La nostra storia industriale. La quarta puntata. Con le prime evidenze che la Cassa per il Mezzogiorno non potrà fare tutto in 10 anni. L'Area di Sviluppo Industriale fu il principale strumento operativo di una politica che si proponeva di razionalizzare lo strumento
L’attività portata avanti dalla Cassa per il Mezzogiorno può essere suddivisa in cinque differenti fasi che si sono sviluppate in altrettanti periodi storici:
- Pre-industrializzazione (1950-1957);
- Industrializzazione (1958-1965);
- Inserimento della politica regionale (1966-1970);
- Avvio di progetti speciali (1971-1980);
- Proroghe di durata fino all’operatività della nuova AgenSud (1980-1983).
I primi tre momenti (pre-industrializzazione, industrializzazione e inserimento della politica regionale) hanno rappresentato il punto focale su cui si è sviluppata tutta l’azione della Cassa del Mezzogiorno.
Un momento importante che ha contribuito al miglioramento del sud Italia. In questa prima fase i risultati furono tangibili: incremento del 42% della produzione agricola grazie alle opere di bonifica e irrigazion. Aumento del 50% della produzione industriale attraverso l’incremento dell’intervento degli investitori. Crescita del reddito del 71% e incremento del 138% degli investimenti privati e del 106% degli investimenti pubblici.
Il decennio di azione
La durata della Cassa, in fase di approvazione della legge istitutiva, prevedeva un’operatività di dieci anni. Un arco temporale dove, secondo le intenzioni iniziali, si sarebbe dovuto realizzare il programma utilizzando la dotazione economica iniziale. Ma sin dal principio fu chiaro che questo obiettivo sarebbe stato difficilmente raggiungibile. Infatti, la principale difficoltà che fu riscontrata era la mancanza di studi e di progetti per i sistemi delle opere, di grandi dimensioni, che la Cassa era chiamata a realizzare sul territorio. In pratica: non si sapeva cosa fare, dove farlo, come realizzarlo.
In quel periodo l’Italia scopriva tutta la sua arretratezza: dovuta ad una guerra perduta ma più ancora ad un’avventura coloniale che pensò a costruire strade in Libia e Somalia mettendo in secondo piano le esigenze interne. Il problema riguardava in maniera drammatica buona parte dell’Italia centrale e tutto il Meridione. Non va dimenticato che nella Cassa per il Mezzogiorno furono inseriti i territori delle le regioni Abruzzo e Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna; le province di Latina e di Frosinone; i comuni dell’Isola d’Elba, dell’isola del Giglio e dell‘isola di Capraia, i comuni dell‘ex circondario di Cittaducale nella provincia di Rieti e quelli compresi nei perimetri di bonifica del Tronto e dell’Agro pontino, rispettivamente nelle province di Ascoli Piceno e di Roma.
Per creare le mega infrastrutture di cui il Meridione aveva bisogno occorrevano tempo, studio, ricerche che sarebbero poi dovute culminare in progetti ben strutturati. D’altra parte, tra gli obiettivi c’era quello di creare opere come acquedotti interregionali. Poi reti irrigue per i campi, costruire dighe per dar vita a bacini a disposizione delle comunità e adeguare le reti di collegamento.
Fase due e punti fondamentali
Situazioni difficilmente raggiungibili nel corso di un decennio, per questo motivo con molti interventi normativi si portò all’ampliamento del tempo a disposizione della Cassa di diversi decenni. E adeguando anche la dotazione finanziaria. Lo stanziamento iniziale di 1.000 miliardi di lire era risultato insufficiente per coprire tutte le opere in programma. Dall’inizio dell’operatività, nel 1951, sino al 1991 e sotto il nome sia di Cassa per il Mezzogiorno sia di AgenSud, ha elargito alle regioni meridionali un totale di 82 410 miliardi di lire. La spesa media annuale è stata di circa lo 0,65% del PIL.
