Quello che neanche il rapporto Draghi dice sull’automotive in crisi

Tutti, o quasi, i fattori di scala ampia che stanno determinando il crash del mercato e la crisi occupazionale, anche a Piedimonte, che ha annunciato un nuovo stop dal 30 al 6 novembre

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Prendiamo quel che dice un docente universitario d’ambito, poi quello che pensa la Gen-Z del suo futuro ed infine quello che sta facendo Stellantis con l’automotive. Ecco, adesso proviamo a schakerare il tutto. Quel che viene fuori non è necessariamente un beverone nuovo, ma di certo è un calice amarognolo. A cui , anche al netto di gradazioni sbagliate, dovrem(m)o fare tutti la bocca. In un suo esaustivo articolo su Il Foglio Stefano Cingolani nei giorni scorsi fa parlare il professor Sergio Savaresi, docente al Politecnico di Milano.

Che dice: “Fra 30 anni non avremo più auto di proprietà. I nostri nipoti forse nemmeno prenderanno la patente. Avremo più tempo libero, meno inquinamento. Avremo città a misura di pedoni e di biciclette elettriche”.

“Fra 30 anni niente più auto private”

E la Gen-Z? A cosa mettono spunta prioritaria i giovani di oggi che tra dieci anni saranno (auspicabilmente) inseriti nel sistema complesso produttivo ed economico italiano? Non certo e non più all’auto. Non la comprano subito ed a volte non la comprano affatto. E i dati dicono che in Italia l’età in cui si prende la patente sta gradualmente migrando in avanti. Insomma, oggi un 18enne non considera la patente come il “suggello” della sua maggiore età. E non considera più l’auto il coronamento di un sogno su cui ha maledetto la sua anagrafe per tutta l’adolescenza.

Perché? Non è solo sociologica, la spiegazione: semplicemente in famiglia non ci sono i soldi per comprarla, quell’auto, specie se una 500 elettrica arriva a costare quasi 30mila euro. Perciò uno si abitua ed alla lunga le priorità cambiano.

Il mondo sta cambiando e l’Italia non sta certo fuori dal recinto, anzi. Adesso prendiamo Stellantis, che tra l’altro in 3 anni da noi ha briscolato via 10mila posti di lavoro ma che ha distribuito 16,4 miliardi di dividendi societari.

Cassino Plant, un altro stop

Francesco Giangrande (Uilm), Donato Gatti (Fiom-Cgil), Mirko Marsella (Fim-Cisl)

E magari stringiamo il focus ed arriviamo a Cassino Plant, dove l’azienda ha comunicato agli operai dei siti di Piedimonte San Germano “una fermata produttiva per i giorni 31 ottobre, 4 e 5 novembre per l’unità montaggio, verniciatura e lastratura”. Cioè, a contare Ognissanti, dal 30 ottobre e fino al 6 novembre tutti a casa. Mirko Marsella, segretario provinciale Fim Cisl, non è stupito. “Non è una novità e ci saranno ulteriori fermate da qui ai prossimi mesi – ha spiegato a Ciociaria Oggi – perché i dati delle vendite delle autovetture dicono questo. La situazione è drammatica e al momento non si vede neanche la luce in fondo al tunnel.

C’è un comune denominatore a tutto questo? Parrebbe proprio si sì, o quanto meno c’è la possibilità di dare alla crisi dell’automotive una lettura più sistemica. Che non trascuri le cupe realtà territoriali ma che dia una chiave di lettura univoca a quello che sta accadendo.

Cina davanti, come l’Italia a fine ‘800

Foto © Johnathan Nightingale

Innanzitutto da un punto di vista storico. Cingolani cita gli economisti ed il paradigma del vantaggio dell’ultimo arrivato. E’ quello che sta facendo le fortuna del player che sta a metà tra salvezza ed universo a sé nell’automotive elettrico: la Cina.

Il Dragone è stato pioniere nel settore, ma ha anche avuto la possibilità di fruire di un vero “modello integrato”, nuovo di pacca e tutto inside, visto che ogni step è indigeno. “Terre rare, batterie, auto. Come mai? Perché sono abituati a pensare a lungo termine? Anche, ma soprattutto perché sono partiti da zero.

