Zingaretti invoca un nuovo Pd subito

Con una lettera a Repubblica il governatore del Lazio Nicola Zingaretti rilancia le sue ambizioni alla guida del Partito Democratico. Ma sollecita un cambiamento radicale e veloce. E punta su crescita ed equità

Nicola Zingaretti traccia la rotta. Indica verso quali mari intende orientare il timone del Partito Democratico se gli affideranno il comando della nave.

Lo spiega con una lettera aperta inviata a Repubblica. Nella quale sollecita un nuovo Pd ed una nuova alleanza. Ed individua i due nemici del riformismo.

«Occorre un pensiero nuovo della politica e della partecipazione. Un nuovo Partito Democratico, per una nuova alleanza. Significa sviluppare inedite forme della partecipazione politica a partire da un innovativo nostro investimento per la presenza nella rete e la ricostruzione di un tessuto associativo che dia autonomia ai cittadini che si impegnano, luoghi certi di incontro, partecipazione e decisione per le persone oggi cosi’ disperse».

 

Concetti che si agganciano a quelli anticipati nei giorni scorsi. Quando aveva messo il Pd di fronte ai suoi limiti, al fatto di essere concentrato solo su un inutile dibattito interno. Del tutto lontano dai problemi e dalle aspettative del mondo reale.  (leggi qui Questo Pd è superato: non è capace di capire nemmeno i Like)

 

Nella lettera a Repubblica il governatore del Lazio Nicola Zingaretti mette al centro due temi: crescita ed equità.

 

Prende di mira ancora una volta il governo pentaleghista.

«Di fronte all’irruenza eversiva di Salvini troppo spesso risultiamo disarmati. È uno dei prezzi della sconfitta e dei ritardi ad affrontarla. Non ci sono scorciatoie. Occorre non distrarsi e tornare a ragionare su quale base dare alla nostra identità, che non potrà che essere di rilancio di una nuova e credibile stagione di cambiamento per l’Italia».

 

Ma cosa intende il Governatore per ‘Riformismo“? È un termine immediato per chi fa politica da tempo. Era il pilastro del socialismo craxiano. Intende la stessa cosa? Oppure quella società così cambiata, che il Pd non vede, intende altro con il termine Riformismo?

Per Nicola Zingaretti il riformismo è «assumere la democrazia come il solo terreno per trasformare la struttura della società e metterla al servizio della liberazione delle persone».

Un concetto che ha due nemici. «Il conservatorismo che ha paura del nuovo perché difende rendite di posizione (anche a sinistra), e la frenesia del ‘nuovismo’ declamatorio e senz’anima, perche’ sfugge alla verifica dei risultati concreti e misurabili circa la coesione sociale e la promozione umana».

 

la lettera indica questi due nemici per un motivo preciso.

«È in questa doppia paralisi che si sono radicati i populismi. E’ in questa assenza di speranza che aumentano le paure e cresce il consenso di chi le cavalca, con risposte velleitarie che non risolvono nulla e aggravano i problemi che denunciano».

«Tutto ciò sta creando enormi rischi di tenuta democratica e sociale. Allora torna il tempo di un nuovo protagonismo. Non si puo’ aspettare. Se vogliamo aprire una fase nuova per questo Paese, dobbiamo fare in fretta. Occorre riordinare le nostre idee e le nostre forze».

 

Il testo integrale della lettera

Caro direttore, di fronte all’irruenza eversiva di Salvini troppo spesso risultiamo disarmati. È uno dei prezzi della sconfitta e dei ritardi ad affrontarla. Non ci sono scorciatoie. Occorre non distrarsi e tornare a ragionare su quale base dare alla nostra identità che non potrà che essere di rilancio di una nuova e credibile stagione di cambiamento per l’Italia.

 

In questi anni nel Lazio abbiamo avviato una stagione di riforme con un solo obiettivo: diventare un territorio più competitivo e più equo. La lista di progetti innovativi realizzati è molto ampia; solo per ricordarne alcuni: nel 2015 abbiamo effettuato una mirata operazione di revisione della spesa e di razionalizzazione che ci ha consentito di tagliare quasi 500 poltrone nelle società regionali; abbiamo, grazie anche al recepimento della legge 328 del 2000 sui servizi sociali che aspettava di essere approvata da 16 anni, dato concretezza al tema dei diritti e dell’universalità del welfare; recentemente abbiamo approvato una legge per il diritto allo studio che contrasta la dispersione universitaria e prevede agevolazioni e sostegni economici per gli studenti.

 

Riforme difficili, non sempre popolari, ma giuste. Riformismo è questo: assumere la democrazia come il solo terreno per trasformare la struttura della società e metterla al servizio della liberazione delle persone. Del resto il principio ispiratore di una efficace azione riformista è scritto magnificamente nella seconda parte dell’art. 3 della costituzione: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

 

Il riformismo è dunque una pratica del conflitto (rimuovere gli ostacoli) che dispiega tale conflitto in un processo lungo di trasformazione. È tensione tra visioni diverse della società; e la qualità del riformismo è determinata dalla grandezza degli obiettivi che si pone e dalla sua capacità di determinare sempre il massimo risultato di cambiamento. Quando questa tensione è debole si annacqua e dal riformismo si passa alla “riformite”. Ossia l’ossessione di cambiare le leggi, che se non ancorate ad una visione strategica rischiano di peggiorare o far rimanere immutate le cose come nella logica gattopardesca del “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”; senza aggredire quindi il cuore del problema: la liberazione e l’emancipazione di un numero sempre maggiore di individui. In questo schema il riformismo ha due nemici.

 

Il conservatorismo che ha paura del nuovo perché difende rendite di posizione (anche a sinistra) e la frenesia del “nuovismo” declamatorio e senz’anima, perché sfugge alla verifica dei risultati concreti e misurabili circa la coesione sociale e la promozione umana. È in questa doppia paralisi che si sono radicati i populismi. È in questa assenza di speranza che aumentano le paure e cresce il consenso di chi le cavalca, con risposte velleitarie che non risolvono nulla e aggravano i problemi che denunciano. Tutto ciò sta creando enormi rischi di tenuta democratica e sociale. Allora torna il tempo di un nuovo protagonismo. Non si può aspettare. Se vogliamo aprire una fase nuova per questo Paese, dobbiamo fare in fretta. Occorre riordinare le nostre idee e le nostre forze. Occorre un pensiero nuovo della politica e della partecipazione.

 

Un nuovo Partito Democratico, per una nuova alleanza. Significa sviluppare inedite forme della partecipazione politica a partire da un innovativo nostro investimento per la presenza nella rete e la ricostruzione di un tessuto associativo che dia autonomia ai cittadini che si impegnano, luoghi certi di incontro, partecipazione e decisione per le persone oggi così disperse. Questa visione non potrà che avere come cuore il tema della crescita e dell’equità. Intrecciate e conquistate contemporaneamente. Troppe volte in questi anni hanno vissuto separate generando difficoltà e incertezze. Il nostro ruolo è fare da cerniera. Se non vogliamo solo rimettere insieme i cocci del passato, ma determinare un processo e una nuova stagione in grado di far camminare insieme lo sviluppo sostenibile, la creatività italiana e una più equa distribuzione della ricchezza. L’Italia ha tutte le energie per mettere insieme queste tre cose. Parafrasando il Bill Clinton che si insediava alla Casa Bianca «non c’è niente di sbagliato in Italia che non possa essere corretto con quel che di giusto c’è in Italia». Non si può più aspettare, dobbiamo fare in fretta puntando su un riformismo che operi il cambiamento.