Nel 1957 iniziò la cosiddetta “seconda fase” della Cassa del Mezzogiorno che portò alla nascita anche di una nuova tipologia di ente. Che sarebbe diventato il braccio operativo per lo sviluppo industriale territoriale: i consorzi industriali.
La seconda fase della Cassa per il Mezzogiorno segnò due punti fondamentali: il rifinanziamento della Cassa e la nascita dei Consorzi industriali. Enti che nel corso degli anni hanno acquisito un ruolo fondamentale per lo sviluppo economico e sociale, ruolo che mantengono ancora oggi.
Con la Legge numero 634 l’organismo fu rifinanziato con una dotazione economica di circa 760 miliardi di lire. E il prolungamento della propria durata d’azione fino al 1965. L’obiettivo di questa nuova fase della Cassa del Mezzogiorno era quello di creare un’industrializzazione nel sud Italia. Nonché generare possibilità e condizioni che avrebbero permesso ai territori del meridione di essere attrattivi e interessanti per i grandi gruppi industriali.
Creare le condizioni attese
Per questo motivo l’articolo 21 della Legge numero 634 diede la possibilità di creare dei Consorzi che si occupavano esclusivamente di creare queste condizioni molto attese. La norma recitava: «Allo scopo di favorire nuove iniziative industriali di cui sia prevista la concentrazione in una determinata zona, i Comuni, le Province, le Camere di commercio, industria e agricoltura e gli altri enti interessati possono costituirsi in Consorzi. Col compito di eseguire, sviluppare e gestire le opere di attrezzatura della zona, quali gli allacciamenti stradali e ferroviari, gli impianti di approvvigionamento di acqua e di energia per uso industriale e di illuminazione, e le fognature. Il Consorzio può assumere ogni altra iniziativa ritenuta utile per lo sviluppo industriale della zona».
Quella novità introdotta dalla norma fu molto importante perché, per la prima volta, dava la possibilità di creare enti che si occupassero esclusivamente di promuovere l’industrializzazione del territorio. Ma il legislatore andò oltre pensando anche ai metodi di finanziamento di questi Consorzi. E creando un collegamento diretto con la Cassa del Mezzogiorno.
Nel medesimo articolo 21 si stabiliva che era nella facoltà dell’Ente quella di concedere ai Consorzi contributi. Questo per coprire la metà delle spese affrontare al fine della realizzazione delle opere necessarie per lo sviluppo territoriale.
Le aree ed i requisiti
Stabilito il principio si fissarono i requisiti necessari per l’istituzione delle aree. Nella circolare del Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno numero 21354 del 07.10.1959 Condizioni e requisiti minimi per istituire aree di sviluppo industriale nel mezzogiorno si chiariva un dato. Che per avere il riconoscimento di aree industriali si doveva «trattare di aree sufficientemente ampie ed omogenee», designate, cioè, in corrispondenza di un congruo numero di Comuni appartenenti eventualmente anche a diverse Province.
Esse debbono servire «a promuovere ed operare tutte quelle trasformazioni ambientali atte a potenziarne ed a svilupparne la forza di attrazione ubicazionale. E, quindi, a costituirne delle aree di concentrazione geografica e di gravitazione degli sviluppi industriali, rispetto all’intero territorio meridionale». Nell’interno di questa vasta area, secondo la nuova concezione allargata, le industrie avrebbero potuto localizzarsi, distribuendosi in più «nuclei industriali» di varie dimensioni.
La concezione dell’Area di Sviluppo Industriale, introdotta dal Comitato dei Ministri, fu il principale strumento operativo di una politica che si proponeva di: razionalizzare, sul piano finanziario e sul piano tecnico-economico. La predisposizione e l’utilizzazione di un’adeguata rete di infrastrutture nel più vasto ambito territoriale in cui i nuclei industriali si inseriscono.
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1^ Puntata. La visione industriale che ci è mancata: fin dall’Unità d’Italia
2^ Puntata. La lungimiranza perduta che fece nascere la Cassa del Mezzogiorno
3^ Puntata. Il battesimo ufficiale della Cassa del Mezzogiorno ed i 4 anni di Rocco