Il doppio (e qualche volta triplo) gioco dei sindaci con Acea

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STEFANO DI SCANNO per L’INCHIESTA QUOTIDIANO

Gli amministratori sfilavano per le strade inneggiando all’acqua pubblica insieme ai comitati e, intanto, inviavano ordini di servizio ai dipendenti dell’acquedotto comunale interessati a passare alle dipendenze di Acea e avviavano le pratiche di cessione degli impianti. I sindaci votavano la risoluzione contrattuale elencando le inadempienze irreparabili della multiutility ma, al contempo, pensavano che non sarebbe stato male trattare col gestore e lasciarlo lì dov’è. Ad incassare soldi a palate in cambio dei soliti servizi da terzo mondo, lunghi intere estati trascorse tra bagnarole, secchi e bottiglie riempiti alle ultime fontane davvero pubbliche, lasciate aperte negli anfratti dei nostri borghi.

E’ una frontiera fatta di doppiezze e di cose non dette, di trattative sotterranee e di guerre di potere ridotte a lesinare l’acqua agli ultimi, quella che viviamo in queste settimane.

L’influente Acea schiaccia tutti e l’impressione è che dalla sua parte abbia pure la magistratura amministrativa che, del resto, applica leggi fatte dai soliti pidini, divenuti gangli interessati della cinghia di trasmissione del potere più ottuso e arrogante. Perché pronto a monetizzare e lottizzare pure l’aria se solo fosse possibile. Senza rischiare capitali e in regime di monopolio o con pastette in stile Mafia Capitale.

Nel caso Cassino, esploso ad orologeria nel pieno della campagna elettorale, siamo nel momento in cui non ci si può più accontentare e subire. Chi ha sbagliato gravemente, magari anche dolosamente, va messo alla prova delle azioni. Oggi più che mai.

Petrarcone s’è addormentato, Fardelli ha fatto sia la carriera che il pesce in barile. Abbruzzese s’è schierato dalla parte giusta ma, tanto, non gli costava nulla (da quando è all’opposizione finalmente le azzecca quasi tutte). Eccetera, eccetera.

Immergerci nei pensieri velenosi ci fa dimenticare che la questione è vecchia e la città intera s’è cullata sul persistere di una situazione precariamente galleggiante, rimasta tale anche grazie alle miracolose furbizie dell’allora sindaco Scittarelli, che non si faceva trovare in Piazza De Gasperi tutte le volte che i tecnici, i funzionari, gli emissari, gli ufficiali giudiziari venivano a chiedere le chiavi del sempre più malandato e bucherellato sistema idrico cittadino.

Ma una città incapace di immaginare e programmare il futuro della propria rete acquedottistica e fognaria è una città alle corde, senza più sussulti di dignità e di orgoglio. Altro che dimensione smart. Siamo piantati, immobili, anche di fronte al declino di quel che resta della Ricostruzione.

L’acqua può diventare, invece, una sfida di intelligenza e passione, la bandiera che restituisca compattezza ad un popolo che si ritenga tale. Per questo bisogna superare le invettive contro Petrarcone che, comunque, non va isolato. Troppo semplice additare il presunto responsabile di tutto.

Il test di maturità è oggi quello che porta alla costruzione di un fronte unico, compatto e potente, in grado di trasbordare Cassino e l’hinterland (non dimentichiamo i Comuni vicini, da Piedimonte e Villa a Sant’Elia, Cervaro e Terelle) fuori dall’Ato 5: nella terra di mezzo dove – lontani da Acea – si possa costruire una gestione pubblica a dimensione degli ultimi, che hanno diritto di bere e lavarsi come i benestanti.

Cassino può diventare il laboratorio dove si sperimenti come riconsegnare alla politica una dimensione etica e solidaristica e si emarginino definitivamente gli affaristi ed i carrieristi a spese della collettività. La classe dirigente che si candida a gestire il Comune deve saper guidare e organizzare una periferia capace di farcela con le proprie forze, a dispetto anche di leggi nazionali palesemente inique e sfacciatamente favorevoli alle lobby economiche parassitarie, divenute incapaci di fare imprenditoria e di rischiare capitali sul libero mercato.

Poi c’è sempre la Regione Lazio che non perde occasione per segnare la distanza col territorio, la strafottenza ed il disinteresse malamente dissimulato. Durante l’inutilmente sfarzosa conferenza stampa tenuta a Roma sui 3,5 milioni di euro per tappare le buche attorno al sito Fca, il presidente Zingaretti aveva annunciato una riunione del tavolo sull’emergenza lavoro in provincia per venerdì 20 maggio. A conferma che le parole della politica valgono sempre meno, l’assessore regionale Valente, all’ultimo momento, giovedì sera ha effettivamente convocato il tavolo ma per il 27 maggio. Il non detto è intuibile: prendiamo tempo, facciamo qualcosa, e allontaniamo Rossi e amici dagli striscioni e dai media in vista del voto amministrativo. Ma di quali idee concrete per i 352 lavoratori senza ammortizzatori da giugno si potrà mai discutere fra una settimana se l’intenzione è quella di ripetere le solite litanie su quanto fatto dalla mirabolante gestione Zingaretti?

La nostra proposta sul Fondo di Dignità dei Lavoratori? Il prefetto Zarrilli ed il presidente Pompeo hanno per lo meno preso atto e assicurato che ne discuteranno. Tutti gli altri sono silenti. Non che dovessero aderire per forza ad un’idea di solidarietà immediata di istituzioni e cittadini della provincia di Frosinone rispetto ad una platea di famiglie senza reddito che a fine anno avrà superato gli 800 nuclei.

Ma uno straccio di alternativa, rapidamente attuabile, no? D’accordo che la Caritas fa tanto ed il volontariato laico altrettanto. Ma di sicuro l’agenda della nostra provincia segna priorità ormai distanti da quelle degli eletti a Roma. Per ragioni oscure. Oppure chiarissime.

 

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