Il viaggio di Meloni in Cina, la nuova Via della Seta e Dongfeng che potrebbe perfino usare Cassino come piattaforma di export
Poco da fare: il Tavolo nazionale dell’Automotive del 7 agosto scorso era una deadline, forse non ce lo siamo detti abbastanza. La linea oltre la quale, ad un summit che ha visto squadernate anche le sorti di Stellatins-Piedimonte San Germano, l’automotive italiano dovrà cambiare faccia e rotta. Oppure trovare una soluzione-pannicello, la solita di questi tempi agostani fatti di propositi e fermo produttivo, che però ha una variante obbligata. (Leggi qui: Stellantis e Governo ad alta tensione: “Noi abbiamo rispettato gli impegni…”).
E’ quella cinese, che ormai fonda non solo sulle analisi retrospettiche per ingannare il tempo mentre migliaia di operai si interrogano sul loro affamato futuro. No, quella Via della Seta prima fustigata, poi riaperta da Giorgia Meloni, potrebbe avere molto a che fare con le sorti dell’automotive italiano e, per converso, con quel che Carlos Tavares ha in mente sul medesimo. E non paiono pensieri felici, quelli del ceo lusitano di Stellantis.
Le paure di Palombella della Uilm
Recap: la produzione del termico è sotto il minimo consentito, quella dell’elettrico non è focale, come target e come sistema, ad una surroga importante. Probabilmente qui da noi non lo sarà mai. Emblematico il caso raccontato dal gruppo City News e che viene da Palermo: 35 bus elettrici finanziati con i fondi del Pnrr, consegnati in tempi rapidi dal costruttore turco e fermi in garage perché mancano le colonnine con cui ricaricarli. (Leggi qui).
E i sindacati hanno “solo” preso atto del dato per cui tra il ministro di specie Adolfo Urso ed i vertici Stellatins ormai ci sia un gelo che difficilmente sfocerà in soluzione empirica. Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, l’aveva messa meglio di tutti. Parlando di “nuovi dubbi e con una preoccupazione molto evidente. La preoccupazione che in questi mesi abbiamo percepito è diventata reale: quella di una spaccatura, di uno scontro tra Stellantis e il Governo”.
E non ci vuole la palla di vetro per capire che dove ci sono scontri non ci sono soluzioni. Non dove invece servirebbero “palle di ferro” per superarlo, quello scontro. Cassino Plant è realtà legata a questa situazione fragile ed ondivaga, sottoposta ad un fermo produttivo forzoso che sa di resa autunnale. Ecco, è in questo scenario che si inseriscono i cascami operativi del viaggio di Giorgia Meloni a Pechino.
La valigia di Meloni dopo Pechino
E quel che trapela ha un nome evocativo e rivoluzionario al contempo: Dongfeng. Cioè un colosso cinese statale che potrebbe insediarsi in Italia a seguito degli strusci della premier con il mega sistema complesso tenuto a briglia da Xi-Jinping. Insomma, c’è un Memorandum, c’è una casa del Dragone che vorrebbe usare l’Italia come piattaforma di esportazione europea e c’è la realpolitik che prima o poi ti mette sotto scacco rispetto ai tuoi intenti concettuali.
Quelli per i quali l’accordo siglato da Giuseppe Conte nel 2019 era roba da coriandoli stracciati che però oggi dovrai ricomporre come un puzzle, frammento per frammento, una goccia di colla alla volta. E c’è anche la prospettiva, legata al fatto che Dongfeng con Stellantis c’entra e come, per cui Tavares possa decidere di utilizzare proprio Cassino Plant come spot pilota per questo nuovo inizio. E’ un’ipotesi, sia chiaro, ed è aleatoria, ma le cose oggi stanno così: si suppone in attesa che qualcuno faccia.
Dongfeng che salverebbe capra e cavoli
Il ceo lo farebbe togliendosi dai carboni ardenti di un braccio di ferro con Palazzo Chigi ed al tempo stesso facendo impresa (che poi faccia anche occupazione e Pil nazionale è sempre dato accessorio). Ma come? Ed in che modo Dongfeng avrebbe voce in capitolo con Stellantis? Semplice, ne è azionista per l’1,5%, come spiega Mario Seminerio su Il Foglio. “Conseguenza della ricapitalizzazione di Psa Peugeot Citroën a cui partecipò nel lontano 2014”.
