Anni ’80, zumba cafoni e karaoke (Il caffè di Monia)

I pensieri del mattino di fronte ad un caffé: non sai mai se sarà dolce o amaro, ristretto o lungo. Come la vita: non sai mai cosa ti riserva

Monia Lauroni

Scrivere per descrivere

La TV privata di Berlusconi nel suo piú alto momento ideologico: Enrica Bonaccorti, Mike Bongiorno che litigava con la svampita Antonella Elia per le pellicce. Le signorine per bene che leggevano le letterine indirizzate a Bim Bum Bam Palazzo dei Cigni, Milano 2.

Poi vennero i brufoli e Buona Domenica, i compiti di matematica e Mai Dire Gol. Pozzetto, Villaggio, De Sica, Calà in seconda serata. Applausometri  e paillettes a buon mercato. Festivalbar e l’eterno dilemma sulla compilation blu o quella rossa. E poi c’era lui,  Fiorello su Italia 1 con il Karaoke e le sue giacche pre-Balenciaga.

Venne poi Tangentopoli, ma questa è un’altra storia. Zumba, cafoni e Karaoke.  Eppure c’è chi inspiegabilmente rivuole indietro quella roba lá. Non che la zumba e i cafoni siano nati negli anni ’80 d’estate. Quella è roba antica, ma come per tutte le cose indigeste come i pranzi di Natale in famiglia, c’è sempre il momento in cui si sfora. Un po’ come quell’oliva di troppo che dopo ventidue portate ti blocca la digestione.

I cafoni. Anche i cafoni ci sono sempre stati, ma negli anni ’80 hanno avuto la consapevolezza che avrebbero fatto fortuna. Mutanti e geneticamente indistruttibili, oggi forti di quella consapevolezza ottantiniana, te li trovi sui treni, per strada, alla posta, a scuola, in aeroporto, al bar, in televisione. Contravvengono alla regola non scritta che ha tenuto in piedi il mondo fino all’arrivo di quei maledetti anni ’80, quella del “pare brutto“, che spingeva quasi tutti a tenere un comportamento rispettoso e vagamente ipocrita. I neocafoni hanno successo. Vero Maria De Filippi?

E loro lo sanno. I cafoni, sia chiaro, sono sempre gli altri. Ma la vera eredità, quella grossa, ce l’ha lasciata Fiorello col karaoke. Il più sfigato dei bar te lo propina almeno tre sere alla settimana come se fossero le serate di Sanremo.

Giovedì sera decisi di andarmene a mangiare una pizza. Vidi molte macchine parcheggiate lungo la strada. Il locale era pieno di giovani e meno giovani, strano pensai per un giovedì sera. Già da questo avrei dovuto capire che c’era il trappolone. Iniziò immediatamente dopo l’arrivo della pizza. Vidi un ragazzo armeggiare con microfoni, monitor e tastiera: la beffa andava profilandosi in tutte le sue sconcertanti proporzioni.

Il giovane tutto  eccitato accende il microfono: “Pronti per il Karaoke?“. Dopo questa parolaccia e l’euforia dei presenti, il mio disgusto montò a neve. Non riuscivo ad immaginare un flagello peggiore. Neanche cinque minuti e lo strazio acustico ebbe inizio. Microfoni in ostaggio per cantare fuori sincrono canzoncine di un sentimentalismo efferato.

Subito parte la guerra per tirarsi di mano quel microfono in una gara oscena a chi stona di più, a chi strilla di più. La particolarità più sconcertante sta nel fatto che anche i latrati più latrati ottengono una manciata di applausi. Ragione più che valida per proporre tutto il repertorio di Vasco Rossi  che più che pelle d’oca ti invita a prendere la carabina e mirare in mezzo agli occhi.

Le ragazze  amano cantare a tre voci, gli anziani in coppia stile Minghi/Mietta. E’ una specie di omicidio impunito, ma loro, gli afficionados, continuano a regalare al mondo circostante le loro ugole imperterrite e starnazzanti malate di protagonismo. Ma dico, che vi ha fatto la musica? Ma perché? Come se Masini e Ramazzotti non fossero già abbastanza.

Grazie Fiorello, grazie anni ’80.  Ricordo che erano in tre, e hanno segnato la mia infanzia e una parte della mia giovinezza:  gli zii vecchi di mia madre e Fiorello. I miei genitori, d’estate, mi lasciavano ostaggio dell’affetto di quella tribù di vecchi che alla sera erano ostaggio della luce bluastra della TV di Fiorello che tanto li divertiva. 

Secondo i miei genitori mi serviva il mare. Ed ai miei vecchi zii, quelli con la casa aI mare, serviva una nipotina da sballottolare. Io non ci volevo andare al mare. Io non lo volevo guardare il Karaoke. Io li odio gli anni ’80 coi capelli laccati e le camicie a fiori. Odio la zumba. E pure i cafoni.