La guerra silenziosa di Matteo Renzi a Nicola Zingaretti

Nicola Zingaretti è il candidato degli anti renziani: anche D'Alema e Bersani sono con lui. Ma Renzi ha aperto il paracadute, che pochi conoscono: ha fatto modificare lo statuto, affidando al Tesoriere "I poteri di firma per tutti gli atti inerenti alle proprie funzioni". Tradotto: il tesoriere è proprietario del simbolo. Renzi non vuole che la prossima Assemblea Nazionale elegga un nuovo segretario, anche perché l'attuale tesoriere è un suo amico: Francesco Bonifazi.

Fabio MARTINI

per LA STAMPA

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A parole si dividono, ma a microfoni spenti tutti i big del Pd – anche quelli favorevoli – escludono che possa mai nascere un governo con i Cinque stelle. Il loro vero rovello è un altro: chi comanderà il partito nei prossimi mesi, decisivi in caso di nuove elezioni per la sopravvivenza stessa del Pd?

Quella sui Cinque stelle è in gran parte una «guerra per procura», una cortina fumogena, per ovattare un conflitto molto aspro per la futura leadership.

Come dimostrano anche due eventi.

Il primo, consumato dietro le quinte, va in scena il 19 aprile al piano nobile del Nazareno. Dentro uno degli uffici della direzione del Pd arriva a sorpresa il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, per partecipare ad una riunione di componente convocata dal Guardasigilli Andrea Orlando, già sfidante di Renzi alle ultime Primarie.

È sua la prima comunicazione: «Non intendo ricandidarmi» e anche per questo è giunta l’ora di mettere in pista Zingaretti. Il governatore del Lazio ha annuito, ha spiegato le sue condizioni e alla fine è stato dato incarico di preparare la mozione congressuale a Giuseppe Provenzano, vicepresidente dello Svimez, l’intellettuale più brillante della compagnia.

Una candidatura della quale sono stati informati e in parte coinvolti anche Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani, non insensibili al ritorno in un Pd de-renzizzato.

Qualche giorno fa, nella sede della dalemiana ItalianiEuropei si è svolta una analisi del voto alla quale erano presenti anche Zingaretti e Chiamparino. E dunque il dado è tratto: seppur in sordina, di fatto è partita la prima candidatura alla leadership del Pd in caso di Primarie.

 

Una corsa segnata, sinora, da una pretattica esasperata, che ha reso plausibile il secondo piano-sequenza, quello che si è consumato in piazza della Signoria a Firenze, il 25 aprile: davanti alle telecamere Matteo Renzi a bordo della sua bici viola, tra selfie e battute ha messo in scena il suo show, il sondaggio «mordi e fuggi» sull’accordo con i Cinquestelle. Con un messaggio chiaro: io ci sono, la gente mi vuole bene e sta con me.

Messaggio meno esplicito: la doppia batosta referendum-elezioni – mai analizzata a fondo dal Pd – è alle spalle. Una spavalderia che ha autorizzato gli ultras renziani ad immaginare il «gran ritorno». Dice il sottosegretario Antonello Giacomelli: «C’è una leadership e credo si debba chiedere a Renzi di assumerla in questa fase difficilissima».

Dice Michele Anzaldi: «Il partito deve valutare se convenga restare in questa terra di mezzo, o se trovare un segretario, chiedendo un sacrificio a Renzi. Possiamo tenere in panchina l’unico giocatore da Champions che abbiamo?». Non risulta che Renzi voglia tornare a tutti i costi. Certo, chi lo conosce dice che «Matteo non scarta l’ipotesi, ma sa che un ritorno sarebbe possibile se tutto il partito, o gran parte, glielo chiedesse». Ma ai piani alti del Pd i rapporti personali sono pessimi.

 

Resta aperta la questione del candidato «renziano» da opporre a Zingaretti, espressione del potere locale ma soprattutto della sua storia personale, che nasce nel Pci e prosegue nel Pds-Ds. Se la situazione dovesse precipitare verso elezioni in tanti sussurrano che renziani ed ex renziani (Gentiloni, Franceschini, Fassino, Martina) potrebbero confluire sul recalcitrante Graziano Delrio. E d’altra parte nelle ultime ore un crescente panico si è impadronito dei peones: quello delle elezioni anticipate.

E in vista di questa poco gradita eventualità Matteo Renzi già da tempo ha aperto un paracadute, che soltanto pochi addetti ai lavori conoscono. Un’autentica assicurazione sulla vita.

Quando era ancora premier-segretario, Renzi ha fatto modificare lo Statuto, affidando al tesoriere un potere straordinario: «La rappresentanza legale del partito ed i poteri di firma per tutti gli atti inerenti alle proprie funzioni».

Tradotto dal politichese: il tesoriere (indicato dal segretario) è il proprietario del simbolo. Renzi non vuole che la prossima Assemblea nazionale elegga un nuovo segretario, anche perché l’attuale tesoriere è uno dei suoi migliori amici: Francesco Bonifazi.

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