Il non candidato Zingaretti: «Non mi candido ma no al rinvio delle elezioni»

ERNESTO MENICUCCI per IL CORRIERE DELLA SERA

«Se si vota a giugno nella Capitale? Assolutamente sì, il rinvio delle elezioni non è all’ordine del giorno». Alle cinque del pomeriggio Nicola Zingaretti, governatore del Lazio, sorseggia un thé a piazza San Silvestro, due passi dal Nazareno. È «reduce» dalla giornata giubilare, «più infreddolito che stanco», ma soprattutto parla di Roma, del dopo-Marino, del «suo» Pd.
A Roma c’è una «sospensione della democrazia», come dice l’ex sindaco?
«È una fase di passaggio tra una crisi politica e il ritorno del suffragio diretto…».

Eppure all’apertura della Porta Santa lei era l’unico rappresentante delle istituzioni eletto dal popolo..
«Può capitare, visto che si vota direttamente solo per il sindaco e il presidente di Regione. Ma non sono l’unico: ci sono anche i presidenti dei Municipi romani…».

Qual è il messaggio di questo Giubileo?
«Bisogna mettere al centro il messaggio del Papa: misericordia, coraggio, il non avere paura. Si è pensato troppo al Giubileo come ad un problema, invece è una grande opportunità per affermare i valori di pace e fratellanza di cui abbiamo bisogno».

Marino l’ha più sentito?
«Sì, dopo le dimissioni. Credo che rimanga una risorsa, un punto di vista che deve trovare accoglienza. Dobbiamo rimettere in campo un processo unitario».

Con quale formula?
«Il centrosinistra esiste in Regione, nei Municipi. Andare divisi sarebbe l’ennesimo, tragico, errore. E rischieremmo di non andare neppure al ballottaggio».

E come la mettete con Stefano Fassina, candidato di Sinistra italiana, secondo cui la caduta di Marino rappresenta un «vulnus»?
«È una ricostruzione che guarda al passato. La risposta che va data su Roma riguarda il futuro».

Ma i 19 consiglieri piddini che si dimisero sono degli «accoltellatori» oppure no?
«Le recriminazioni sarebbero un suicidio. Il dibattito deve salire di livello. Il mio contributo è l’aver preso una delle peggiori Regioni e averla portata ad essere prima come crescita del Pil, consumi interni e lavoro come ha certificato l’Istat».

Primarie di coalizione?
«Innanzitutto, la coalizione. Poi, certo, le primarie ma non chiuse ai soli partiti».

Il Campidoglio per lei è un discorso chiuso?
«Appartiene al passato. Ma la mia non è una fuga dalle responsabilità: il mio apporto è dimostrare che esiste un’alternativa al cattivo governo».

Teme l’avanzata di M5s?
«Dovrebbe essere l’Italia a temerla, per gli accenti di integralismo e semplificazione».

È diventato renziano?
«Siamo persone diverse per cultura, storia, carattere. Ma tra noi c’è stato un confronto positivo e sincero. Io, con lealtà, credo che Renzi rappresenti un’innovazione utile ed in sintonia con la voglia di cambiare dell’Italia».

Il 12 dicembre sarà alla Leopolda? O dai bersaniani?
«Da nessuna delle due parti. La Leopolda è una positiva apertura verso l’esterno ma mi chiedo: perché nei primi mesi del 2016 non organizziamo un’iniziativa unitaria del Pd?».

Il doppio ruolo di Renzi è un problema?
«Io non lo vedo. Ma bisognerebbe anche girare la domanda: cosa deve essere il Pd? Su questo una riflessione mi sembrerebbe più che opportuna».

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Corriere della Sera