Willy e l’ergastolo: il difficile comincia ora

Le condanne all'eragstolo per l'omicidio di Willy non sono la chiusura di un cerchio. Non si può pensare che tutto sia finito. Al contrario. Il difficile comincia adesso.

Paolo Carnevale

La stampa serve chi è governato, non chi governa

Ergastolo per Marco e Gabriele Bianchi, 23 anni di reclusione per Francesco Belleggia e 21 per Mario Pincarelli. Così ha deciso la Corte d’Assise di Frosinone dove è stata pronunciata la condanna per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte, il ragazzo di Paliano massacrato di botte a Colleferro per essersi intromesso mentre un suo amico veniva pestato. Urla tra gli imputati nel gabbiotto dell’aula una volta portati via dagli agenti della Polizia Penitenziaria. Applausi e lacrime, al contrario, tra i familiari e gli amici della vittima.

Il difficile comincia adesso

La sentenza

Il difficile comincia adesso. Comincia adesso che, dopo la sentenza sul caso Willy, tutti ripetono “giustizia è stata fatta”. Non perché non sia vero. Ma perché è adesso che c’è il rischio, tremendo, che tutti pensino che è finita. E che si può tornare alla vita di prima. Come se l’ergastolo ai fratelli Bianchi fosse una specie di sacrificio rituale. Un modo per dire che tutto quello che c’è intorno andava bene prima, e può tornare ad andare bene adesso.

E invece no. Non andava bene prima, e non va bene adesso. La morte di Willy non è solo il risultato di una follia isolata. È anche (in parte, almeno), il segno di un mondo malato. Che abbiamo davanti a noi, e che ci ostiniamo a non vedere. Non lo vedono gli occhi del giornalista, quelli dell’insegnante, quelli del genitore…

Valeva al tempo di Emanuele Morganti, il ragazzo di Alatri assassinato in un tragico pestaggio che nulla ha insegnato. Vale adesso per Willy.

Quel mondo che rifiutiamo di guardare

Willy ed i suoi assassini

 Dobbiamo avere il coraggio di guardarli, i nostri ragazzi. Vedere cosa fanno quando non ci siamo; provare a capire cosa pensano quando non sono con noi. Avere il coraggio di dire che il mondo intorno a loro non è il nostro. È molto diverso dal nostro. E se non ci piace significa che da qualche parte abbiamo sbagliato.

Che ciò che è accaduto a Colleferro la notte del 6 settembre 2020 descrive tragicamente un malessere che abbiamo intorno. E che dobbiamo affrontare.

Se ci chiudiamo nel conforto di una sentenza che condanna qualcuno illudendoci che tutti gli altri siano a posto, Willy ed Emanuele saranno morti invano.

Lo scenario da ridisegnare

Il difficile comincia adesso. Che tanti sentono la necessità di dire la loro su quello che è accaduto oggi. Per poi, come sempre (o quasi) tacere un minuto dopo. Vale per i politici, vale per gli educatori, vale per la gente che per anni ha taciuto. Vale per un territorio nel cui humus è potuta germogliare una violenza così bieca e gratuita che si è sintetizzata nei fratelli Bianchi.

Non è una violenza che esplode da un momento all’altro. È una violenza che matura poco alla volta, si nutre di impunità, trova giustificazione nel silenzio. È questo lo scenario da ridisegnare.

L’errore più grande in questo momento sarebbe quello di trasformare la sentenza sul caso Willy in un palcoscenico. Nell’altare in cui celebrare il rito sacrificale. Come se tutto finisse con la vendetta travestita da Giustizia. Lo scenario va trasformato in un’occasione di rinascita. Che faccia sì che casi come questo non si ripetano.

Non basta sottolineare il disagio che ci circonda, non basta puntare il dito su quell’humus. Ma bisogna governare il cambiamento. Sarà il modo migliore di onorare il sorriso di quel ragazzo. 

Gli insulti gratuiti

La Roma ed il Frosinone con le magli in onore di Willy

Il difficile comincia adesso. Comincia adesso che tanti, sui social e non solo, vomitano insulti e minacce. Adesso che tanti cianciano di chiavi buttate, di pane ed acqua e di torture. Questa non è giustizia. Sarebbe vendetta. Che può solo alimentare altra violenza.

Esistono ancora tanti fratelli come i Bianchi in giro: con nomi e volti diversi. Ma una società che voglia continuare a dirsi civile deve intervenire prima che si trasformino in assassini convinti di non avere compiuto nulla di male. Bisogna fargli capire – finché c’è tempo – che stanno sbagliando Che c’è un altro modo di pensare, di vivere. 

Non si deve dimenticare che Willy è morto perché voleva portare pace. Dovremmo ricordarcelo anche noi.