Acqua, cercasi giudice disperatamente

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CESIDIO VANO per LA PROVINCIA QUOTIDIANO

«Stiamo valutando il provvedimento emesso dal Tar e come comportarci di conseguenza». Nello Studio legale Forte di Arce, si soppesa la sentenza n. 212 depositata lo scorso 4 aprile con cui il Tar del Lazio, sezione di Latina, si è dichiarato non competente sul ricorso, presentato da 19 utenti del servizio idrico, con cui si contestava l’errata o omissiva applicazione, da parte del gestore idrico e dell’Autorità d’ambito, del provvedimento con cui il commissario ‘ad acta’ ha provveduto revisionare le tariffe dal 2006 al 2011, riconoscendo ad Acea Ato5 spa l’ormai noto conguaglio da 75.180.000 euro.

In sostanza, i giudici amministrativi hanno ritenuto che – poiché con il ricorso: si chiede di accertare l’illegittimità dell’addebito dei conguagli riscossi in bolletta dall’Acea Ato 5, si contesta l’ammontare degli stessi e si pretende la restituzione di quanto già versato – tale tipologia di controversia, rientrando tra le questioni riguardanti indennità, canoni e altri corrispettivi, appartenga alla giurisdizione del giudice ordinario.

A questo punto, se i ricorrenti sono intenzionati ad insistere nelle loro pretese, si aprono due possibili scenari: rinnovare il ricorso davanti alla magistratura ordinaria indicata dal Tar quale giudice competente (ma non è detto che, esaminata la domanda, questo giudice condivida l’orientamento del Tar); oppure impugnare davanti al Consiglio di Stato la decisione di magistrati di Latina, insistendo nella competenza del giudice amministrativo sulla domanda formulata. In entrambi i casi, però, si rischia di perdere ulteriore tempo, prima di capire effettivamente quale autorità giudiziaria abbia cognizione nella materia sollevata.

Infatti, il tema posto all’attenzione del Tar, tramite l’avvocato Mario Forte, partiva dall’assunto che, da una parte, la Segreteria tecnico-operativa dell’Ato 5 non aveva dato correttamente esecuzione alle sentenze del Tar Lazio in merito al riconoscimento ad Acea Ato5 dei 75 milioni di euro di conguaglio, consentendo così, dall’altra parte, allo stesso gestore di caricare in bolletta, in modo però illegittimo, il recupero di quelle somme.

Al Tar si chiedeva di accertate le illegittimità e irregolarità nell’operato della Sto e dichiarare l’insussistenza degli atti che autorizzano Acea a farsi rimborsare direttamente dagli utenti.
Il ricorso, a dirla tutta, era già partito con un primo pastrocchio: era stato iscritto a ruolo come causa d’ottemperanza, quando invece, come poi chiarito in camera di consiglio, voleva essere un giudizio a rito ordinario.

In particolare, la competenza del giudice amministrativo si riteneva legata alla prospettata illegittimità della mancata definizione, da parte della Segreteria tecnica operativa dell’Aato degli strumenti, dei meccanismi e degli importi finalizzati al riconoscimento delle partite a conguaglio deciso dal commissario ‘ad acta’; dell’illegittimità della mancata osservanza da parte della Segreteria Tecnica operativa delle disposizioni di cui agli articoli 3.3., 3.4. e 3.5 della determina con cui era stato deciso il conguaglio; dell’illegittimità di ogni atto materiale o formale attraverso il quale Acea Ato5 ha addebitato agli utenti, e quindi anche ai ricorrenti, conguagli tariffari relativi al servizio idrico per gli anni 2006 – 2011 senza che fossero assolti gli obblighi di cui all’indicata determina; dell’illegittimità dell’addebito degli interi conguagli tariffari 2006-2011 arbitrariamente desunti da detta determina del commissario ad acta anche agli utenti che hanno attivato il servizio durante o dopo il periodo oggetto di conguaglio.

Secondo le indicazioni del commissario, infatti, mettere a carico degli utenti il pagamento dei 75 milioni doveva essere l’ipotesi più remota. Prima, la Sto e l’Ato5 avrebbero dovuto svolgere tutta una serie di attività, verifiche e intese capaci di soddisfare il credito riconosciuto ad Acea e, nel contempo, non farlo gravare direttamente sulle bollette. Tali attività – come abbiamo già più volte qui scritto – erano anche state avviate dalla precedente dirigenza della Sto, ma furono poi bocciate dai sindaci della Consulta, non disponibili a soluzioni che – come quella proposta – intaccavano le economie sui canoni concessori, cioè soldi che dovevano essere versati ai Comuni. Passò la logica del: meglio far pagare i cittadini che rivedere i bilanci e nacque l’Acea ‘esattore’ dei Comuni.

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