Viva ‘i sposi’ (Il caffè di Monia)

Un caffè amaro. Come l'invito al matrimonio del cugino che non vedi da vent'anni. La location chic ma scomodissima. Da raggiungere sotto al sole di luglio. Gli abiti di cattivo gusto per farsi notare. E poi il buffet, dannatissimo buffet...

Monia Lauroni

Scrivere per descrivere

Ci sono momenti nella vita in cui sei felice, non sai perchè ma ti accorgi che tutto sta filando liscio, tutto sembra scorrere per il verso giusto. E’ che fuori c’è il sole, forse troppo sole, e non vedi l’ora che arrivi Agosto per fare una puntata al mare o per startene tutti i giorni stravaccata sul divano, birra fredda e ventilatore a palla. Sei felice, tutto qua.

Esci fischiettando, rientri fischiettando, apri la buca delle lettere fischiettando e ad un tratto però non fischi più.

È lì, inquietante che fa capoccella tra l’ammasso dei volantini di pubblicità dei frigoriferi e delle offerte per le vacanze. Lo percepisci dalla grammatura della carta, dal filo di raffia che la chiude, dal colore che non è mai bianco candido ma ha le sfumature della sciagura. Provi a restare indifferente, prendi tutto il malloppo e sali la rampa di scale che ti separa dalla cucina. Speri, lo metti controluce, preghi che dentro ci sia una multa da 2.000 euro per quella volta che hai rubato il posto ai disabili. Invece no, c’è poco da sperare, è proprio lui: l’invito al matrimonio.

Chi è che si sposa? Quando? E soprattutto perchè? Prendi coraggio e mostri l’invito ancora chiuso al tuo compagno con l’aria di chi porge la cartella clinica che preannuncia la morte certa. Il commento è uno e perentorio: “Sicuramente è roba tua, giusto i parenti tuoi possono sposarsi ad agosto!”.

Quel che è peggio è che è proprio così. Sono Stefano e Mariachiara. Chi? Chi è Stefano? Rulli con la mente in cerca di vecchi ricordi di vecchi cugini e da un angolino spunta fuori il volto pallido e paffutone di quel tuo cugino lì, sì quello che sono 30 anni che non senti e che nemmeno vive più in paese.

Partono le telefonate agli altri componenti della famiglia e scopri che tutti, ma proprio tutti accettano l’invito. Panico, rabbia, sei incastrata. Dentro l’invito trovi anche un minuscolo bigliettino con le indicazioni sulla location del rinfresco e successivo pranzo ed un mega foglio con i cinque posti dove poter comprare il regalo di nozze; negozi che riescono a maggiorarti del trecento per cento il costo di un oggetto brutto e inutile che non vorresti ricevere nemmeno alla tombola della parrocchia. Ma è una cortesia che ti fanno per evitare che tu debba avere il pensiero di cosa regalare agli sposi. Una cortesia, per la quale non vedi l’ora di ringraziare l’inaspettato cugino.

Il ristorante è uno di quelli extrachic e fuori mano. Uno di quelli che per raggiungerlo devi metterti alla guida, a passo d’uomo lungo autostrade intasate dai tir, sudando così tanto che un branco di anguille troverà rifugio sotto le tue ascelle, mentre l’eco delle tue bestemmie riecheggerà nel parcheggio dell’autogrill in cui, confusa dentro un battaglione di turisti dell’est martoriati da eczemi solari, troverai sicuramente il cartello “fuori servizio” sulla porta del cesso.

Un tempo ce la si cavava con poco: la messa, il “si”, il riso, la macchina coi campanacci, una bella mangiata e poi tanti saluti fino al battesimo. Adesso no. L’incubo inizia mesi prima. Si comincia con il passare in rassegna i vestiti a disposizione per l’evento pur avendo, di fatto, già deciso in pochi secondi gli outfit di ogni membro della famiglia. Come capita di solito, tu non hai niente di adatto e ti siedi al PC per una settimana googlando ininterrottamente “Abiti da invitata ad un matrimonio: essere impeccabili con meno di 100 o 200 €”.

