La fronda nel Pd si prepara al dopo Renzi guardando Zingaretti

Al Nazareno la chiamano 'la catastrofe'. Se arrivasse, il prescelto per salvare la patria-Pd è l'attuale governatore del Lazio, in lizza per la rielezione. L’unico capace di unire una sinistra divisa come l'acqua e l'olio, dicono sottovoce i dissidenti.

di Giulio scranno

per LINKIESTA

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Quello del 4 marzo, per il Partito Democratico, potrebbe non essere solo un appuntamento elettorale, ma anche un antipasto congressuale.

Una doverosa premessa: ciò che segue non è supportato da numeri reali, ma da quella selva di previsioni che vengono prospettate dai sondaggi. Il ragionamento politico, invece, è più che mai verosimile e corre tra i corridoi del Nazareno.

Tra poco meno di un mese e mezzo, 50 milioni di cittadini italiani saranno chiamati a rinnovare il Parlamento. Tra loro ci sarà anche una significativa fetta che, in Lombardia e nel Lazio in particolare, sceglierà anche la composizione dei rispettivi consigli regionali, stabilendo quali saranno i governatori per i prossimi cinque anni.

Mentre in Lombardia la corsa di Giorgio Gori, che non ha ottenuto il sostegno della sinistra-sinistra di Liberi e Uguali, sembra ancora in salita (seppur non impossibile), nel Lazio il favorito è Nicola Zingaretti. Governatore uscente, esponente di primo piano della minoranza dem, è riuscito ad unire ciò che sembrava ormai destinato a procedere su due binari paralleli: il Pd e i suoi ex-scissionisti.

Se le urne si riveleranno molto amare (come i sondaggi più ingenerosi, nonostante una timidissima risalita, ancora prospettano), per l’attuale dirigenza dem si porrà inevitabilmente la necessità di una riflessione immediata sul futuro. E se dovesse accadere quella che al Nazareno chiamano “la catastrofe“, per Renzi e compagni le possibilità di continuare a guidare il Pd si ridurrebbero al lumicino.

Chiariamo subito quali sono i contorni della catastrofe, almeno in base ai criteri scelti dal quartier generale di via Sant’Andrea delle Fratte. In pratica è la combinazione di questi due fattori: Pd sotto il 25%, ossia la fatidica “quota Bersani” del 2013, e coalizione di centrosinistra nel suo complesso dietro il M5s (che arrivi dietro il centrodestra viene dato per scontato).

Una situazione del genere vorrebbe dire che per i dem si chiudono le porte del governo, anche di larghe intese con Forza Italia e, nella migliore delle ipotesi, potrebbe portare ad un governo allargatissimo (difficilmente a guida Pd) o ad un ritorno alle urne.

La segreteria di Renzi – che, nonostante il tentativo di far avanzare Gentiloni e i ministri, a livello mediatico rimane il frontman di questa campagna elettorale – a quel punto sarebbe al capolinea e per il Pd si aprirebbe una fase di enorme instabilità. Finirebbe sotto attacco l’idea stessa di Partito Democrartico e con ogni probabilità tornerebbero a materializzarsi gli spettri di una divisione del fronte riformista, sulla stregua di quelli che una volta erano i Ds e la Margherita.

In queste ore concitate, al Nazareno, si ragiona anche su questo. E sono in molti a pensare che, a date condizioni politiche, il nome del possibile salvatore della patria potrebbe essere uno e uno soltanto, quello di Nicola Zingaretti.

Poniamo infatti che le elezioni per il Pd vadano male, molto male. E che, nel contempo, l’unica figura ad uscire vincitrice dalle urne del 4 marzo sia proprio quella del governatore del Lazio. “A quel punto – ci spiega un renziano pragmatico, che, preferisce rimanere anonimo – Nicola non potrebbe più tirarsi indietro“. Non è la prima volta, infatti, che si parla di Zingaretti come di un possibile pretendente alla leadership del Pd, ma, finora, l’ex segretario dei Ds romani si è sempre tenuto in disparte, appoggiando prevalentemente candidati anti-Renzi in tutti gli appuntamenti congressuali, ma non esponendosi mai come vero e proprio competitor dell’ex premier.

Questa volta sarebbe diverso“, ragiona la nostra fonte. “Vincere le elezioni nel Lazio, in un contesto che potrebbe essere drammatico per il Pd, sarebbe una cosa enorme“. In effetti, nonostante i sondaggi siano quasi del tutto concordi nel darlo in vantaggio, l’operazione riconferma per Zingaretti è tutt’altro che scontata. Intanto, come tutti, paga il fatto di essere stato al governo della Regione per cinque anni.

E poi l’aria, nel Lazio, è tutt’altro che favorevole per il Pd. Su 21 collegi uninominali per la Camera dei Deputati solo 3 vengono attribuiti al centrosinistra dall’ultima proiezione pubblicata sul Corriere della Sera. E il voto nello stesso giorno per nazionali e regionali non aiuta di certo. Una vittoria di Zingaretti avrebbe del miracoloso, altro che scontata.

Non solo, c’è un altro dato tutt’altro che trascurabile. E cioè che il governatore del Lazio è riuscito laddove Renzi e i vari padri nobili del Pd scesi in campo nella ultime settimana hanno fallito: unire, davvero, il centrosinistra. «E’ il modello Zingaretti che si rivelerebbe vincente, ancora prima dell’uomo. E poi, diciamolo, se vieni riconfermato dopo cinque anni di governo in una Regione non facile come il Lazio e con tutti i problemi che ci sono a Roma significa che hai governato bene e agli occhi della gente sei una persona affidabile». Che per il Pd di oggi non è poco.

Intendiamoci, se così andassero le cose, per Zingaretti il compito sarebbe tutt’altro che semplice. Si ritroverebbe tra le mani un Partito sotto shock, dilaniato dalle faide e dalle polemiche interne. E con una forte pressione esterna, soprattutto da sinistra. «Ma è proprio per questo che Nicola sarebbe l’unico in grado di evitare la diaspora. L’ha già fatto, nel Lazio, riuscendo ad amalgamare l’olio con l’acqua».

A quel punto, per una nuova leadership, si aprirebbe una strada del tutto inedita. Rinnovare, veramente. Ribaltare tutto, “rottamare”.

«Non tanto un gruppo dirigente, come teorizzava anche giustamente Renzi, ma un’idea stessa di Partito. Quello che m’immagino – spiega chiudendo la sua chiacchierata con noi il parlamentare dem – è un Partito costruito con quel che di buono è rimasto nel Pd: il territorio. Un Partito che metta insieme e si faccia guidare dagli Zingaretti, dai Sala, dai Chiamparino, dai Bonaccini che ancora godono di un grande credito tra i cittadini».

Il Partito dei sindaci e dei governatori, insomma. Ciò che intendeva veramente Renzi quando pensava al Partito della Nazione. Ciò che avrebbe tanto voluto costruire, ma anche ciò che, finora, è stato il suo fallimento più grande.