cultura sovranista del momento sostanziatasi nelle strologazioni di Alessandro Meluzzi e nell’ascestismo scarno di Diego Fusaro.

I due hanno tirato fuori tutto il repertorio, lo starter pack del sovranismo destrorso ed hanno assestato colpi di mannaia agli stessi temi che nella vicina Veroli avevano goduto di appeasement.

Anche in questo caso non sono mancate polemiche, se possibile ancor più feroci. Feroci perché innescate dalla consueta franchezza del linguaggio ‘di destra’ che mette in tacca di mira gay, papato bergogliano e tema migranti. E che risente da sempre di antichi totem come questione morale ed appalto del sapere ‘alto’ alla sinistra.

Una sfida che ha dato molti spunti

Il palcoscenico di Culturaidentità

Una sfida di bellezza che si è dunque trasformata in un’arena politica. Arena su cui ciascuna amministrazione ha avuto cura di preservare il suo battage ideologico e blandire elettorato e numi tutelari di collegio.

Una tenzone indiretta che, come tutte le cose che sfuggono di mano a chi le governa, ha avuto un merito indiscutibile ed unificante. Mettere cioè in gioco la Ciociaria come ring dialettico e scatenare non solo un’orgia di pensiero, ma anche una salutare sferzata di bellezza.

Uno spottone pubblicitario su due città che, in tema di bellezza, sono capaci perfino di sopravvivere alle loro partgianerie.