Arriva il grande giorno. Chiesa gremita di gente. Fanno sfoggio i primi abiti femminili il cui cattivo gusto è direttamente proporzionale al grado di parentela: più sei legato agli sposi, maggiormente devi farti notare, con il risultato a metà tra Maria Antonietta d’Austria e Lady Gaga.

La chiesa si riempie sempre più. Bella la chiesetta di campagna che hanno scelto. Molto intima, troppo intima con una decina di improbabili ventilatori più in difficoltà del ciuffo sudato dei tuoi capelli. Vorresti imprecare ma il luogo non è dei più adatti

. La funzione finisce. Lacrimoni, sudore, riso a sassate e “Viva i sposi”. I sposi? E no, viva “ i sposi” è troppo! Ora capisci perchè Stefano, tuo cugino che è stato lieto di invitarti al suo matrimonio il 9 di agosto, si è sposato in quella data lì, perchè alle cose non ci arriva.

Finalmente si mangia. Gli sposi si assentano giusto quelle due orette per fare un servizio fotografico che non guarderanno mai. Sono le 15.00 ed il sole picchia più di un’esplosione nucleare Ci avviamo tutti in marcia tra clacson devastanti alla sala ricevimenti. Finalmente, sul sedile della tua auto, ritrovi il tuo compagno che fino a quel momento non avevi più visto, ma non hai il coraggio di chiedere spiegazioni e taci.

Dopo un’ora di viaggio arrivi al ristorante. Esci dalla macchina esposta al sole d’agosto, ti ustioni all’apertura della portiera, lasci la macchina aperta tanto chi vuoi che entri con i cinquanta gradi dell’abitacolo, e corri verso la sala. Ti divincoli tra vecchiette con il ventaglio ed abiti sfarzosi e ti avvicini al tavolo. E’ qui che tu “donna di panza” darai il meglio.

I camerieri, in assetto da guerra, cominciano a disporre i piatti. Sono guardinghi, silenziosi. Osservano tutto: stanno cercando di capire chi sarà lo sfacciato che comincerà per primo. Tu sei li che stai parlando con un amica dello sposa ma non ti curi della discussione. Stai osservando i tuoi competitors, la loro disposizione sul campo di battaglia. Con finto perbenismo rimproveri un bimbetto che aveva messo il dito nell’insalata russa e intanto fai un decisivo passo verso la tavola imbandita continuando la finta discussione con l’ignara interlocutrice.

Manca poco. I camerieri sono schierati, parlottano tra di loro. Lo senti, è il momento. Ascolti quel brusio tipico che annuncia l’inizio del buffet. Ti avvicini di più all’angolo del tavolo in cerca dell’agognato cibo. Non c’è nemmeno uno spiraglio in cui infilare una mano. La sfortuna ti si accanisce contro: hai davanti a te un vecchietto che si è inchiodato lì. Riempie il piatto e lo passa alla moglie; ne fa un secondo e lo passa al figlio. Poi un terzo per la nuora.

Decidi di puntare sulla simpatia. Fai battute simpatiche al cameriere biondo. Lui non recepisce il messaggio. Guardi sconsolata i piatti che si vuotano e vorresti prendere a gomitate tutti. Intravedi da lontano una tartina, allunghi il braccio e in quel momento tutta la famiglia che credevi scomparsa ti chiama e ti fulmina con lo sguardo. La voce di tua figlia: “Non vorrai mica ingozzarti come tuo solito, ricordati che sei a dieta”. Desisti, sconfitta.

Ti scorre tutta la vita davanti: l’invito avvolto con la raffia, il regalo brutto e costoso, la prova del vestito col bustino stretto, il caldo della chiesa. Te ne stai buona e lasci che il cetriolo, quello del contadino, faccia il proprio dovere fino in fondo, tanto sai che qualsiasi movimento, qualsiasi sfida alla norma sociale e familiare causerebbe solo problemi ulteriori.

Tra qualche ora finirà. Te ne tornerai a casa, a dieta, stanca e sudata. Bella, davvero una bella giornata. Evviva “i sposi”.