Zingaretti contro le minoranze rumorose del Pd 

(Foto: Paolo Cerroni / Imagoeconomica)

Capolavoro politico e linguistico del segretario nazionale del Pd: “14 dei 24 mesi di questa segreteria sono trascorsi sotto la pandemia. E, nonostante questo, il Pd è tornato protagonista e centrale"

Nicola Zingaretti è stanco. Ma lucidissimo. E’ stanco di tutti coloro che all’interno del Pd fanno finta di non capire la drammaticità del momento ma anche i successi di una Segreteria che ha rilanciato il Partito. Non soltanto riportandolo al Governo ma facendolo tornare centrale.

È stanco di dover leggere ogni ora le dichiarazioni, i distinguo e i sofismi dei vari Stefano Bonaccini, Dario Nardella, Andrea Marcucci, Giorno Gori, Matteo Orfini.  E allora ha deciso di sviluppare un’analisi che è un capolavoro di comunicazione politica mista ad un messaggio da ultimo avviso ai naviganti.

L’analisi di Zingaretti

Nicola Zingaretti

Ha detto il segretario nazionale del Pd Nicola Zingaretti qualche ora fa: “14 dei 24 mesi di questa segreteria sono trascorsi sotto la pandemia. E, nonostante questo, il Pd è tornato protagonista e centrale, malgrado anche un’esigua forza parlamentare che ha pesato sulla formazione del nuovo Governo”. Messaggio politico durissimo.

Vero: 14 dei 24 mesi c’è stata la pandemia. Questo vuol dire tante cose. Intanto che è Segretario da appena due anni, avendo vinto il Congresso del 2019. Poi che la pandemia, che ha imposto un senso di responsabilità fuori dall’ordinario, dovrebbe indurre tutti a capire quello che è evidente: se in questo Paese vengono rinviate le elezioni a qualunque livello, come si fa soltanto a pensare di poter svolgere un Congresso tra primarie e voto degli iscritti? Come si fa quando la curva dei contagi sta per arrivare a 100.000 morti per Covid.

Ma cosa volete?

Ma il capolavoro politico e linguistico di Zingaretti è questo: “E, nonostante questo, il Pd è tornato protagonista e centrale, malgrado anche un’esigua forza parlamentare che ha pesato sulla formazione del nuovo Governo”.

Cioè, Nicola Zingaretti dice agli avversari interni: ma cosa volete? Ho riportato il Pd centrale nonostante una forza parlamentare esigua. Ma quella forza parlamentare è stata il risultato della sconfitta storica del 4 marzo 2018, quando per la prima volta il maggior Partito della sinistra italiana è arrivata a percentuali marginali e irrilevanti.

IGNAZIO MARINO Foto: Imagoeconomica, Stefano Carofei

Ma quello era il Pd di Matteo Renzi, le liste erano state fatte e imposte da Matteo Renzi. Chiedere a Francesco Scalia o a Nazzareno Pilozzi. Della governance di Matteo Renzi ha fatto parte anche Matteo Orfini, presidente del Partito in quegli anni. Protagonista delle dimissioni di massa che hanno fatto cadere a Roma un galantuomo come Ignazio Marino, consegnando la Capitale ai Cinque Stelle di Virginia Raggi.

Di quella classe dirigente facevano parte naturalmente anche i renziani che poi hanno deciso di restare nel Pd. Quelli che oggi sognano il congresso un giorno sì e l’altro pure, festivi compresi.

Tutto il Pd è in discussione

Zingaretti ha dato anche l’indicazione della strada da seguire per i prossimi anni. Affermando: “C’è una battaglia da fare sulla forma del partito, sulla selezione dei gruppi e dei dirigenti e sul nostro modo di stare bene. E’ la sfida quotidiana che abbiamo davanti: identità unitaria e agire politico condiviso”.

Già, vuol dire che nel Pd tutto è in discussione. Finora Zingaretti non aveva fatto pesare i numeri schiaccianti in Direzione Nazionale. Adesso però ha cambiato idea. E chissà, il Congresso potrebbe chiederlo lui. Per aprire la stagione della tolleranza ridotta verso le minoranze rumorose.