Quindi, riassumiamo: abbiamo una fabbrica franco-olandese che produce anche in Italia e che in Italia è in modalità “remi in barca”. Abbiamo una fabbrica cinese che vorrebbe produrre in Italia e che in Italia vede l’opportunità di un “avanti adagio”. Ed abbiamo in Italia, nella fattispecie un governo italiano, che potrebbe utilizzare skill geopolitiche “mandarine” per risolvere un rebus occupazionale e produttivo che sul suo groppone pesa come ghisa.
Lo smacco Comau e il blitz di Oep
Un governo che dopo che il fondo One Equity Partners (Oep) aveva acquisito la maggioranza del colosso Comau e messo Stellantis in angolo, starebbe “valutando l’esercizio del golden power”. Cioè di uno slancio protezionista necessario che, proprio perché così cruciale, non dovrebbe vederlo neanche col binocolo, il condizionale. Anche perché il lessico dell’attuale crisi non è solo possibilista e su uno scenario che resta aleatorio. No, è anche farcito da elementi che quello scenario lo rendono difficile assai.
Quali? Ad esempio il dato per cui non vi è affatto certezza che Tavares sia disposto a cedere a Dongfeng un impianto Stellantis attivo. Anche al netto della mezza golden share societaria dei cinesi e del miele riportato da Meloni dopo Pechino. Poi perché il problema è di macro area, nel senso che Urso punta a spingere Stellantis a produrre un milione di veicoli a fronte dei 300mila attuali. Ed è evidente che un singolo innesto produttivo sarebbe cerotto e non cura.
Il setaccio Ue contro gli “stranieri”
Senza contare poi che esiste il Foreign Subsidies Regulation (Fsr) dell’Unione Europea a fare da potenziale ostacolo. Cioè il deliberato che “consente alla Commissione di contrastare le distorsioni causate al mercato unico da sussidi esteri che possano rappresentare un cavallo di Troia rispetto alle regole della concorrenza”. Con una società statale cinese e con l’attuale composizione politica di Bruxelles l’ostacolo potrebbe essere insormontabile. A questo punto le incognite di secondo livello diventano quasi accessorie: se cioè si tratterebbe di un impianto di assemblaggio o di produzione.
O se si sta davvero parlando di quello che in gergo viene chiamato brownfield. Cioè un ambito operativo che preveda la “ristrutturazione o riconversione di qualcosa già esistente”, il che metterebbe anche Cassino Plant in pole per questa mission. Servirebbero poi degli azionisti, e qui la cernita-offerta dovrebbe prevedere un protocollo a tre tra Roma, Pechino ed Amsterdam. Sì, ma con quali quote e con quale margine di ingaggio per i singoli partner?
Cosa chiede Federmeccanica sull’indotto
Federmeccanica chiede da tempo di “favorire i produttori italiani di componentistica, che si trovano in affanno causato dalla filiera tedesca del motore termico”. Tuttavia resta il nodo irrisolto della compatibilità operativa degli stessi, se si vuol fare economia di scala per il territorio nazionale. Seminerio è obiettivo nel chiosare: “Il ministro Urso è troppo abile per usare questi spifferi agostani come tattica negoziale con Stellantis”.
Lo è “perché sa che proprio il mismatch di tempi potrebbe offrire a Tavares l’assist per accelerare il disimpegno. E a quel punto sarebbero dolori seri per la nostra produzione industriale di veicoli a motore”.
La via polacca e Meloni nei guai
Il che rimanda tutto ad un solo scenario, che è politico e plausibile ma non empirico ed industriale in purezza. Se Tavares di smarcasse dall’Italia con un “leap” elettrico in Polonia e se i cinesi mollassero la presa su Roma allora per Meloni sarebbero guai da mid-term.
Perché dovrebbe intestarsi il più grande fallimento industriale degli ultimi 30 anni. E mai come oggi, con la sua maggioranza che peppia e con un Pd in stato di (transitoria) grazia in punto di omogeneità, la premier questo non se lo può proprio permettere.