L’ultima bobina di Fabriano e le firme sulla fine di un’era: per tutti

L’ennesimo segnale di crisi sistemica: Giano Srl va in liquidazione e 174 dipendenti dicono addio alla mitica macchina continua F3

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Quasi un anno fa ci volle un’Aia, Autorizzazione integrata ambientale, per scongiurare l’orizzonte fosco e vicinissimo della cartiera Reno De Medici di Villa Santa Lucia. Lo stabilimento del Cassinate è uno di quell’avanguardia e produce un particolare tipo di cartoncino patinato ricavato dalla carta riciclata, ma allora quelle credenziali di mercato florido non bastarono. Perché? Perché in Italia i cavilli hanno le loro ragioni che il buon senso nemico dei cavilli non conosce.

Non al punto da impedire all’azienda madre, RDM Group di Milano, di minacciare un “via tutti” che avrebbe messo sul lastrico 300 tra lavoratori e lavoratrici. Successe una cosa molto banale ma gigante: la Regione Lazio aveva una codificazione normativa per cui i fanghi utilizzati per la produzione erano classificati come “rifiuti speciali”.

I segnali dalla Reno De’ Medici

Andavano smaltiti, anche se in realtà i fanghi stessi erano parte attiva del ciclo produttivo perché venivano riutilizzati. Si andò a cortocircuito e ci vollero l’impegno di Daniele Maura per una correzione normativa alla Pisana e la bona fides della casa madre per sistemare tutto. Tuttavia, già un anno fa, il messaggio era chiaro: c’è tutto un mondo produttivo ed industriale che sta gradualmente morendo e nei confronti di quel mondo la sola è accanirsi terapeuticamente con aggiustamenti di rotta.

Ma in attesa dell’ineluttabile. O di una serie di conversioni monstre che tengano conto della Nuova Massima Rotta impegnando somme, intelligenze e sforzi tali che per come è oggi il Belpaese pare cosa da favola della buonanotte. Quella rotta è il Green Deal, non quello che avremmo dovuto applicare tutti per gradi da decenni, ma quello che ci è piovuto addosso in un lustro.

Green tutto insieme, non per gradi

Come un ukase con timing di applicazione troppo stretto per gli Stati “cicala” come l’Italia. Ne sa qualcosa Stellantis e ne sanno (sapevano, per fortuna e grazie ai sindacati) gli operai delle società dell’indotto, incluse quelle operative su Cassino Plant, che hanno spuntato un altro anno di lavoro al Mimit.

Ne sa qualcosa un’Italia che ha visto calare la sua produzione industriale così tanto che nel settore automotive per il 2025 e secondo il Sole 24 Ore sono comunque previsti 40mila esuberi e per il cui ossigeno il ministro Urso ha parlato di 750 milioni di euro in 12 mesi o crasherà tutto.

Giano in liquidazione da gennaio

E, sempre restando in tema di carta, ne sanno qualcosa a Fabriano, che della carta è il tempio. Dal prossimo primo gennaio Giano srl, la società madre, sarà in liquidazione. Sta finendo un mondo, e a traino di quella caduta stanno cadendo non solo sistemi produttivi, impalcature sociali e sogni familiari. Stanno cadendo anche i totem culturali del XX secolo, di cui la carta era capo feticcio assoluto.

Già, la carta: prodotta ed arrotolata in grosse, enormi bobine che poi via via, tagliate da macchine a ciclo continuo, diventavano i libri che non leggiamo più (e che non abbiamo mai letto, ma almeno prima li acquistavamo). Oppure i fogli per le fotocopiatrici da Paleolitico Scritturale.

L’odore antico dei quaderni

O ancora i quaderni su cui stilavamo le ricerche scolastiche che non ricerchiamo più, o le agende sui cui scrivevamo appuntamenti che ormai ci ricorda il processore dello smartphone. La carta, quella di Fabriano che alla carta ha detto addio. Addio a quella per fotocopie e per ufficio, e che una manciata di ore fa ha spento per sempre la “storica macchina continua F3”.

Un mondo che muore e centinaia di abitanti di quel mondo che muoiono con esso, 174 per la precisione a Fabriano, che dopo la cassa integrazione straordinaria sono “in attesa di ricollocazione in altri impianti del gruppo”. Sono stati i dipendenti del turno mattutino, gli ultimi dipendenti dell’ultimo turno, a dare lo stop alla macchina. E poi, presi da un magone grosso come una casa, a firmare uno ad uno l’ultimo pezzo di carta di Fabriano.

La firma sull’ultimo foglio

Foto: Can Stock Photo / Focalpoint

L’ultimo di miliardi di fogli che hanno accompagnato le nostre sguinciate preoccupate da ragazzini, quando in attesa di un’interrogazione ed in trance da oblìo notavamo cose assurde. Come quel logo con una F ed una A speculari e conchiuse in un quadrato azzurro sui nostri album da disegno. Roba vecchia, roba da alberi tagliati ed Amazzonia che grida.

Roba che il Green Deal Santo non vuole e fa bene, ma avrebbe fatto benissimo se nel frattempo fosse stata scavata, metro per metro, un’altra via.

Fuori dal giro, e basta

Per non perdere il lavoro, per non vedere un’epoca morire con il sospetto atroce che potrebbe non nascerne un’altra, ma solo un ibrido ipocrita. Un blob meschino in cui chi ha 50 anni e sta fuori dal giro fuori dal giro rimane, amen per lui e per i suoi con la fame degli sconfitti. Sui social i “cartari” dello stabilimento di Rocchetta a Fabriano, prima di andare a fare la fame in attesa di ricollocarsi, hanno scritto: “Si è chiuso l’ennesimo capitolo drammatico di un’eccellenza italiana”.

E l’impressione che a chiudersi invece sia stato tutto il libro è forte. Perché i libri sono fatti di carta che non c’è più, e comunque non li leggeva più nessuno.