Oltre i numeri annunciati ieri: è tempo di ridefinire il perimetro Sin

L'inquinamento cambia volto. I numeri dicono che è possibile una revisione del perimetro SIN. I dati attuali mostrano che i metalli nei terreni sono naturali. È necessario semplificare la burocrazia per favorire lo sviluppo e la tutela ambientale.

Fu giusto dichiarare la Valle del Sacco sito inquinato di livello nazionale. Ma è altrettanto giusto, oggi, riconoscere che il perimetro del SIN non regge più alla prova dei dati. Chiudere gli occhi su questa evidenza significa tradire sia l’Ambiente che l’Economia. C’è questo dietro alla conferenza stampa tenuta ieri nella sede di Unindustria a Frosinone.

Quando il Sin venne individuato le preoccupazioni c’erano ed erano fondate: inquinamento diffuso, pericoli per la salute pubblica, timori per le coltivazioni. Le istituzioni fecero quello che andava fatto: fermarsi, accendere i riflettori, intervenire con forza. Non fu allarmismo. Fu prudenza, necessaria. Ma oggi abbiamo un quadro nuovo.

La natura dei terreni

I dati aggiornati dell’Arpa Lazio parlano chiaro: la presenza di metalli nei terreni all’interno del SIN è sovrapponibile a quella dei terreni esterni. Nessun picco anomalo, nessuna differenza significativa. Si tratta di concentrazioni naturali, non generate da attività industriali. I livelli alti di metalli nel terreno non sono generati da scarichi industriali ma è proprio la natura del terreno ad essere così. La stessa cosa emersa da anni tra Roccasecca e Colfelice nei terreni intorno agli stabilimenti Saf e Mad che lavorano i rifiuti. Cioè?

Se si analizzano i terreni nell’area dei due stabilimenti che lavorano e smaltiscono i rifiuti, i livelli di alcuni metalli sono oltre i limiti di legge. Se si analizzano i terreni prima degli impianti e la stessa cosa. Significa che non è Saf e non è Mad ad inquinare: sono i terreni ad avere quei livelli per loro natura.

Tradotto per l’area SIN: quell’area, se anche poteva destare sospetti allora, oggi non ha più senso nella sua attuale configurazione. È troppo vasta, troppo vincolata, e soprattutto non più giustificata scientificamente.

L’assioma sbagliato

È qui che si rompe un assioma sbagliato: area industriale non è sinonimo di inquinamento. Continuare a pensarlo oggi significa ignorare la realtà dei dati e perpetuare una zavorra burocratica che frena lo sviluppo. È tempo di uscirne.

I vincoli imposti dal perimetro del SIN stanno avendo l’effetto opposto a quello sperato. Le imprese fuggono. Nessuno investe dove le regole sono confuse, le procedure lente e l’incertezza regna. Mentre vecchi capannoni restano vuoti, le attività si spostano altrove, spesso su suoli vergini, fuori dal perimetro. Un paradosso ambientale e industriale insieme. Stiamo consumando nuovo suolo perché è più facile che riutilizzare quello già urbanizzato.

L’Arpa Lazio, con il monitoraggio recente di 150 punti esterni al SIN, conferma che i livelli di metalli nei terreni sono naturali. Solo in rari casi si registrano valori superiori. Il resto è identico a quello che c’è dentro il SIN. Questo significa che la base scientifica per mantenere il perimetro attuale semplicemente non c’è più.

Ripensare tutto

Anche dal convegno tenuto ieri “SIN Valle del Sacco – Valutazioni e prospettive per le imprese”, organizzato da Unindustria Frosinone, arriva un messaggio netto: bisogna ripensare tutto. Serve una procedura più snella, ma soprattutto una nuova mappa. E non per ridurre i controlli, ma per renderli più intelligenti e più giusti. Per tutelare l’ambiente e, al contempo, sbloccare opportunità di sviluppo oggi congelate da vincoli ormai superati.

Il presidente di Unindustria, Corrado Savoriti, lo dice senza giri di parole: l’origine dell’inquinamento fu industriale e lascia capire che fu anche criminale, ma oggi non c’è più quella situazione. Oggi l’inquinamento è antropico. E quei siti industriali vanno recuperati. Continuare a trattare tutte le aree industriali come contaminazione certa è un errore strategico e ambientale. Un esempio su tutti: i nuovi capannoni Amazon hanno dovuto sbancare terreni vergini per non rientrare nel perimetro Sin; invece all’interno del perimetro c’erano tante aree industriali riutilizzabili.

Simonetta Ceraudo, presidente dei geologi del Lazio, sottolinea la necessità di una normativa organica e chiara, che permetta di lavorare su basi certe, soprattutto sui “valori di fondo”. Wanda D’Ercole, della Regione Lazio, ha ricordato come molti interventi siano bloccati da ricorsi, burocrazia, difficoltà di accesso alle aree. Le risorse ci sono. Ma non bastano se non si ha il coraggio di semplificare.

Fine delle denunce

Il tempo delle denunce e delle etichette automatiche deve finire. Serve una mappatura scientifica, realistica, aggiornata. Serve il coraggio di dire che non tutto il SIN è ancora tale. Che l’ambiente si tutela con intelligenza, non con la burocrazia cieca. E che rilanciare i territori passa anche dal sapere correggere le scelte, quando la realtà lo impone.

Oggi è quel momento.