Dal Golpe a Saxa Rubra al traffico di rifiuti con la Mecoris, Perfili arrestato

I 9 arresti per il traffico di rifiuti scoperto dopo l'incendio alla Mecoris di Frosinone. Il ruolo di Marcello Perfili. Che aveva 'infiltrato' l'azienda cambiandone il modello. Le accuse di avere organizzato un Colpo di Stato. E di essere vicino ad uomini della Mafia del Brenta. Gli interessi nell'editoria. E nel fotovoltaico

Dal tentato colpo di Stato del 1993 alla frode con i pannelli solari, passando per la Selva di Paliano e finendo ora con il traffico dei rifiuti: è Marcello Perfili (70 anni) di Castro dei Volsci il nome principale nell’inchiesta che questa mattina ha portato all’arresto di nove persone, al sequestro di quattro società e di 2,5 milioni di euro. Tutto nell’ambito di un’indagine su un traffico illecito di rifiuti su scala internazionale avviata cinque anni fa dopo l’incendio che distrusse i capannoni dello stabilimento Mecoris nell’area industriale di Frosinone.

La Direzione Distrettuale Antimafia di Roma ipotizza i reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, traffico illecito transfrontaliero di rifiuti, smaltimento illecito di rifiuti, sostituzione di persona e trasferimento fraudolento di valori.

A portare avanti le indagini sono stati i poliziotti della Squadra Mobile ed i Carabinieri Forestali di Frosinone. In tutto risultano indagate 41 persone fisiche e 9 persone giuridiche, residenti in diverse regioni d’Italia.

L’incendio

Il piazzale Mecoris

Tutto è nato dall’incendio alla Mecoris, talmente vasto e violento da portare nel 2019 il sindaco di Frosinone ad ordinare la chiusura delle finestre, il blocco della circolazione ed ipotizzare l’evacuazione dell’area. Gli accertamenti hanno portato ad ipotizzare che dietro all’impianto incendiato in Ciociaria agissero degli amministratori occulti che ricevevano i rifiuti da società campane.

Squadra Mobile e Carabinieri Forestali individuano un punto di svolta nella gestione della società ciociara: lo collocano al primo gennaio del 2019 quando nella compagine societaria entra l’imprenditore frusinate Marcello Perfili che “ne ha sostanzialmente cambiato il core business. Attraverso diverse società di intermediazione campane, l’imprenditore era riuscito ad accettare dalla Campania ingenti quantità di rifiuti che invece dovevano essere lavorati in quella Regione”.

I rifiuti campani – ricostruiscono gli inquirenti – passavano le maglie dei controlli cambiando il loro codice identificativo (Eer): in questo modo i rifiuti urbani venivano riclassificati come speciali rendendoli smaltibili fuori regione. Il tutto con un doppio guadagno: per chi smaltiva i rifiuti (e veniva pagato per lo smaltimento) ma in realtà gli cambiava solo codice. E per chi li riceveva con il nuovo codice ‘Cer 19 12 12‘ che indica rifiuti molto difficili da gestire e costosi da smaltire. E per questo veniva pagato. Mentre in realtà si trattava di normali rifiuti urbani.

Un giro da 2500 tonnellate

(Foto © DepositPhotos)

In pratica i rifiuti urbani provenienti dalla Campania finivano (con semplici operazioni di stoccaggio, senza alcun trattamento) nell’impianto di Frosinone, al solo fine di farne perdere le tracce. Infatti, da qui venivano poi trasportati in altro impianto a Cisterna di Latina e da qui smaltiti come semplici scarti di lavorazione presso una discarica di Colleferro.

Inoltre dalla lettura dei formulari che accompagnano i rifiuti è emerso che i materiali in ingresso a Frosinone non sempre erano accompagnati da analisi che ne accertassero la reale composizione.

