Vertenza La Provincia, convocata l’assemblea della Calliope

Il destino del quotidiano La Provincia si conoscerà nelle prossime ventiquattrore. Si riunisce domani l’assemblea dei soci della Calliope, la società cooperativa che fino a due giorni fa ha portato in edicola il giornale fondato da Umberto Celani e che per un certo periodo è stato il più venduto in provincia di Frosinone.

I giornalisti ed i poligrafici sono pronti a riprendere le pubblicazioni. Ma solo di fronte a precise garanzie bancarie e industriali: lo stop è stato deciso dopo due anni di stipendi a singhiozzo, pagati con anticipi, soprattutto accompagnati da promesse economiche e di rilancio poi mai mantenute.

Alcuni degli elementi più esperti hanno ricevuto una proposta: riportare in edicola la testata attraverso una nuova società editrice, con una struttura composta da cinque, al massimo sei, giornalisti ed un grafico; foliazione ridotta, ampio ricorso ai service. La proposta è stata respinta da tutti senza nemmeno venire presa in considerazione: perché tecnicamente inapplicabile. L’unico grafico in organico dovrebbe disegnare il giornale sette giorni su sette, mattina e pomeriggio; se ai ammalasse, il giornale non potrebbe uscire perché non ci sarebbe chi lo disegna. Un corpo redazionale composto dai cinque o sei giornalisti non sarebbe in grado di assicurare né un adeguato numero di articoli con i quali riempire le le pagine, soprattutto non potrebbe garantire in alcun modo la qualità dei contenuti.

Il confronto partirà da lì. Soprattutto però vengono chieste garanzie di tipo economico: i bilanci del giornale – obiettano i dipendenti – hanno cifre che tra copie vendute e incassi pubblicitari ne garantirebbero la sopravvivenza.

Intanto molte delle firme storiche danno l’addio alle pagine sulle quali hanno scritto fino dall’inizio. «Niente dura per sempre. Eccomi qui. Ci ho provato fino alla fine ma è finita la mia avventura al quotidiano La Provincia. Ero qui dal 1999. Una vita. Qui – racconta Laura Collinoli – avevo trovato l’amore e ho trovato l’amicizia vera, oltre che la possibilità di svolgere un lavoro che ho amato ed amo moltissimo. È finita. Non ci sono più le possibilità. Forse il giornale ripartirà ma a queste condizioni, quelle che mi sono state prospettate, per quanto mi riguarda non si poteva più andare avanti. Esiste una dignità, personale e professionale, che non può essere calpestata».

Sulla stessa lunghezza d’onda un’altra delle croniste dalla prima ora: «Perché la dignità prende il sopravvento – scrive Angela Nicoletti – anche se da mesi non vede uno stipendio che possa chiamarsi stipendio, quando è costretto ad elemosinare il doveroso pagamento dei contributi pensionistici, quando – pur di non vedere andare in fumo anni di immani sacrifici – è costretto chiudere gli occhi davanti alla palese malvagità di chi crede di esser sempre vincente. Perché anche i giornalisti vengono vessati, sfruttati, maltrattati, strumentalizzati.
Io ed i miei colleghi de “La Provincia Quotidiano” oramai da diversi anni portiamo sulle spalle quel fardello chiamato precarietà. E quanto sta accadendo in questi giorni all’interno del nostro glorioso quotidiano, fondato da Umberto Celani, non è altro che il riassunto di quello che sono costretti a patire altre centinaia di migliaia di colleghi in tutto il mondo. Per poter uscire da questa spirale dovremmo avere noi stessi un discreto budget e dovremmo tenere lontani dalle nostre pagine i poteri forti, quelli che costruiscono intere carriere sulla carta stampata e che poi, nel momento di difficoltà, spariscono nella frazione di un secondo o decidono di salire sul carro vincente dell’editore. Come se a scrivere gli articoli, ad arrivare sul luogo delle tragedie, a commentare questo o quel fatto, fosse l’editore che non è, e mai sarà, ‘soltanto un giornalista’».

L’amarezza è tutta nelle parole di Tiziana Cardarelli, anche lei nel nucleo di giornalisti che fondò La Provincia e vedova dello storico direttore Umberto Celani: «”Povero giornale mio!” ripeteva continuamente gli ultimi giorni della sua vita mentre allungava il braccio per permettere agli infermieri di trasfondere l’ennesima sacca di sangue. Aveva ragione. Solo Umberto, con il suo carisma e il suo pugno duro, poteva tenere in piedi questa baracca. Il giornale è morto con lui».

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