Zingaretti: «Virginia bis? È una minaccia»

Foto © Imagoeconomica, Rocco Pettini

Netto no di Nicola Zingaretti a qualsiasi forma di accordo per sostenere Virginia raggi alle prossime elezioni a Roma. Il Pd schiererà un suo uomo: di spessore e ben riconoscibile. La battuta del Segretario: "Raggi bis? Una minaccia”

Una battuta. Netta e tranciante. Nicola Zingaretti in un colpo solo dice no alla candidatura bis di Virginia Raggi a sindaco di Roma ed a qualsiasi ipotesi di accordo elettorale nella Capitale: «La ricandidatura di Virginia Raggi? Per i romani questa non è una notizia, ma una minaccia».

La sindaca ha iniziato già da qualche giorno a tastare il polso per verificare quanto possibilità ci sono per una sua nuova candidatura. Sia sul fronte del consenso popolare e sia sul fronte della disponibilità interna al Movimento 5 Stelle. Che per ricandidarla dovrebbe venire meno ad un altro dei suoi principi: il limite dei due mandati ed il no ai professionisti della politica. Virginia Raggi, infatti, è già stata consigliere comunale di opposizione in un mandato e sindaca nell’altro.

Nicola Zingaretti

Il primo a mandare un segnale è stato il presidente dell’Aula (leggi qui “Un Raggi bis? Sì, ma se lo sanciscono i nostri in rete. A me è bastato il 2013”). Incontrando un fermo no della capogruppo in Regione, Roberta Lombardi. (leggi qui Lombardi dice no al Raggi bis).

Ora Nicola Zingaretti chiude a tripla mandata la porta a qualsiasi ipotesi di accordo elettorale che veda candidata Virginia Raggi. Nè sostegno, né accordo, né desistenza: dalle file del Segretario nazionale Dem assicurano che il Partito Democratico schiererà un suo uomo, di esperienza e ben riconoscibile. Per riportare il centrosinistra al governo di Roma.

Il nome sarà il risultato del lavoro di mediazione ed equilibrio che Nicola Zingaretti ha già avviato da tempo. Mettendo insieme le sensibilità romane e nazionali, ascoltando con attenzione le considerazioni di Goffredo Bettini ma non solo. Roma è la capitale delle trappole politiche e della diplomazia, degli intrighi e delle soluzioni, sbagliare uno solo dei punti d’appoggio significa far cadere l’intera impalcatura. Sulla quale issare poi il candidato come una chiave di volta capace di tenere in piedi l’intero arco dal quale a sua volta viene sostenuta.

Si punta ad un nome di profilo alto, con spessore elevato, conoscenza approfondita della politica e dei suoi delicatissimi equilibri, conosciuto, apprezzato, dotato di una dialettica adeguata. Nei mesi scorsi qualcuno aveva ipotizzato il nome di David Sassoli, attuale presidente del Parlamento Europeo.

David Dassoli Foto: © Imagoeconomica, Michel Christen

Il dibattito però è prematuro. Ci sono prima altre scadenze. In autunno si vota alle Regionali in realtà chiave. E non dappertutto è stata individuata la figura da schierare, come nel caso della Liguria di Giovanni Toti dove il centrodestra si schiererà compatto.

Un centrodestra che a Roma si giocherà la partita interna tra Lega e Fratelli d’Italia. I numeri dicono con chiarezza che nella Capitale è il Partito di Giorgia Meloni ad avere le radici dove ci sono le preferenze. Un tema che Matteo Salvini ha toccato durante la riunione con i parlamentari regionali e nazionali eletti dal carroccio nel Lazio. Chiedendo un cambio di passo. Prima che sia lui a cambiare loro.

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