Zingaretti vs Minniti: vietato vincere facile

Zingaretti recupera altri 7 punti nel sondaggio sul gradimento interno nel Pd. Ora è secondo solo a Paolo Gentiloni. Ma sarebbe un errore voler vincere facile. Anzi sarebbe un danno. Per lui e per il Pd. Meglio uno scontro pesante con Minniti. Ma capace di dare alla Politica un Pd vero e solido

L’errore sarebbe quello di voler vincere facile: al contrario di quello che suggerisce la pubblicità dei Gratta e Vinci. Nicola Zingaretti ha bisogno di non vincere in modo facile la sua battaglia per la conquista della Segreteria del Partito Democratico.

Più sarà impegnativo lo scontro e più ne uscirà legittimato il vincitore. Più ne uscirà rafforzato il Pd.

 

La malattia che rischia di portare alla tomba l’erede del principale Partito della Sinistra europea è proprio l’aver voluto giocare soltanto partite facili. Illudendosi di essere una specie di dream team capace di affrontare ogni sfida nel Paese.

Invece, una volta messo di fronte ai problemi concreti, il Pd a trazione Renzianiana ha compiuto lo stesso errore dei predecessori: condotta elitaristica in una conduzione elitaria. Che tradotto dal politichese vuole dire: abbiamo fatto di testa nostra senza sentire i reali bisogni degli elettori, mostrando pure una certa puzzetta sotto al naso quando ci dicevano che stavamo sbagliando.

 

Non solo. La stessa presa del potere da parte di Renzi è stato un vincere facile: Enrico Letta stava iniziando a riscuotere i successi della sua azione amministrativa, l’ex sindaco di Firenze aveva ben chiaro che il suo momento si stava allontanando. E allora ci ha provato: ha affondato il coltello in un Pd fatto di burro.

 

Tenersi un Pd così sarebbe un danno. Per Nicola Zingaretti (o chiunque dovesse vincere la corsa per la Segreteria), per il Partito, per il Paese.

Il vecchio Pci era solido, granitico, inscalfibile, perché era il risultato di un dibattito interno. Che non durava all’infinito, a differenza di quello attuale. Poi però, quando arrivava il momento si faceva la sintesi e chi non era d’accordo si inventava una irrefrenabile esigenza renale per uscire e consentire che la votazione passasse all’unanimità. Dei presenti.

 

Proprio per questo sarebbe salutare ed efficace per il Pd un confronto tra i due nomi più politicamente strutturati all’interno del Partito: Nicola Zingaretti e Marco Minniti. Perché sarebbe un confronto tra due contenuti, due modi diversi di vedere il Paese, due modi differenti di concepire il Pd.

Non sarebbe un confronto tra due immagini apparse sui cartelloni, impegnate in una vuota sfida a chi buca di più il video, chi ha la battuta più pronta, chi ha la risposta più efficace.

Governare un Partito, condurlo al governo del Paese non è partecipare a Zelig. Non è cabaret.

 

A prescindere dal vincitore, Zingaretti e Minniti sono gli unici due che vengono da una cultura della sintesi. Cioè sarebbero capaci di individuare un comune terreno tra i loro diversi progetti e visioni. Alternativi ma sintetizzabili.

C’è un messaggio che però l’elettorato di sinistra, impegnato in una moderna diaspora senza più fine,  vuole sentire finalmente con chiarezza. È il messaggio chiesto a gran Voice a Piazza del Popolo: unità.

Proprio per questo, i giochi di bottega fatti sotto al naso degli elettori e non nel riserbo garantito dalle sagrestie di Partito, lo spacchettamento in una miriade di candidati per abbassare il quorum ed impedire a Zingaretti di vincere le Primarie per poi impallinarlo in Assemblea con un’alleanza vecchio stampo, rappresentano quanto di più sbagliato.

 

Non bisogna avere paura del sondaggio di Repubblica che vede ad ottobre Zingaretti con un gradimento al 40%, pari a 7 punti percentuali in più rispetto a settembre. Il Governatore del Lazio è il secondo esponente più apprezzato nel Pd dopo Paolo Gentiloni (48%), davanti a Marc Minniti (38%) e Maurizio Martina (31%).

 

Meglio un confronto aspro, vero, serio. ma combattuto in modo leale ed a viso aperto. Con il rischio di non vincere facile. Ma chi vince è legittimato e con le spalle forti. Molto forti. Meglio un segretario così che un partito di burro che affonda solo le sfide in cui si vince facile.

 

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