Zingaretti, gioco stellare. Ma manca il gol

Foto: © Imagoeconomica, Stefano Carofei

L’analisi del segretario nazionale del Pd è sostanzialmente la stessa di quattro mesi fa. Sul correntismo e sulla necessità di un cambiamento totale esprime concetti giusti e applicabili. Ma non dice nulla su quello che sono i veri nodi da sciogliere: la politica delle alleanze e il ruolo di Matteo Renzi.

Non è quello che ha detto, perché lo ha detto benissimo e credendoci. Fra l’altro Nicola Zingaretti ha perfettamente ragione quando sostiene che il Partito Democratico è l’unica vera alternativa alla Lega e al centrodestra. Il punto, però, è che il discorso di ieri all’Assemblea nazionale del Pd non è tanto differente da quello pronunciato ormai quattro mesi fa dopo la proclamazione a segretario nazionale del Pd.

Zingaretti ha affermato ieri:

Oggi apriamo nuova fase: il primo compito è imporre un’altra agenda, non essere subalterni agli altri, essere proprietari del nostro destino. Abbiamo contro una forte destra illiberale. Ora guardare in faccia a questa destra è il modo migliore per sconfiggerla“.

Ma per guardare in faccia questa destra occorre un centrosinistra forte, autorevole, credibile, ampio, ambientalista, coraggioso su temi come l’immigrazione e la redistribuzione del reddito. Non c’è traccia della coalizione però. C’è davvero soltanto il Pd. E i Socialisti? E i Verdi? E quelle forze della Sinistra radicale che magari si può provare a coinvolgere? Per non parlare delle associazioni che a vario titolo fanno riferimento al centrosinistra. Una politica delle alleanze non è ancora stata neppure abbozzata.

Poi Zingaretti ha continuato:

I Cinque stelle sono diventati un’amara stampella. E tanti elettori se ne stanno accorgendo. Quindi non basta più urlare e denunciare. Sono io il primo a dirlo. Ora serve aprire una seconda fase per definire le nostre proposte e imporre una nuova agenda, aprendo un grande confronto nel Paese, su un grande piano per l’alternativa”. 

Parliamoci chiaro: alle Europee il Pd ha riportato a casa quegli elettori che il 4 marzo 2018 avevano votato per Liberi e Uguali. Ma per andare davvero a recuperare gli elettori che avevano scelto i Cinque Stelle ci vuole di più. Molto di più. Sin dalle Regionali in Umbria e Calabria, in programma in autunno. Se il Pd perde anche queste due regioni sarà complicato provare a risalire.

Nel Lazio Nicola Zingaretti ha vinto andando oltre i confini del suo Partito e del centrosinistra. In Italia non sarà possibile per il Pd. Ecco perché il tema delle alleanze politiche resta centrale.

Quindi il segretario ha aggiunto:

Sul partito dobbiamo cambiare tutto: così non si può andare avanti, basta arcipelago dove si esercita il potere, con un regime correntizio che soffoca tutto. Ci sono realtà territoriali feudalizzate, c’è ancora patrimonio di militanti prezioso. Serve una rivoluzione o non ce la facciamo”.

Stesso identico concetto di marzo. Intanto però bisogna distinguere. Le correnti in sé non sono il male assoluto, il problema è quando esercitano il potere di veto e provano a smontare la linea del Segretario. Quindi andrebbe distinto.

Sui territori le correnti ci sono da sempre, anche in provincia di Frosinone, dove Pensare Democratico di Francesco De Angelis, Mauro Buschini e Sara Battisti porta voti e classe dirigente al partito. Stesso ragionamento per l’area di Francesco Scalia, ora passata ad Antonio Pompeo. Semmai sui territori la classe dirigente locale andrebbe valorizzata, come dimostrano gli esempi di Buschini e Battisti. Ma occorrerebbe lo scatto ulteriore, cioè le candidature eleggibili alla Camera, al Senato, all’Europarlamento.

In sostanza la diagnosi di Zingaretti è perfetta, la cura però va applicata. A cominciare dal vero equivoco del Pd: la posizione di Matteo Renzi. Resta o va via? Zingaretti cosa intende fare su questo versante? Restare in una sostanziale coabitazione o provare a chiarire la situazione mettendo in conto la scissione?

Il nodo vero è questo.