Zingaretti rompe lo stallo Pd con la lista aperta alle Europee

Le conseguenze delle dichiarazioni fatte ieri a Il Messaggero dal governatore del Lazio candidato alla segreteria nazionale Pd. Il Partito esce dallo stallo. Ed aggrega.

di Rudy F. Calvo per HuffingtonPost Italia

Nicola Zingaretti ha preso due piccioni con una fava. Rilanciando l’idea di presentarsi alle elezioni europee con un simbolo diverso da quello del Partito democratico, il candidato considerato favorito alle primarie del 3 marzo ha prima di tutto incassato ufficialmente la disponibilità dell’ex ministro Carlo Calenda a candidarsi per il voto di maggio (che si somma a quella già acquisita di Paolo Gentiloni a ricoprire il ruolo di presidente del Partito), quindi è uscito dall’angolo in cui lo avevano costretto alcune polemiche delle scorse settimane proprio sulla questione delle alleanze, costringendo adesso i suoi competitor a inseguirlo.

A dire il vero, il messaggio nella bottiglia lanciato da Zingaretti voleva raggiungere innanzitutto lidi diversi da quelli democratici. La sua proposta, infatti, è rivolta in primo luogo a chi – fuori dal Pd, sia verso sinistra che verso il centro – può riconoscersi nella “lista forte, unitaria e aperta” che intende presentare alle europee. E, da questo punto di vista, qualche riscontro positivo è già arrivato, come quello dell’ex presidente della Camera Laura Boldrini o del sindaco di Parma Federico Pizzarotti. Un maggiore scetticismo giunge invece da +Europa, i cui dirigenti non hanno (almeno per il momento) alcuna intenzione di rinunciare al proprio simbolo. Ma prima delle urne si devono ancora consumare molti e importanti passaggi politici (a iniziare proprio dalle primarie che eleggeranno il segretario del Pd) e le cose potrebbero evolversi.

Intanto, però, la mossa zingarettiana ha contribuito a far uscire il Pd dall’isolamento nel quale si era chiuso nei mesi (o, meglio, anni) scorsi. Ormai ha preso piede l’idea che attorno ai Democratici si muovano forze, organizzate o meno, che intendono opporsi al nazionalpopulismo rappresentato dall’attuale governo: siano i sindaci che non vogliono applicare il decreto sicurezza, o quelli che aprono i porti alle navi ferme in mare cariche di migranti; siano gli ex grillini pentiti alla Pizzarotti; siano quegli europeisti che non ci stanno a vedere l’Italia isolata; siano sindacati e movimenti che si erano allontanati dai dem e che ora sperano di riannodare i fili. L’idea di Zingaretti è di coinvolgere tutti questi soggetti nell’elaborazione di un manifesto europeista comune. “Poi – spiega chi è vicino al governatore laziale – si potrà anche parlare del simbolo, se sostituirlo, modificarlo, integrarlo con una scritta tipo “Democratici europei’. Non è questa la cosa importante, il Pd rimarrà comunque il soggetto centrale”. Nessuna volontà di nascondersi, insomma, semmai di aprirsi.

Un’operazione che, così spiegata, vuole essere ben poco politicista. Diversa, insomma, da quella molto controversa che vide i dem nel 2017 (primo caso di rilievo) rinunciare al proprio simbolo alle comunali di Palermo, per “nascondersi” dietro un cartello comune con il Ncd. Orlando vinse, ma la lista renzian-alfaniana si fermò all’8,5%, appena dietro le due civiche del candidato sindaco e anche dietro FI.

Finora, le accuse mosse a Zingaretti dai suoi avversari erano di volersi alleare con i Cinquestelle o di voler presentare alle europee una lista bicefala con D’Alema. La mossa di oggi lo libera in qualche modo da queste catene e lo proietta verso un orizzonte più ampio. Anche se, per poter riuscire veramente, avrà bisogno di maggiori e più importanti adesioni di quelle giunte finora. E c’è già un primo banco di prova da tenere d’occhio: è quello delle regionali in Abruzzo, fissate per il 10 febbraio. Qui il candidato presidente del centrosinistra Giovanni Legnini, ex vicepresidente del Csm, non iscritto a nessun partito, presente a suo sostegno una costellazione di liste civiche, che saranno il vero “baricentro del progetto politico”, come da lui stesso sostenuto. A scapito del Pd? Con quale valore aggiunto? Si vedrà presto.

Intanto, comunque, il tema costringe anche il principale avversario di Zingaretti nella competizione interna, Maurizio Martina, a prendere posizione. E lo fa con pari disponibilità, ma qualche cautela in più. Mentre infatti l’altro componente del ticket, Matteo Richetti, assume una posizione oltranzista (“Il simbolo va di pari passo con il progetto: se il progetto è nuovo e ampio sarebbe improbabile pensare a non modificare e innovare la forma oltre che la sostanza” dichiara intervistato da AdnKronos), l’ex ministro dell’Agricoltura condivide l’idea di “una lista aperta che si rivolga ai tanti democratici e riformisti“, ma al contempo rivendica il simbolo dem come “un patrimonio di cui andare orgogliosi, che esprime l’impegno di migliaia di persone che si battono per un’Italia più giusta“. Una prudenza dettata probabilmente dalla delicata fase congressuale: in questi giorni, infatti, sono iniziate le votazioni degli iscritti nei circoli e i pronostici danno proprio Martina come favorito. Una sua eventuale vittoria potrebbe condizionare il risultato che conta, ossia quello dei gazebo. È importante allora solleticare l’orgoglio dei tesserati, che domani sono anche chiamati ad animare circa duemila banchetti in tutta Italia per la mobilitazione indetta dal partito contro la manovra giallo-verde.

Al suo target di riferimento si rivolge anche Francesco Boccia, che afferma di avere “nel cuore” il simbolo del Pd e mette paletti ben precisi all’eventuale apertura delle liste a forze esterne: “Se chi viene ha la nostra visione sull’economia sostenibile, sul no al Jobs Act, sulla scuola aperta a tempo pieno stiamo parlando della stessa alleanza politica. Se invece vengono da noi quelli che hanno una visione diversa allora stiamo parlando solo di un cartello elettorale e io non sono d’accordo“. Porte aperte, allora a “Vendola, Civati, Laforgia, Bersani, Bonelli dei Verdi“, ma non a chi ha “una visione diversa“.

Intanto, una buona notizia per il Nazareno arriva dai dati diffusi dal Ministero dell’Economia sui contributi ai partiti giunti attraverso il due per mille. Il Pd si conferma in cima alle scelte degli italiani, con il 44,76% sul totale delle firme inserite nelle dichiarazioni dei redditi (l’anno scorso erano il 49%), che equivalgono a un introito di 7 milioni di euro. Uno in meno rispetto al 2018, ma è un sacrificio minimo se si considerano i voti persi nelle urne e la complicatissima stagione che ne è seguita.

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