La Piazza Grande di Zingaretti che “inghiotte” alleati e avversari. L’anti Salvini è soltanto lui

C’è un dato che non è sfuggito agli osservatori più attenti: ieri mattina l’intera coalizione di centrosinistra era compatta in aula a respingere la mozione di sfiducia. Il lavoro oscuro di Massimiliano Smeriglio, la diplomazia di Daniele Leodori, lo stile di Mauro Buschini. Lo zoccolo duro di un modello di governo che ricorda quello di Romano Prodi

E adesso chi lo ferma? Quanti se lo saranno chiesti ieri, dopo l’annuncio che la mozione di sfiducia nei suoi confronti era miseramente crollata alla Regione Lazio? (leggi qui Zingaretti vola, l’opposizione si schianta: la Mozione di sfiducia finisce in farsa)

Quanti se lo saranno chiesti nel Partito Democratico soprattutto? Perché è evidente che un Nicola Zingaretti sfiduciato avrebbe perso molta  “carica” nella corsa alle primarie nazionali del Partito.

 

Invece ha vinto, ancora una volta. Matteo Renzi preferirebbe Marco Minitti, Matteo Orfini guarda a Maurizio Martina. Ma c’è un dato che non è sfuggito ai maggiorenti dei Democrat. L’intero centrosinistra della Regione Lazio ieri mattina era in aula: 25 consiglieri. Poi si è arrivati a 26 grazie al voto di Laura Cartaginese (Forza Italia), ma tutta la coalizione era lì. Senza sbavature, con l’esplicito stile zingarettiano, “incarnato” dal capogruppo regionale del Pd Mauro Buschini.

In questi giorni, lontani dai riflettori ma con uno spirito diplomatico degno di ambasciatori di frontiera, il vicepresidente della Regione Lazio Massimiliano Smeriglio e il presidente del consiglio dell’ente Daniele Leodori, hanno sondato il terreno, parlato con tutti i protagonisti delle opposizioni, mediato.

 

Alla fine la “ragnatela del dialogo” ha prodotto i suoi frutti. Nel solco della Piazza Grande di Zingaretti. Quella di un centrosinistra largo e plurale che Smeriglio incarna, quella di un’apertura ai civici e ai moderati ai quali Leodori  parla.

Si parta dalla sinistra del Pd per allargarsi verso il centro e per guardare a pezzi importanti dell’elettorato di centrodestra. D’altronde basta una considerazione semplice: Zingaretti non sarebbe mai stato riconfermato presidente della Regione se una parte del centrodestra non avesse votato per lui. L’anatra zoppa si è determinata per questo.

Poi c’è un altro parallelismo da fare, con Romano Prodi, l’unico capace di battere due volte un certo Silvio Berlusconi. Zingaretti alle elezioni regionali non ha fatto toccare palla al Movimento Cinque Stelle, nello stesso giorno in cui le truppe di Beppe Grillo, Davide Casaleggio e Luigi Di Maio sfioravano il 33% sul piano nazionale. E in prospettiva l’anti Salvini è soltanto lui.

 

Una larga parte dell’elettorato a Cinque Stelle viene dal Pd. Ed individua un’area di interlocuzione tra le due forze. Il sondaggio pubblicato questa mattina dal Quotidiano Nazionale lo individua in modo netto: il governatore del Lazio continua ad avere un solido vantaggio su tutti gli avversari (Zingaretti 39%, Minniti 32%, Martina 29%), nessuno si avvicina al 50% necessario per diventare Segretario alle Primarie senza passare per l’Assemblea Nazionale; oltre la metà degli elettori intervistati (55%) individua nel M5S il Partito con cui dialogare, un quarto preferisce che non si dialoghi, solo una piccola percentuale vede bene un dialogo con Forza Italia (7%).

Nicola Zingaretti viene individuato come il più ‘aggregante’. Ed il più adatto per costruire un dialogo.

Capito perché Grillo, Di Maio e Salvini volevano che fosse sfiduciato?