Un po’ come Germania ed Italia a fine ‘800 o Giappone a fine del secolo scorso con Daimler, Fiat e Toyota, solo che oggi i dinosauri siamo noi. In Europa il mercato è antico, è saturo da miriadi di offerte che vanno in competizione di modelli pressoché eguali.

Di tigna e motori endotermici

Luca De Meo (Foto: Olivier Martin Gambier / Imagoeconomica)

E lo scoglio del motore endotermico continua a resistere ai marosi del futuro che arriva ed è presente. Sull’ibrido Stellantis si è fatta trovare in mood retrò ed ora l’azienda bascula tra paleo-termico che non vuole più nessuno e recintato dalle apodittiche legislazioni Ue, ed elettrico, Che però e come sempre ci vede a corto di infrastrutture e logistica. Dove la ricarichi un’elettrica in Italia senza rischiare di restare a piedi dopo non moltissimi chilometri?

Il Foglio cita Luca De Meo, “che da Fiat è passato per la Volkswagen e la sua dependance spagnola Seat e ora guida Renault”. E con lui la “caduta degli dei” che automobilisticamente credevano in un dogma assoluto. Fare sei milioni di vetture all’anno, come stava scritto nell’agenda di Sergio Marchionne, non è più la strada giusta.

Il “fu” dogma di Marchionne

Foto Tiberio Barchielli © Imagoeconomica

Il dato sta tutto nei fatturati, e quindi nelle utility ad investire e tenere di conseguenza alto il range occupazionale ed economico dei territori dove si va a produrre. “Dall’auto di massa si può spremere solo poco, l’auto d’élite o di nicchia ha un valore aggiunto ben superiore”. E qui scatta un altro meccanismo che penalizza Stellantis. Per seguire le nuove rotte “Volkswagen impiega circa 700 mila dipendenti e costruisce quasi 9 milioni di vetture”.

E Stellanis invece? Ecco, lì lavorano 250 mila persone “e producono sei milioni di veicoli. Le auto elettriche o di lusso rappresentano meno di un terzo del loro giro d’affari”. Il che pone il problema di trovare un mercato per quel che avanza, e non è poco. Questa a parere di Cingolani “è la domanda alla quale nessuno trova una risposta, nemmeno il rapporto Draghi”.

E ancora: “Si possono (anzi si devono) mettere sott’accusa per i loro errori Oliver Blume, il big boss di Volkswagen-Porsche, e Carlos Tavares, ma né i sindacalisti né i politici sanno cosa fare”. E a nulla serve la “ammuina borbonica” che la classe politica italiana ha messo in piedi in occasione dello sciopero-manifestazione di Roma e dei suoi cascami (esclusivamente) mediatici e di appeal partitico.

La politica che fa solo “ammuina”

Carlo Calenda e Alessio D’Amato (Foto: Paola Onofri © Imagoeconomica)

Qui da noi manca chi di automotive ne capisca al punto tale da regimentare nuove rotte di massimo rango ed abbondano quelli che capiscono che con Stellantis in crisi l’endorsement di consenso scatta subito. Ma non per risolvere a medio termine, piuttosto per vampirizzare un gallone di sangue da quella prostrazione di comparto. Certo, spiega Cingolani, ci sarebbe Carlo Calenda, “unico ad avere una qualche esperienza nel mondo dell’auto. Anche se è rimasto legato a quel che la Fiat poteva essere e non è diventata. Il resto è cacofonia, rumori fuori scena”.

Ed alla fine perfino le iperboli sci-fi ma non troppo del professor Savaresi sembrano più obiettive, perché se in certe cose non arriva la medicina official poi lo sciamanesimo millenarista irrompe. E pensare che alla fine, pian piano ma non troppo, ci libereremo delle nostre auto magari è eccessivo.

Ma non al punto da non far percepire ai grandi decisori che sì: siamo ad un bivio. E che come al solito l’Italia ci è arrivata senza un navigatore.