
Chiacchiere e due distintivi separati: quelli di Inps ed Inl che non sono parificati in trattamento. Con un piano mai realizzato
La dimostrazione sta tutta nel fatto che i dati sul tema sono confusi, a volte contraddittori. E che le stesse homepage degli enti preposti spesso non sono aggiornate oppure presentano pagine desolate e semivuote. Funzionali ma inutili. D’altronde non lo chiamerebbero sommerso, o lavoro nero, anche se questa veste criptica, quasi ctònia, di certo non giustifica carenze così abissali e su temi così cruciali.
Perché “temi”, cioè al plurale? Perché lavoro nero e morti sul lavoro sono realtà strettamente connesse. Realtà indegne di un Paese civile che ogni santo giorno si scopre idrofobo nelle sue polarizzazioni politiche ma inerte nell’applicazione di quelle ricette spesso urlate sui social.
Lazio e Frosinone non stanno messi bene

Tanto per fare un esempio nostrano recente ma non troppo: nel 2022 il Lazio registrò oltre 70 incidenti mortali sul lavoro. La regione totalizzò l’8,9% del totale degli infortuni registrati dall’Inail. E la provincia di Frosinone si prese una ben poco meritoria maglia nera al netto mesto di 14 infortuni mortali su un bacino di occupati che sforava di poco da 168 mila unità. Ciociaria, Cassinate e Valcomino erano sesti a livello nazionale, con un’incidenza pari all’83,2%.
Diamo una chiave di lettura: da un punto di vista queste sono ore concitate, per l’Italia: governo alle prese con i casi Giuli-Spano e con quelli degli spioni, elezioni regionali in Liguria per capire quale alchimia andrà a corroborare la baldanza di partiti e schieramenti.
Legge di Bilancio tra sacrifici che speravamo fossero cassati e pezze a colori per esorcizzarne gli aspetti più esosi. Tutto come da programma e per certi versi tutto giusto, tuttavia c’è qualcosa di più che una semplice impressione in questo meccanismo. Che cioè in Italia quelli del sommerso e delle morti bianche siano temi che emergono solo quando si sono episodicamente manifestati i loro effetti. Effetti tragici in molti casi e chiari indicatori di un malessere sociale in moltissimi altri.
Il falso paracadute della Zes

In provincia di Frosinone i dati reperibili dicono che tre persone e mezzo in media, ogni anno, per guadagnarsi da vivere, finiscono per morire, e che il Lazio ha circa 360mila occupati non regolari. Parliamo di più o meno 14 lavoratori in nero ogni 100 in regola. Tutto questo determina un plusvalore da lavoro non regolare che è pari al 4,5% del valore complessivo dell’economia regionale. In Italia il lavoro nero vale 68 miliardi di euro e centinaia di morti ogni anno.
Ed il 35% di questo viene dalle regioni del Sud, quelle che adesso sono sotto cappello della Zes unica. E che quindi dovrebbero beneficiare di incentivi fiscali tali da imprimere una robusta retromarcia alle situazioni equivoche. Ma non è così. Ci sono 3 milioni di persone che lavorano in nero ed un comparto che attende regolamentazioni chiaramente indicate nel Pnrr.

Anzi, che attendeva, visto che su questo fronte non si è fatto nulla. La prima strada solutoria è quella delle ispezioni e proprio il Pnrr mette la spunta a due voci specifiche per raggiungere questo incremento. A suo tempo fu proprio la Commissione Europea ad essere molto chiara e rigida sul punto in cui stanno in endiade sommerso e morti bianche. Il Piano era stato modificato in corso d’opera per coprire proprio alcune falle di intervento e la revisione quasi totale delle sue voci aveva portato alla creazione di sacche da cui attingere fondi a tema.
E’ successo? Pare proprio di no.
Due target e 5 scenari: su carta

A fronte di due target di base e cinque protocolli operativi non si registrano ancora “messe a terra” dei fondi necessari. I primi due, elencati nei giorni scorsi da Il Foglio, sono quelli cardinali: “Raccolta di dati granulari sul lavoro sommerso e misure per trasformare il lavoro sommerso in lavoro regolare”. Il tutto con cinque “azioni” precise, “per favorire l’impiego regolare di lavoratori stranieri in agricoltura attraverso il contrasto agli insediamenti abusivi”.
Target economico finale? Bellobellissimo ma aleatorio allo stato dell’arte, al limite del fantascientifico. E cioè “aumentare, entro il secondo trimestre del 2025, il numero di ispezioni sul lavoro del 20 per cento, rispetto alla media del numero di ispezioni nel biennio 2019-2021. E generare una diminuzione dell’incidenza del lavoro sommerso di due punti percentuali, entro il primo trimestre del 2026”. Ovviamente per scatenare un’offensiva del genere servono “truppe”.
Più truppe per l’Ispettorato, ma…

Cioè il rafforzamento dell’organico dell’Ispettorato nazionale del lavoro. Vale a dire il solo organismo deputato ad operare sui casi di specie. Si punta(va) all’assunzione “di 2.555 nuovi dipendenti (a fronte di un organico attuale effettivo di 4.027 unità)”. Problema risolto? No, affatto, perché malgrado i concorsi non si riesce ad assumere il personale necessario. Perché? Semplice ed aberrante al contempo, cioè molto italiano: l’unificazione delle figure e degli ambiti è ancora un problema. Spieghiamola partendo dal dato di base per cui dopo l’ultimo concorso è stata assunta la sola metà dei posti disponibili.
Accade che per gli ambiti di riferimento – salute e sicurezza sul lavoro e evasione contributiva – ci siano posizioni retributive e protocollari diverse. E che Ministero del Lavoro, Inl e Inps siano su un mezzo ring dal 2015 per unificarle e parificare gli stipendi. Tradotto: essere ispettore dell’Inps è molto più remunerativo che essere ispettore dell’Inl, perciò ci sono molti 007 previdenziali e pochi investigatori del sommerso e di ciò che spesso il sommerso fa alle vite umane.
Meglio l’Inps che l’Inl, pagano di più

E c’è un particolare fondamentale: con delega di Pg possono agire per Inl anche Carabinieri e Gdf, ma solo a denuncia fatta oppure dopo che la tragedia si è compiuta. Cioè che con qualche poveraccio ormai già stritolato da una benna, schiacciato da un bancale o cotto in un campo a 40° Celsius. C’è una norma che salverebbe la forma ma ammazzerebbe la sostanza ed è proprio in pacchetto: è quella che “prevede che le ispezioni debbano essere preannunciate alle aziende 10 giorni prima”.
Cioè telefonando in pratica al responsabile delle irregolarità la sua via d’uscita per nasconderle. In tutto questo ha davvero importanza chi abbia vinto in Liguria o chi voglia attentare all’eunomia presunta (molto presunta) del governo di Giorgia Meloni?
La differenza tra progresso e civiltà sta in pochi ma basilari fattori, ed il lavoro come viatico di sostentamento del singolo e del benessere economico di sistema è uno di questi. O almeno dovrebbe esserlo. Magari con meno spunte false in agende che poi finiscono nei cassetti. Di tutti.