Il Centro stenta a recuperare i livelli di ricchezza pre-pandemia. L'analisi di Svimez rivela una crisi economica profonda nelle regioni centrali. Il caso del Lazio. La sua deindustrializzazione. La fine delle multinazionali. La soluzione della Termoli-San Vittore. E la mancanza di una strategia a lungo termine.
Il Pnrr ha fatto bene al Nord del Paese e pure al Sud: il Centro arranca, fatica a tornare ai livelli di ricchezza che produceva prima dell’ondata di Covid. Numeri alla mano: il Pil (la ricchezza prodotta dal sistema economico di un territorio) di Nord Est e Nord Ovest oggi è superiore al periodo pre pandemia. Il Sud si sta scuotendo e si iniziano a vedere i risultati: anche lì il Pil è superiore a quello degli anni passati con la mascherina. Il Centro non si è ancora ripreso. Fatica.
A dirlo sono le analisi di Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno. I numeri hanno messo in luce una crisi profonda che colpisce non solo le regioni centrali, ma anche l’intera struttura economica italiana.
Arretramento Storico
Il Centro Italia, che comprende regioni come Lazio, Toscana, Umbria, Abruzzo e Marche, non è riuscito a recuperare i livelli di Prodotto Interno Lordo (PIL) pre-pandemia, a differenza del Nord e del Sud. Questo divario è il risultato di un processo di deindustrializzazione iniziato anni fa, che ha colpito in modo più severo le aree interne del Centro.
Un esempio lampante è il Lazio, che è passato dal 34° all’85° posto in Europa per reddito pro capite in soli vent’anni. Non ha attecchito il sistema industriale che venne trapiantato negli anni Settanta con la Cassa per il Mezzogiorno. Molte di quelle multinazionali sono andate via. Molte non si sono aggiornate e sono crollate. Colossi come Videocolor (i francesi di Thomson) si sono ritirati, l’Automotive non è più il pilastro intorno al quale costruire quasi la metà dell’economia nella provincia di Frosinone. Sono nati altri poli: l’aeronautico ed elicotteristico, la logistica avanzata, il chimico farmaceutico.
C’è una transizione in atto. Che però ha bisogno di un progetto, una visione a ungo termine, un’agenda industriale nazionale. (Leggi qui: Farmaceutico ok, Aerospazio in frenata: i dati export del trimestre. E leggi anche La strada da imboccare se si vuole salvare l’area Stellantis).
La Crisi del Lazio
In questa fase, analizza Svimez, il Lazio sta affrontando difficoltà crescenti. L’ultimo rapporto di Bankitalia sull’economia della regione mostra un calo dell’attività industriale e una riduzione delle esportazioni reali, che sono tornate ai livelli del 2019. Nonostante un incremento degli investimenti pubblici, in gran parte grazie al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) e ai fondi del Giubileo, questi rimangono inferiori ai livelli pre-crisi finanziaria del 2008.
Qui però è indispensabile non commettere un errore. Lo stesso compiuto su scala Europea quando è stato deciso di escludere il Lazio dai benefici delle aree ad Economia Semplificata Zes. E cioè: se si analizza il Lazio nel suo insieme ne esce un quadro falsato. Distorto dai fondi che prende Roma per il Giubileo. Perché se si esclude la capitale, il resto del Lazio ha un profilo profondamente diverso: fatto di enormi potenzialità industriali e capacità di ricerca e sviluppo grazie ai poli universitari. Ma per vedere quel profilo occorre escludere per un attimo Roma. Cosa che l’Ue e Bankitalia non hanno fatto nelle loro analisi.
Le grandi imprese multinazionali, che giocano un ruolo cruciale nell’economia locale grazie alla loro elevata produttività e ai salari superiori alla media, stanno riducendo la loro attività. Sono rimaste in poche. Perché produrre nel Lazio risulta meno conveniente che in altre località d’Italia: i tempi di rilascio delle autorizzazioni sono più lunghi, la fiscalità è alta. E soprattutto non c’è un piano che assicuri la stabilità dei costi dell’energia a disposizione delle imprese.
Questo è un segnale preoccupante, poiché queste aziende contribuiscono significativamente al PIL regionale e offrono stipendi più elevati, rendendo la loro presenza fondamentale per la stabilità economica della regione.
La Crisi Demografica
Parallelamente anche le altre regioni del centro come Umbria, Toscana e Abruzzo hanno subito un declino simile. Evidenziando un problema strutturale che sembra destinato a peggiorare nel prossimo futuro.
Tra le regioni centrali, l’Umbria rappresenta un caso particolarmente preoccupante. La regione ha sperimentato un drastico calo demografico, con una perdita di 4,5 abitanti ogni mille residenti dal 2014, molto al di sopra della media nazionale di 2,5. Questo fenomeno ha avuto un impatto diretto sul PIL pro capite della regione, che è diminuito del 12,4%, mentre altre regioni europee comparabili hanno visto un aumento del 7,5%.
La situazione del Centro Italia è diventata così grave che alcuni esperti parlano di una “meridionalizzazione” di queste regioni, che si stanno avvicinando al Sud in termini di problematiche economiche e sociali. Tuttavia, a differenza del Mezzogiorno, che ha beneficiato di politiche di sviluppo mirate come la Zes unica e i fondi europei, il Centro Italia non ha ricevuto lo stesso livello di attenzione.
Un Piano per il Futuro del Centro Italia
La risposta per rilanciare il Centro? Unindustria Lazio e Confindustria Abruzzo sottolineano la necessità di migliorare le infrastrutture per stimolare la crescita economica del Centro Italia. Questo include il rafforzamento delle connessioni tra i due mari, Tirreno e Adriatico e lo sviluppo di una rete logistica integrata che colleghi le regioni centrali con il resto d’Europa. Una storia che va avanti dalla metà degli Anni 80 con il progetto mai realizzato della San Vittore – Termoli. Qualche speranza arriva dal recente prolungamento del Corridoio Mar Baltico-Mar Adriatico fino a Bari: offre un’opportunità unica per connettere meglio il Lazio e l’Abruzzo, stimolando le sinergie tra i rispettivi tessuti produttivi.
La soluzione alla crisi del Centro Italia passa per un piano di sviluppo mirato che includa investimenti nelle infrastrutture, supporto alle imprese locali e iniziative per contrastare la denatalità. In agenda è indispensabile inserire tra le priorità due voci: la tutela del manifatturiero in Italia, la tutela dell’energia: sono i due argomenti che la settimana scorsa hanno evidenziato il presidente di Unindustria Cassino Francesco Borgomeo ed il commissario del Consorzio Industriale del Lazio Raffaele Trequattrini. (leggi qui: La strada da imboccare se si vuole salvare l’area Stellantis).
Ma è proprio quell’agenda strategica a mancare.