L'analisi del presidente di Bankitalia di origini ciociare, la svolta del ministro dell'Agricoltura e i numeri del Lazio: 615mila stranieri
Fabio Panetta lo definimmo “il banchiere del paese accanto” perché suo padre, Paolino, fu sindaco storico di Pescosolido e totem ciociaro della vecchia DC. Venne Nominato Governatore della Banca d’Italia con decorrenza dal primo novembre 2023 al posto di un Ignazio Visco. Un predecessore sotto “minaccia” degli strali di un Matteo Renzi che lo avrebbe voluto rottamare già dal 2017. Panetta ha messo d’accordo tutti anche in virtù di una sua certa idea di economia. Una visione prospettica per cui il sistema bancario deve sostenere il credito mentre quello europeo, da cui lui stesso viene, deve conformare le decisioni sui tassi a questo andamento-sparring degli istituti nazionali.
Che significa? Che per Panetta l’economia è cosa viva, e che non può non tener conto dei flussi-deflussi sociali che caratterizzano i sistemi complessi. Al meeting di Rimini il numero uno di Bankitalia aveva squadernato il tema, in articolare da un’angolazione che fa il paio con uno dei temi claim della politica.
Meno debito e più sviluppo: come?
Così: “La riduzione del debito sarà ardua senza un’accelerazione dello sviluppo economico”. E per tenere sponda a quell’accelerazione “c’è anche il tema immigrazione. Per ridurre gli squilibri demografici una risposta razionale può essere l’introduzione di misure che favoriscano l’ingresso di lavoratori stranieri regolari”. Ka-boom e apriti cielo: un governatore di Bankitalia gradito al governo che mette a registro piani disequalizzati dalle rotte arcigne del governo?
Non proprio, a contare la linea di FI e di Antonio Tajani sullo jus scholae. E non proprio, a contare che perfino uno come Francesco Lollobrigida, “fratello doc”, ministro ed ex cognato d’Italia, si è messo in scia. Con cosa? Con gli impellenti bisogni di una società che richiede nuovi cittadini senza potersi più affidare al fattore della natalità interna.
Il concretismo dal palco di Rimini
Panetta è un concretista, ed ha spiegato che “su scala europea le proiezioni demografiche indicano che nei prossimi decenni si ridurrà il numero di cittadini europei in età da lavoro. Ed aumenterà il numero degli anziani”. Non proprio lo scenario ideale per fare Pil e mettere le banche in condizioni di fare il loro lavoro, che è surfare il Pil stesso con il credito. “Questa dinamica rischia di avere effetti negativi sulla tenuta dei sistemi pensionistici, sul sistema sanitario. Poi sulla propensione a intraprendere e a innovare, sulla sostenibilità dei debiti pubblici”.
E la soluzione? “Per contrastare questi effetti, è essenziale rafforzare il capitale umano. Ed aumentare l’occupazione di giovani e donne, in particolare nei paesi – tra cui l’Italia – dove i divari di partecipazione al mercato del lavoro per genere ed età sono ancora troppo ampi”.
Il dossier della Cisl di Coppotelli
A maggio scorso la Cisl Lazio guidata in segreteria generale da Enrico Coppotelli, aveva presentato il Dossier Statistico dell’Immigrazione 2023. Il principio è che se certe forze e certe persone restano invisibili salta la possibilità di mettere a regime di Pil la loro produttività. A redigerlo il Centro studi e Ricerche IDOS. Ed è in quei numeri che si annida la polpa di merito del ragionamento fatto da Panetta. Ci si annida perché nel Lazio sono stati censiti 615.108 residenti stranieri. La comunità romena guida la lista con 196.473 residenti, “seguita da quelle filippina (42.373), bangladese (40.318), indiana (31.286) e albanese (23.054)”.
E, piaccia o meno, si tratta di un patrimonio produttivo che però rischia di tracimare per larga fetta in serbatoio di sommerso o di condotte al di fuori della norma. Questo se non si arriverà a creare un sostrato di legiferati ed impalcature tecniche che capti quelle persone ed i flussi africani del loro avanzare dietro spinta di economie disastrate e geopolitica truce.
L’economia del Lazio e quel 12,6%
L’economia del Lazio è in crescita ed i lavoratori stranieri “rappresentano il 12,6% del totale degli occupati. La disoccupazione è in lieve calo ma le difficoltà del mercato del lavoro continuano a penalizzare i cittadini stranieri e, soprattutto, le donne”. Dove operano costoro, e dove va ad incidere la loro opera? “Il 73,2% degli occupati stranieri lavora nel terziario, tra cui il 12,4% nel commercio e il 24,5% in quello domestico. A seguire, il 18% è nell’industria, tra cui il 12,2% nelle costruzioni. Mentre il restante 8,8% lavora in agricoltura, settore che coinvolge solo l’1,9% degli occupati autoctoni”.
Insomma, c’è materia per fare Pil oltre che per fare modelli avanzati multiculturali e, a traino, per mettere a regime gli uffici deputati al credito delle banche. “Le imprese ‘immigrate’ del Lazio costituiscono il 12,4% del corrispettivo totale nazionale e incidono per il 13,2% sul totale delle imprese attive in regione (a fronte di una media nazionale del 10,8%)”.
La situazione in provincia di Frosinone
E nelle province? Al primo gennaio 2023 gli stranieri residenti in provincia di Frosinone erano 24.007, e rappresentavano il 5,1% della popolazione residente. Mentre nella Città Metropolitana di Roma “è attivo più dell’80% delle imprese condotte da immigrati presenti nel Lazio”. In ordine poi ai settori produttivi queste si concentrano prevalentemente “nei servizi (49.454), seguiti dall’industria (19.389) e dall’agricoltura (1.463, di cui 488 solo in provincia di Latina). Più nel dettaglio, i comparti maggiormente attrattivi restano il commercio (31%), le costruzioni (21,2%) e i servizi alle imprese (10%)”.
Il quadro ha delle evidenze da cui non si può prescindere. Questo a meno di voler assumere una condotta anti-storica e di sola matrice identitaria, in ordine alla struttura “ideologica” del destra centro. Struttura che sta iniziando a presentare delle benevole “crepe” di carattere funzionalista.
Lollo ha capito e va contro la Bossi-Fini
Ecco perché, sotto l’egida di una realpolitik e sempre da Rimini, la rabona che non ti aspetti era arrivata da Francesco Lollobrigida. Cioè da uno che, per storia, affetti, collocazione politica e ruolo istituzionale se dice certe cose mette in moto i sismografi del sovranismo basico di questi tempi.
“Pensiamo che la legge Bossi-Fini vada modificata e aggiornata. Va però tenuto conto di due approcci differenti.
E a chiosa, cn modalità bifronte che preservi lo zoccolo duro dell’ideologia ma che al contempo non precluda aperture: “Per noi l’immigrazione è una risorsa quando è legale”.
“C’è invece chi immagina un altro modello, quello dell’immigrazione indiscriminata. Non è la strada giusta”. Sì, ma neanche quella di “chiudere i porti” lo è. E per ammissione di un membro di un esecutivo che su questo vecchio claim da opposizione aveva sempre glissato per non mettere in imbarazzo Giorgia Meloni.
Cioè della donna-totem dello stesso quando non aveva l’onere di muovere le pedine ma solo l’onore di voler ribaltare la scacchiera. A prescindere.