Gli inquirenti ipotizzano che siano 2.550 le tonnellate di rifiuti erroneamente classificate. Ed a capo dell’organizzazione collocano Marcello Perfili insieme ad un imprenditore campano.

Dopo l’incendio alla Mecoris si cresce

Foto: Livio Anticoli © Imagoeconomica

Le indagini soprattutto ipotizzano che l’incendio dell’impianto di Frosinone non abbia segnato la fine del traffico illecito dei rifiuti ma solo la sua evoluzione su scala nazionale ed internazionale. I due imprenditori sono accusati di avere utilizzato un capannone ad Aviano (Pordenone) gestito da una società in liquidazione delocalizzando lì le attività svolte fino a quel momento in Ciociaria.

Ad Aviano avrebbero stoccato abusivamente ingenti quantità di rifiuti provenienti da svariati impianti sul territorio nazionale. Lì finivano anche gli rifiuti ospedalieri oltre a quelli organici “indicandoli come plastica e gomma”. Da qui, per gli investigatori “senza essere sottoposti alla benché minima operazione di selezione o di cernita, venivano poi illegalmente redistribuiti presso ulteriori impianti gestiti da soggetti compiacenti, siti anche al di fuori dei confini nazionali, come in Ungheria o Repubblica Ceca, con il medesimo stratagemma della falsificazione del codice Cer“.

Nelle 160 pagine di provvedimento eseguito questa mattina viene ricostruito anche l’incendio. Non venne appiccato per far sparire prove o rifiuti. Ma fu un incidente che inceppò il meccanismo. Il reato di incendio doloso non appare tra le accuse. Perché all’epoca i Vigili del Fuoco non trovano alcun innesco ma individuano come focolaio principale quello vicino ad un muletto. Ipotizzano che tutto sia partito da una batteria. Ne danno la colpa ad uno degli altri indagati (non arrestato). In cosa sarebbe consistita la colpa? Nell’avere scollegato il sistema di allarme antincendio perché scattava a causa delle polveri ed anche del fumo di sigaretta.

Dal Golpe ai rifiuti

Con Marcello Perfili (difeso dall’avvocato Calogero Nobile) sono stati arrestati e messi ai domiciliari Antonio Annunziata (42 anni) di Napoli. Luana Troiano (39 anni) di Sparanise; Luigi Verrone (51 anni di Cancello Arnone). Andrea Papais (51 anni) di San Vito al Tagliamento; Paolo Vannuccini (62 anni) di Gradoli. Riccardo Traversa 51 anni) di Anzio; Maria Aliperti (43 anni) di Ottaviano e Scilla Gaetani (45 anni) classe 1979 residente ad Aviano.

Nessuno di loro ha una storia movimentata come quella dell’imprenditore ciociaro. Il suo nome compare sulle cronache nazionali nel 1993 quando viene arrestato per il tentato golpe che prevedeva l’assalto alla sede Rai di Saxa Rubra. Con lui finiscono agli arresti un generale dell’aeronautica in pensione ed altre due persone. per tutti l’accusa è di cospirazione politica mediante associazione.

Alcuni anni dopo il suo nome viene associato a quello di Roberto Mengardo. È considerato il capo indiscusso del clan degli ex della Mala del Brenta che riforniva di cocaina le feste dei vip. Mengardo si trova a dover fronteggiare un’accusa di bancarotta per il crac della “T.& T. Edil Srl“, società di produzione e commercio di manufatti di gesso e stucco, con sede operativa a Sant’Angelo di Piove (Padova). Marcello Perfili all’epoca è tra i 16 accusati di avere collaborato con i tre amministratori a svuotare i conti correnti. Come? Attraverso fatture per operazioni inesistenti ed emissioni di bonifici bancari privi di giustificazione.

Riappare negli anni successivi in provincia di Frosinone con interessi nel campo dell’editoria. Poi in quelli del nuovo business delle energie rinnovabili ed i benefit legati ai pannelli fotovoltaici.